• 22 Novembre 2024
Cultura

Friedrich Nietzsche aveva trentadue anni quando mise piede in Italia per la prima volta. Prese un treno a Ginevra lasciandosi alle spalle le fiamme che avevano bruciato antiche certezze sulle quali si era formato ed una pallida luce, appena intravista, che fortemente sperava potesse illuminare grandi, seppur sofferenti, conquiste spirituali ed intellettuali. Dietro di sé rimaneva anche un amore intenso quanto impossibile deturpato da un odio che mai aveva immaginato di nutrire: Cosima Liszt ed il suo sposo Richard Wagner che era stato a lungo il suo “mito”, accorgendosi con colpevole ritardo dell’errore che ne squassò l’anima. Entrambi se li portava nel suo bagaglio invisibile: l’una disperatamente desiderata; l’altro ferocemente negato. Il dolore lo accompagnava attraversando le Alpi insieme con il desiderio di immergersi in una vita nuova.

Il soggiorno italiano avrebbe favorito tanto l’umore che la produzione di intuizioni, idee, visioni. E perfino l’amore forse si sarebbe riacceso facendogli dimenticare per un qualche tempo Cosima, ma preparandolo ancora una volta ad illusioni non certo benefiche. Arrivando nella Penisola, prima fermandosi a Genova per proseguire poi per Napoli e Sorrento, Nietzsche faceva affidamento sulla concretezza solare della latinità per scacciare gli incubi nordici procuratigli dal funambolo di Bayreuth. I rapporti con Wagner si erano progressivamente guastati. A luglio aveva pubblicato la quarta “Inattuale”, una delle “considerazioni” più significative: Richard Wagner a Bayreuth che Nietzsche stesso sentiva come il congedo dal compositore per diversità di vedute sulle tante cose che pure avevano condiviso in tempi non lontani. Ma l’ombra di Cosima aleggia su questo testo che è il preludio dell’addio definitivo, mai formalizzato se con il Nietzsche contra Wagner del 1888 che poi rinuncia a pubblicare e vedrà la luce postumo. La “distanza”, comunque, con l’uomo che aveva ispirato buona parte della sua giovinezza, non gli impedì di assistere dal 23 luglio al 27 agosto alla prima rappresentazione a Bayreuth dell’ Anello del Nibelungo. Fu l’ultimo “omaggio”, un segno di gentilezza, tratto tipico del suo animo, verso Wagner. Poi la “fuga”.

In Italia, dove tutto immaginava possibile, perfino la risalita dalla malinconia che lo condizionava nonostante l’affermazione ottenuta con la pubblicazione de La nascita della tragedia dallo spirito della musica – un’opera autenticamente ed integralmente mediterranea – , effettivamente ebbe inizio ciò che si augurava al di là di qualsiasi ragionevole speranza: reinventare se stesso. In parte andò così. Ma le ragioni del cuore finirono per offuscare la bellezza sfiorata attraversando l’Italia dove tutto effettivamente ricominciò e tutto finì, come si sa, in quella grigia ed amata e nobilissima Torino non più capitale di un giovane regno, ma capolinea d’una accesa follia, quella che del distruttore della “morale borghese” la cui ultima carezza – umana, troppo umana – fu per un cavallo imbizzarrito a causa delle le frustate di un villano cocchiere all’ombra di Palazzo Carignano. La dolcezza pietosa di un mite ed aristocratico filosofo tedesco donata ad un orgoglioso animale incattivito suo malgrado è l’ultimo atto “pubblico” di Nietzsche, il suo addio al mondo esterno prima di rinchiudersi definitivamente nel “suo” mondo interiore, nell’apparente quiete di Jena prima e di Weimar poi, fino alla termine dei suoi giorni che arrivò il 25 agosto 1900. La scena torinese, rappresentazione di un dolore che non riusciva più dominare, colpì gli astanti stupefatti. Immaginiamo che sarebbe piaciuta a Zarathustra.

La “scoperta” dell’Italia fu per Nietzsche una sorta di viaggio iniziatico che s’interruppe soltanto dopo molti anni, come ricordato, nel gennaio 1889 a Torino. Ma a più riprese fissò nella Penisola i percorsi della sua anima verso l’acquisizione di quella libertà di spirito che avrebbe espresso compiutamente nello Zarathustra. Il viaggio compiuto dall’aprile 1881 al maggio 1882 resta indubbiamente il più denso di eventi e di significati per la vita stessa di Nietzsche. Fu a Genova, a Venezia, a Messina, a Roma, a Orta… Nella capitale italiana incontrò in casa di Malwida von Meysenbug, la giovane affascinante ed intellettualmente temeraria Lou Salomé: un incontro che diventò amore e molto di più. Con lei e con Paul Rée avrebbero costituito un’eccentrica “trinità” della quale molto si sarebbe parlato negli anni a venire ed ancora oggi, dopo quasi un secolo e mezzo, il teorema del singolare triangolo amoroso ed intellettuale non è ancora stato del tutto risolto. A Venezia, città musicale per eccellenza secondo Nietzsche, dove si annullò nella bellezza stordente che quasi lo annichiliva, egli maturò, stupendosi della capacità di immedesimarsi con i luoghi dai quali si faceva avvolgere, la coscienza di una filosofia vittoriosa che avrebbe avuto il culmine lontano dalle “distrazioni” di una terra ricca di suggestioni: a Sils-Maria, in Alta Engadina, un piccolo villaggio di pastori ai margini del dolce lago di Silvaplana. Ma lassù, tra quei monti silenziosi, si portò tutto quanto aveva raccolto in Italia.

Non era poco, come avrebbe capito Guy de Pourtalès, lo scrittore cosmopolita, infaticabile biografo di compositori e pensatori, nel suo Nietzsche in Italia del 1929, pubblicato nella nostra lingua per la prima volta nel 1945 che le edizioni Historica riproposero nel 2016 e da qualche mese le edizioni L’unica hanno rimandato in libreria. ripropongono nella collana. Esso costituisce il contributo migliore alla comprensione del rapporto davvero “amoroso” del filosofo tedesco con l’Italia e non soltanto per gli intrecci umani e sentimentali che ebbero tante città come sfondo, ma proprio per l’influenza che l’Italia esercitò sull’anima di un uomo le cui tempeste spirituali si sono per buona parte trascinate nella Penisola che egli considerò una sorta di rifugio nei momenti più drammatici della sua esistenza.

Guy de Pourtalès in questo suo libro, lirico ed appassionato, ma al tempo stesso rigoroso nella ricostruzione degli itinerari del filosofo, offre anche un’interpretazione per niente scontata di alcune delle tesi più incandescenti del pensiero nietzschiano. A cominciare dalla problematica visione del cristianesimo: non è un mistero che l’autore del fin troppo esplicito Anticristo, definiva Gesù “la più alta delle anime umane”. E allora? Spiega de Pourtalès: “Se respinge la sua dottrina e diffida di una morale in cui la debolezza è esaltata, si sente invece invincibilmente attratto dall’uomo”. De Pourtalès propone molto altro naturalmente in questo piccolo libro. Ma l’elemento più notevole è la discesa dell’autore nell’universo spirituale nietzschiano. E lo fa con gli strumenti della musica e della poesia, a lui congeniali, piuttosto che utilizzare quelli della logica, dell’estetica, della filologia.

Autore

Giornalista, saggista e poeta. Ha diretto i quotidiani “Secolo d’Italia” e “L’Indipendente”. Ha pubblicato circa trenta volumi e migliaia di articoli. Ha collaborato con oltre settanta testate giornalistiche. Ha fondato e diretto la rivista di cultura politica “Percorsi”. Ha ottenuto diversi premi per la sua attività culturale. Per tre legislature è stato deputato al Parlamento, presidente del Comitato per i diritti umani e per oltre dieci anni ha fatto parte di organizzazioni parlamentari internazionali, tra le quali il Consiglio d’Europa e l’Assemblea parlamentare per l’Unione del Mediterraneo della quale ha presieduto la Commissione cultura. È stato membro del Consiglio d’amministrazione della Rai. Attualmente scrive per giornali, riviste e siti on line.