“La parola convince, ma l’esempio trascina. Non ti preoccupare se i tuoi figli non ti ascoltano, ti osservano tutto il giorno” (Madre Teresa di Calcutta)Mettere al mondo un figlio è un atto d’amore e di responsabilità. Occorre rivalutare il significato delle cose, della vita e di sé stessi, per essere in grado di rispondere ai nostri doveri. Ci chiediamo cosa sia giusto fare, come sia più opportuno comportarsi. Manca infatti un manuale d’istruzioni. I compiti a cui viene chiamato il genitore sono molteplici: essere responsabile, trasmettere dei sani valori, educare evitando l’imposizione delle proprie idee, aiutare i figli a far emergere la loro vera natura e a conoscersi profondamente e tanto altro. Nello svolgimento del ruolo genitoriale ciascuno impegna le proprie risorse di umanità, di valori, di cultura e di sensibilità. La genitorialità o competenza genitoriale è un’espressione complessa, dovuta dall’interazione di caratteristiche individuali, cognitive, emotive e relazionali e che incidono sul processo di accudimento. Le cure genitoriali incidono sulla crescita del figlio: con una presenza competente, rispettosa, amorevole che sostiene lo sviluppo della personalità. Il genitore non deve essere perfetto, può sbagliare. Mamma e papà hanno il diritto di sbagliare, e allo stesso tempo, hanno il diritto di crescere come genitori insieme ai loro figli. Pensiamo al “genitore quasi perfetto” di Bettelheim o anche “la madre sufficientemente buona” di Winnicott, e immediatamente evochiamo la fragilità del genitore, la sua umanità e la sua fallibilità. “Essere un buon genitore non trasforma i figli in adulti intelligenti, felici o di successo, però può contribuire a creare una nuova generazione che sia più robusta, adattabile e resistente, maggiormente capace di gestire gli inevitabili e imprevedibili cambiamenti che dovrà affrontare in futuro” (A,Gopnik,2016). La competenza genitoriale -l’essere buoni genitori – non si deve confondere con il rispondere ai bisogni del figlio o esaudire ogni suo desiderio. Molti genitori rispondono solo ai bisogni basilari, senza riconoscere i bisogni più profondi. Nel nostro tempo c’è uno sbilanciamento sul versante affettivo a svantaggio di quello etico. Il contenimento emotivo del genitore non offre al figlio uno strumento per crescere come persona, per vivere il suo momento nel modo migliore. È per questo che abbiamo a che fare con bambini tiranni, sempre più irrequieti e insoddisfatti. Nella famiglia si privilegia il culto dell’emozione che va sempre espressa, anche se fuori luogo, e bisogna dare ascolto al sentire più immediato. Si rifiuta l’autorità educativa troppo rigida e autoritaria per dare spazio allo stile educativo permissivo (senza prendere in considerazione l’autorevolezza). Stile difficile da sostenere e che non permette di stabilire delle regole e poi tenervi fede. Si perde il controllo. Quest’ultimo insieme con il contatto sono gli elementi che non devono mancare nella relazione. Per contatto intendo la vicinanza fisica, il bisogno di intimità; con il controllo intendo la capacità di essere una guida, di dare regole, indicare direzioni, supportare alcuni comportamenti e punendone altri, limitando i capricci e le sue manifestazioni. Pertanto, non basta ascoltare e accettare le emozioni dei propri figli, per essere genitori, ma occorre dialogare con la ragione in modo da non sbilanciare la competenza genitoriale troppo sull’emozione e troppo poco sul controllo. Molti genitori lasciano i propri figli liberi, mantengono un ruolo neutrale, per non ripetere gli errori commessi dai loro genitori nel nome dell’autoritarismo. Molti genitori non capiscono che l’autorità è l’impegno a far crescere l’altro. Significa tollerare e insegnare a tollerare disagi e frustrazioni, proprio per la crescita e lo sviluppo della persona. Le emozioni di cui si prendono cura i genitori sono solo quelle positive, perché fa sentire i loro figli protetti e al sicuro; mentre le emozioni negative non si riconoscono, non si comunicano, non se ne parla. Si perdono disconosciute. Entrambe le emozioni devono essere riconosciute perché altrimenti diventano ingovernabili come un fiume in piena, tracimano e diventano preoccupanti. I genitori che non sanno dire NO, ai loro figli, sono incapaci di dire dei SI. Davanti a situazioni problematiche i genitori permissivi si trasformano in autoritari, rapidamente, ma i loro figli li reputano inaffidabili e incoerenti. Questo genera, in quest’ultimi, insicurezza, sfiducia verso gli altri e verso sé stessi. La competenza educativa genitoriale implica che non si è competenti una volta per tutte, ma si deve trasformare in relazione all’età del figlio; e non si è competenti da soli, ma in relazione con l’altro genitore nella dimensione di co- genitorialità. Come i figli per crescere hanno bisogno di appoggiarsi alla mente dei genitori, così i genitori hanno bisogno della mente dell’altro genitore. Oggi colpevolizzare i genitori, riconoscendogli una inadeguata competenza non aiuta a risolvere il problema. La sfida educativa sta nell’aiutarli a predisporre uno spazio e un tempo per riflettere come coppia e con altri genitori; rafforzare in loro la consapevolezza sul loro agire educativo; fornire strumenti per trasformare comportamenti e atteggiamenti più adeguati alle situazioni a cui sono chiamati a rispondere; ed infine accompagnarli verso la consapevolezza della loro insostituibile responsabilità educativa co genitoriale, essendo la prima istituzione educativa.