• 24 Novembre 2024
Cultura

Con Gianni Vattimo, sapendosi di recente,  il cosiddetto “pensiero debole” aveva chiarito la crisi del tempo moderno. La discussione, comunque, è complessa e vasta e ci si apre ad orizzonti che trovano in Nietzsche e Heidegger dei punti di riferimento con i quali la cultura dovrà ancora fare i conti. Ma è possibile che Nietzsche e Heidegger siano pensiero debole?

Non si tratta di discutere di una filosofia “pratica” o della prassi superata dell’oltre ideologia. Neppure di una filosofia che cerca nella “materia” la progressiva visione del moderno ma l’attraversamento di esso. Tanto meno di focalizzare l’attenzione della riflessione sul “pensiero debole”. Di pensiero debole si tratta ma non per sconfingere il pensiero profondo. Altrimenti non avrebbero avuto senso gli studi su Schleiermacher, Heidegger e prima di Nietzsche. Ma ho molte perplessità che Nietzsche sia tra le trame di un pensiero debole. Il tragico è pensiero tragico o no? È Zarathustra e il male e il bene ma è soprattutto un archetipo. Heidegger è il tempo dell’essere nell’essere e nel tempo.

Filosofi della caverna e del tragico nel tempo tragico della modernità offesa. Piuttosto di una volontà di sconfiggere ciò che la metafisica aveva introdotto nel pensiero da Platone in poi. Socratico ed aristotelico l’animale vagante della foresta giunge nella metropoli e uccide non i selvaggi ma i cittadini con cappello o bombetta e bastone con il pomo in ori o argento. 

La libertà come principio di in assoluto va oltre la metafisica. Ovveto Agostino è una confessione soltanto, ma il razionale è una legge che regola persino la metafisica del dubbio. Neppure Pascal avrebbe senso dal momento che si interroga sul dubbio. Il relativismo è mangiare le regole nella società di fine Ottocento che pur uscendo dalla Rivoluzione fa un giro di boa e catapulta l’Illuminismo nel Risorgimento identitario. 

Le sue indicazioni diventano una contraddizione nel momento in cui cerca di legare la debolezza del pensiero debole al relativismo di un socialismo cattolico che però deve restare senza tradizione. Da questo punto di vista lo scontro, chiaramente dialettico e sano, si disputa tra un Dio testamentario antico e un Cristo sinottico. Chi sale sulla Croce? E chi scende e diventa rivelazione? Ma la rivelazione non è contemplata perché il cristo in Croce è la morte di Dio. 

Qui non basta però il Tempo delirante di Heidegger o l’essere del tempo. Ma il tragico ecce homo di Nietzsche. Siamo relativi nello spazio di un tempo relativo che contempla nastica e morte. Il socialismo platonico senza la metafisica dell’anima non può compiersi perché l’asistematica Maria Zambrano trova nei Beati non solo la beatitudine ma la provvidenza. 

Entrambi sono idee metafisiche. Guanni Vattimo lancia qui una sfida all’uomo moderno. Cosa sarà mai la modernità nell’antimodernismo della tradizione? Domanda che risponde alla vasta bibliografia di Vattimo. 

Così: Essere, storia e linguaggio in Heidegger (1963; 2a ed. 1989); Poesia e ontologia (1967); Schleiermacher filosofo dell’interpretazione (1968); Il soggetto e la maschera (1974), importante monografia su Nietzsche; Le avventure della differenza (1980); Al di là del soggetto (1981); Il pensiero debole (raccolta di saggi curata in collab. con P. A. Rovatti, 1983); La fine della modernità (1985); La società trasparente (1989); Etica dell’interpretazione (1989); Oltre l’interpretazione (1994); Credere di credere (1996); Vocazione e responsabilità del filosofo (2000); Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso (2002); Il socialismo ossia l’Europa (2004); Il futuro della religione (in collab. con R. Rorty, 2005); Non essere Dio. Un’autobiografia a quattro mani (in collab. con P. Paterlini, 2006); Ecce comu. Come si ri-diventa ciò che si era (2007); Addio alle verità (2009); Introduzione all’estetica (2010); Hermeneutic communism (con S. Zabala, 2011); Della realtà. Fini della filosofia (2012); Non essere Dio (2016); Essere e dintorni (2018); Scritti filosofici e politici (2021). 

Un processo ermeneutico che però individua nei classici l’asse intorno al quale si muove quel pensiero che nasce come pensiero profondo o forte e negli Novanta del novecento diventa, appunto, debole. Perché è consapevole che la classicità penetra la struttura della tradizione e con molta coerenza ebbe a dire: “Come la letteratura occidentale non sarebbe pensabile senza i poemi omerici, senza Shakespeare, senza Dante, così la nostra cultura nel suo più ampio insieme non avrebbe senso se volessimo tagliarne via il cristianesimo”. 

La verità diventa così il dubbio che possa esistere la perfezione del dubitare. A cosa porta tutto ciò? A tale considerazione: “Il fatto paradossale è che proprio la passione per la verità, la coscienza, nella sua ricerca del vero, è giunta a mettere in crisi se stessa: ha scoperto, appunto, di essere solo una passione come le altre”. 

Certo siamo dentro la coscienza della ermeneutica,  ma mai dentro una possibile discutibile metafisica che è comunque esclusa dal pensare al pensiero come uomo di una lettura antropologica dell’umanesimo. Infatti con una sua coerenza di fondo, condivisibile o meno, dirà: “Il comunismo, la società senza classi, restano l’unico orizzonte contro il dio mercato”. 

Più esplicitamente filosofico è il seguito, sottolineerà: “I concetti reggenti della metafisica – come l’idea di una totalità del mondo, di un senso unitario della storia, di un soggetto autocentrato capace eventualmente di appropriarsene – si rivelano come mezzi di disciplinamento e rassicurazione non più necessari nel quadro delle attuali capacità di disposizione della tecnica. (…). La debolezza del pensiero nei confronti del mondo, e dunque anche della società, è probabilmente solo un aspetto della impasse in cui il pensiero si è venuto a trovare alla fine della sua avventura metafisica”. 

Non sancisce la fine della metafisica. La celebra. In virtù di ciò neppure la Ragione avrebbe senso. Gianni Vattimo, un filosofo che annulla completamente una ontologia, ma riprende come decodificazione di un codice di pensiero la ideologia della filosofia.  Gianni Vattimo è stato un filosofo ma anche un uomo politico nato a Torino il 1936 e morto a Rivoli il 2023). Certo,  non appartiene ai processi filosofici della mia dimensione filosofica, ma è stato un chiarificatore nella modernità sradicante. 

Resta un dubbio pur nella non Ragione. Heidegger è metafisico nel concetto laico del tempo. Ma è metafisico nella espressione dell’essere.  O no? E Nietzsche? È il modello filosofico greco che riscopre la metafisica e la lacera nella Gaia scienza ma negli Idilli di Messina è profondamente metafisico. Non mi convince Vattimo. Una non ragione nella volontà di non conoscenza del tempo.le con Nietzsche e Heidegger. Possibile? Non mi convince

Pierfranco Bruni 

Con Gianni Vattimo il cosiddetto “pensiero debole” aveva chiarito la crisi del tempo moderno. La discussione, comunque, è complessa e vasta e ci si apre ad orizzonti che trovano in Nietzsche e Heidegger dei punti di riferimento con i quali la cultura dovrà ancora fare i conti. Ma è possibile che Nietzsche e Heidegger siano pensiero debole?

Non si tratta di discutere di una filosofia “pratica” o della prassi superata dell’oltre ideologia. Neppure di una filosofia che cerca nella “materia” la progressiva visione del moderno ma l’attraversamento di esso. Tanto meno di focalizzare l’attenzione della riflessione sul “pensiero debole”. Di pensiero debole si tratta ma non per sconfingere il pensiero profondo. Altrimenti non avrebbero avuto senso gli studi su Schleiermacher, Heidegger e prima di Nietzsche. Ma ho molte perplessità che Nietzsche sia tra le trame di un pensiero debole. Il tragico è pensiero tragico o no? È Zarathustra e il male e il bene ma è soprattutto un archetipo. Heidegger è il tempo dell’essere nell’essere e nel tempo.

Filosofi della caverna e del tragico nel tempo tragico della modernità offesa. Piuttosto di una volontà di sconfiggere ciò che la metafisica aveva introdotto nel pensiero da Platone in poi. Socratico ed aristotelico l’animale vagante della foresta giunge nella metropoli e uccide non i selvaggi ma i cittadini con cappello o bombetta e bastone con il pomo in ori o argento. 

La libertà come principio di in assoluto va oltre la metafisica. Ovveto Agostino è una confessione soltanto, ma il razionale è una legge che regola persino la metafisica del dubbio. Neppure Pascal avrebbe senso dal momento che si interroga sul dubbio. Il relativismo è mangiare le regole nella società di fine Ottocento che pur uscendo dalla Rivoluzione fa un giro di boa e catapulta l’Illuminismo nel Risorgimento identitario. 

Le sue indicazioni diventano una contraddizione nel momento in cui cerca di legare la debolezza del pensiero debole al relativismo di un socialismo cattolico che però deve restare senza tradizione. Da questo punto di vista lo scontro, chiaramente dialettico e sano, si disputa tra un Dio testamentario antico e un Cristo sinottico. Chi sale sulla Croce? E chi scende e diventa rivelazione? Ma la rivelazione non è contemplata perché il cristo in Croce è la morte di Dio. 

Qui non basta però il Tempo delirante di Heidegger o l’essere del tempo. Ma il tragico ecce homo di Nietzsche. Siamo relativi nello spazio di un tempo relativo che contempla nastica e morte. Il socialismo platonico senza la metafisica dell’anima non può compiersi perché l’asistematica Maria Zambrano trova nei Beati non solo la beatitudine ma la provvidenza. 

Entrambi sono idee metafisiche. Guanni Vattimo lancia qui una sfida all’uomo moderno. Cosa sarà mai la modernità nell’antimodernismo della tradizione? Domanda che risponde alla vasta bibliografia di Vattimo. 

Così: Essere, storia e linguaggio in Heidegger (1963; 2a ed. 1989); Poesia e ontologia (1967); Schleiermacher filosofo dell’interpretazione (1968); Il soggetto e la maschera (1974), importante monografia su Nietzsche; Le avventure della differenza (1980); Al di là del soggetto (1981); Il pensiero debole (raccolta di saggi curata in collab. con P. A. Rovatti, 1983); La fine della modernità (1985); La società trasparente (1989); Etica dell’interpretazione (1989); Oltre l’interpretazione (1994); Credere di credere (1996); Vocazione e responsabilità del filosofo (2000); Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso (2002); Il socialismo ossia l’Europa (2004); Il futuro della religione (in collab. con R. Rorty, 2005); Non essere Dio. Un’autobiografia a quattro mani (in collab. con P. Paterlini, 2006); Ecce comu. Come si ri-diventa ciò che si era (2007); Addio alle verità (2009); Introduzione all’estetica (2010); Hermeneutic communism (con S. Zabala, 2011); Della realtà. Fini della filosofia (2012); Non essere Dio (2016); Essere e dintorni (2018); Scritti filosofici e politici (2021). 

Un processo ermeneutico che però individua nei classici l’asse intorno al quale si muove quel pensiero che nasce come pensiero profondo o forte e negli Novanta del novecento diventa, appunto, debole. Perché è consapevole che la classicità penetra la struttura della tradizione e con molta coerenza ebbe a dire: “Come la letteratura occidentale non sarebbe pensabile senza i poemi omerici, senza Shakespeare, senza Dante, così la nostra cultura nel suo più ampio insieme non avrebbe senso se volessimo tagliarne via il cristianesimo”. 

La verità diventa così il dubbio che possa esistere la perfezione del dubitare. A cosa porta tutto ciò? A tale considerazione: “Il fatto paradossale è che proprio la passione per la verità, la coscienza, nella sua ricerca del vero, è giunta a mettere in crisi se stessa: ha scoperto, appunto, di essere solo una passione come le altre”. 

Certo siamo dentro la coscienza della ermeneutica,  ma mai dentro una possibile discutibile metafisica che è comunque esclusa dal pensare al pensiero come uomo di una lettura antropologica dell’umanesimo. Infatti con una sua coerenza di fondo, condivisibile o meno, dirà: “Il comunismo, la società senza classi, restano l’unico orizzonte contro il dio mercato”. 

Più esplicitamente filosofico è il seguito, sottolineerà: “I concetti reggenti della metafisica – come l’idea di una totalità del mondo, di un senso unitario della storia, di un soggetto autocentrato capace eventualmente di appropriarsene – si rivelano come mezzi di disciplinamento e rassicurazione non più necessari nel quadro delle attuali capacità di disposizione della tecnica. (…). La debolezza del pensiero nei confronti del mondo, e dunque anche della società, è probabilmente solo un aspetto della impasse in cui il pensiero si è venuto a trovare alla fine della sua avventura metafisica”. 

Non sancisce la fine della metafisica. La celebra. In virtù di ciò neppure la Ragione avrebbe senso. Gianni Vattimo, un filosofo che annulla completamente una ontologia, ma riprende come decodificazione di un codice di pensiero la ideologia della filosofia.  Gianni Vattimo è stato un filosofo ma anche un uomo politico nato a Torino il 1936 e morto a Rivoli il 2023). Certo,  non appartiene ai processi filosofici della mia dimensione filosofica, ma è stato un chiarificatore nella modernità sradicante. 

Resta un dubbio pur nella non Ragione. Heidegger è metafisico nel concetto laico del tempo. Ma è metafisico nella espressione dell’essere.  O no? E Nietzsche? È il modello filosofico greco che riscopre la metafisica e la lacera nella Gaia scienza ma negli Idilli di Messina è profondamente metafisico. Non mi convince Vattimo. Una non ragione nella volontà di non conoscenza del tempo.

Autore

nato in Calabria. Scrittore, poeta, italianista e critico letterario. Esperto di Letteratura dei Mediterranei. Vive la letteratura come modello di antropologia religiosa. Ha pubblicato diversi testi sulla cristianità in letteratura. Il suo stile analitico gli permette di fornire visioni sempre inedite su tematiche letterarie, filosofiche e metafisiche. Si è dedicato al legame tra letteratura e favola, letteratura e mondo sciamanico, linguaggi e alchimia. È presidente del Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”.