Il 11 novembre 2023 ricorreva il 62° anniversario dell’Eccidio di Kindu, uno dei più atroci crimini di guerra commessi in Africa durante la crisi del Congo. In quella tragica giornata, 13 aviatori militari italiani del contingente dell’ONUC, la missione di pace delle Nazioni Unite, furono catturati, torturati e uccisi da una folla inferocita di soldati e civili congolesi, che li scambiarono per mercenari belgi al soldo del Katanga, la provincia secessionista ricca di minerali. I loro corpi furono fatti a pezzi e alcuni testimoni riferirono che furono addirittura venduti al mercato come carne da macello. Fu un massacro che sconvolse l’Italia e il mondo, e che ancora oggi suscita dolore e indignazione.
Per capire le cause e le circostanze di questo orribile episodio, bisogna fare un passo indietro e ricostruire il contesto storico e politico in cui esso si inserisce. Il Congo, ex colonia belga, aveva ottenuto l’indipendenza il 30 giugno 1960, ma era subito precipitato nel caos e nella violenza. Il paese era diviso tra tre fazioni in lotta: quella del presidente Joseph Kasa-Vubu, sostenuta dall’Occidente e dal generale Mobutu, che controllava le regioni occidentali; quella del primo ministro Patrice Lumumba, appoggiata dall’Unione Sovietica e dal generale Lundula, che governava le province orientali; e quella del leader del Katanga, Moise Ciombe, appoggiata dal Belgio e da mercenari bianchi, che aveva proclamato la secessione della regione più ricca del paese, dove si trovavano le miniere di rame, cobalto e uranio.
Le Nazioni Unite, per tentare di ristabilire l’ordine e la pace nel Congo, avevano inviato una missione di caschi blu, denominata ONUC, composta da circa 20.000 soldati provenienti da diversi paesi, tra cui l’Italia. Il compito degli italiani era quello di fornire assistenza umanitaria e logistica alla popolazione civile e alle forze dell’ONU, utilizzando i loro aerei da trasporto C-119. Gli italiani erano considerati neutrali e ben accetti dai congolesi, che li chiamavano affettuosamente “fratelli bianchi”.
Tuttavia, la situazione sul terreno era estremamente instabile e pericolosa. Il 17 gennaio 1961, Lumumba, che era stato deposto e arrestato da Mobutu, fu consegnato a Ciombe e brutalmente assassinato. La sua morte scatenò una violenta reazione dei suoi sostenitori, che accusarono l’ONU e i paesi occidentali di complicità. In particolare, i soldati di Gizenga, il successore di Lumumba nelle province orientali, iniziarono a nutrire un forte risentimento verso i belgi e i loro alleati, che ritenevano responsabili della secessione del Katanga e della morte di Lumumba.
Fu in questo clima di tensione e di odio che si verificò l’Eccidio di Kindu. Kindu era una città situata nella provincia orientale di Kivu, controllata da Gizenga. Qui si trovava una base aerea dell’ONU, dove erano stazionati i caschi blu malesi. Il 10 novembre 1961, due aerei italiani C-119, con a bordo 13 aviatori, partirono da Leopoldville, la capitale del Congo, per portare rifornimenti a Kindu. Gli equipaggi erano comandati dal maggiore Amedeo Parmeggiani e dal capitano Giorgio Gonelli. Gli aerei arrivarono a Kindu il giorno dopo, intorno alle 10 del mattino. Dopo aver scaricato il materiale, gli aviatori si recarono alla mensa dell’ONU, lasciando le loro armi a bordo.A Kindu, però, si era diffusa la voce di un imminente attacco dei paracadutisti e dei mercenari katanghesi, inviati da Ciombe per sabotare la base dell’ONU. Quando i soldati di Gizenga videro gli aerei italiani sorvolare la città, li scambiarono per aerei nemici. Così, guidati dal colonnello Pakassa, assalirono la mensa dell’ONU e catturarono gli aviatori italiani, credendoli mercenari belgi. Il tenente medico Francesco Paolo Remotti cercò di fuggire, ma fu ucciso. Gli altri 12 furono portati in una prigione vicina, dove furono picchiati e insultati dalla folla inferocita. Poco dopo, furono trascinati fuori dalla prigione e fucilati a raffiche di mitra. I loro corpi furono mutilati e alcuni testimoni riferirono che furono venduti al mercato come carne da macello.
La notizia dell’eccidio arrivò in Italia con cinque giorni di ritardo, il 16 novembre. Il governo italiano protestò con forza e chiese l’apertura di un’inchiesta internazionale. L’ONU condannò il massacro e inviò una commissione d’inchiesta sul posto. Il segretario generale dell’ONU, U Thant, un diplomatico birmano si recò in Congo nel dicembre 1961, dopo l’eccidio di Kindu, per cercare di risolvere la crisi e di recuperare le salme degli aviatori italiani.
Le salme degli aviatori italiani furono ritrovate in due fosse comuni nel febbraio 1962 e furono rimpatriate in Italia il 10 marzo. Il giorno dopo, a Pisa, si tennero i funerali di Stato, alla presenza del presidente della Repubblica Antonio Segni e di altre autorità civili e militari. I 13 caduti di Kindu furono decorati con la medaglia d’oro al valor militare.
L’Eccidio di Kindu fu uno dei più gravi crimini di guerra commessi in Africa durante la crisi del Congo, e uno dei più tragici episodi della storia militare italiana. I 13 aviatori italiani furono vittime innocenti di una guerra che non era la loro, e che li vide impegnati in una missione di pace e di solidarietà. Il loro sacrificio non fu dimenticato, ma anzi fu ricordato e onorato da numerose iniziative e commemorazioni. Ancora oggi, a 62 anni di distanza, il loro nome e il loro esempio sono fonte di ispirazione e di orgoglio per tutti gli italiani.
In particolare, durante il tragico episodio perse la vita il sergente marconista operatore dell’Aeronautica Militare, Francesco Paga, appartenente alla 46ª Aerobrigata Trasporti Medi di Pisa e sannita originario di Pietrelcina.