• 23 Novembre 2024
Editoriale

In Europa si discute molto sulla stabilità di bilancio e crescita, di ogni Stato membro, ma molto poco sulla competitività dell’Unione rispetto al resto del mondo, è infatti un dibattito pubblico che viene trascurato e minimizzato in un disegno macroeconomico a favore di una maggiore concentrazione affidata alla transizione energetica green opportunamente implementata per garantire all’eurozona un solido approvvigionamento e una filiera affidabile. Poco si racchiude, il sentire politico sulla competitività e dunque sugli investimenti pubblici e privati nell’ambito tecnologico, digitale, dell’Unione per favorire competenze evolute e regolamentate anche sulla ormai sviluppata e sempre più avanzata IA.

Eppure, redigere una roadmap, resta sempre più un’esigenza, una possibilità che delinei una visione per una sostenibilità economica futura, dove la centralità competitiva deve essere oggetto non solo di una analisi predittiva, ma un vero esercizio di competenze reali possibili, che diano un contributo con soluzioni incisive ed ambiziose. Pertanto, questa traccia nasce, o presunta visione deve essere tracciata, dall’ascolto diretto dei maggiori operatori europei, da tutti gli stakeholder più importanti, che operativamente risentono del ritardo accusato dall’Unione Europea, infatti, la sua crescita economica è stata per decenni inferiore a quella degli Stati Uniti.

Un ritardo di produttività che oggi rasenta il 18% del PIL mondiale, rispetto al 27% del 1995, con un trend di scesa della quota di valore industriale globale rispetto a quegli anni, dal 27 al 16%. Un vero capovolgimento dell’asset produttivo, a vantaggio non solo del settore energetico ma anche finanziario che si è evoluto gradualmente, investendo su mercato monetario innovativo, supportato da cripto valute il cui valore si è gradualmente spostato dal settore sociale, al settore eco ambientale, generando spirali di investimenti molto speculativi e riformativi dei patrimoni e dei portafogli dei grandi risparmiatori.

Ma la vera competitività resta ed è quella posta sul mercato reale un mercato fatto di scambi concreti, anche perché l’Unione Europea è il secondo mercato unico più grande al mondo, generando e rispettando una autonomia culturale, fondata sulla diversità insita a livello nazionale e sovranazionale europeo, inoltre la possibilità di trasferire denaro unita alla libertà di circolazione, del cittadino europeo sviluppa non solo una coscienza civica, ma altresì una Europa Nazione, dove liberamente si possono implementare affari di ogni genere, e sviluppare un’economia , la cui crescita non risente di limitazioni.

Tuttavia, suddetta premessa, cela una scarsa competitività nell’ambito del mercato reale, associata ad una percezione di soddisfazione, delle persone nell’UE, che si attesta al punto 6 (su una scala da 0 molto insoddisfatto a 10 molto soddisfatto), che possiamo definire sufficientemente soddisfatta, dell’attuale situazione economica europea, valutazione rilevata nel 2022, ma che comunque risente attualmente delle diverse crisi in essere, e della recessione spinta di alcuni paesi un tempo capofila della bilancia commerciale europea come ad esempio la Germania, che ha avuto un calo del Pil dello -0.3%, rispetto al 2023 piegato dall’aumento dei costi dell’energia, dall’aumento dei tassi di interesse e da una brusca frenata della domanda estera, fattori che hanno contribuito all’indebolimento, dell’industria, nonché delle esportazioni e dei consumi privati.

Le decisioni politiche, dell’Eurozona risentono molto del confronto con il Fondo monetario internazionale, incidendo sulla reale situazione delle attività industriali, sottoposte a pressioni continue derivanti dalle varie crisi, in ultimo la tensione del Mar Rosso che impennerà nuovamente nel lungo periodo i prezzi energetici e di conseguenza l’inflazione. In altre parole, siamo difronte ad un contesto geopolitico che sebbene difficile, vede un’eurozona in flebile crescita, e le difficoltà vissute dalla Germania, si riverberano inevitabilmente sul resto dell’area Euro, in attesa di un ribasso dei tassi Bce. L’implosione economica, europea, sta andando incontro ad una sfiducia del settore industriale e para industriale, con forte e diffuso pessimismo, non solo per il montare delle proteste in ambito agricolo e zootecnico, scioperi che diminuiscono il consenso delle alleanze politiche per le elezioni europee prossime e delle potenzialità economiche degli Stati membri.

La Germania è stata la prima Nazione a subire fortemente la crisi Ucraina, la prima a soccombere e piegare il modello industriale sotto la scure del forte diktat russo a discapito della somministrazione di energia a basso costo, che Mosca ha reciso bruscamente. Immaginare una ripresa per il 2024, non è sano, e nemmeno propedeutico, visto che le nuove produzioni mondiali, si evolvono verso un a industrializzazione più avanzata tecnologicamente e mentre il core business tedesco rimane in un ambito arcaicamente meccanico, con un settore manufatturiero proprio incentrato sulla meccanica di base, inoltre la carenza di manodopera, sta forzando il mercato del lavoro e la società tedesca potrebbe crollare sotto una reale crisi di identità di sistema.

Ma l’Italia ha altresì subito una vera crisi nel complesso circuito manufatturiero, dove tutti i comparti hanno visto una forte contrazione, solo l’estrattivo ha avuto la sua crescita indiscutibile, più 125% con un equivalente di valore di 6 miliardi aggiunto, sia nella raccolta che trasformazione di minerali, prodotti fossili e acqua. Come la Germania, ha perso la grande opportunità delle economie avanzate, non siamo nell’ambito delle filiere mondiali avanzate, il fenomeno delle imprese così dette zombi, scomparse e ricollocate altrove o passate sotto altra dirigenza sono lo specchio di una sofferenza del settore industriale.

La verità e che l’eurozona intera ha bisogno di una politica industriale più avanzata e più competitiva, volta a regolamentare il più possibile per implementare, il settore, e centralizzare il modello in termini anche statali, per affermare una reale direzione pubblica di sviluppo defiscalizzata e defiscalizzante.

Come si può riconquistare il gap recessivo economico e far rimontare la competitività, sicuramente con maggiori e migliori investimenti europei nell’AI, gli investimenti devono essere dunque, prevalentemente a carattere pubblico, che si integrano con un’industrializzazione che va a marchettizzare, il prodotto offerto, con una programmazione di base competente ed avanzata. Il dislivello tra capitali pubblici e privati investiti è notevole, sia per esempio in Germania, Francia, Italia, e anche Spagna, si deve tendere ad una Unione dei mercati di capitali, come per la Unione Bancaria, così come per la Unione di Stati Federati, al fine di creare non solo una semplice cooperazione di mercato ma una solida economia di governo, senza rinunciare alla sovranità di ciascun Stato membro nell’ambito, regionale proprio.

Il mercato, europeo, risente della lentezza delle decisioni, prese a completamento di progresso nei mercati finanziari e reali, un’unificazione, delle decisioni e degli investimenti, andrebbe a intensificare la sostanziale dimensione del mercato unico europeo, riducendo al minimo i rischi e i danni per promuovere un allineamento di investimenti e posizione occupazionale.

Le sturtup europee sentono la carenza di centri di eccellenza, di formazione, avanzata, un divario da colmare, rispetto agli Stati Uniti.  Siamo in una seconda generazione, dove il settore manifatturiero statunitense, comunque, nel suo complesso è in crisi da più di un anno, la nota negativa che giunge fino a noi, presenta lo stesso peso relativo agli anni precedenti, dove i macro- interventi governativi hanno riformulato il ciclo economico, e non risolto l’economia, infatti i multi- indicatori fattoriali, non sono reali e denotano o meglio registrano possibili riprese nell’ultimo mese.  

E se l’economia statunitense è trainante ed influenza il circuito economico europeo, difficile e sperare in una stima di moderato rafforzamento del settore, il rischio recessione aleggia, anche se è ancora basso, ma l’imminenza è probabile. L’indicatore più significativo e principale è il BCRR, che aggrega indici del ciclo economico pubblico e proprietari privati, stima al momento una probabilità ci circa l’1% che l’attività di settore sia negativa. Siamo in una soglia di stime prospettiche negative, coinvolgenti anche la Fed il cui indice manufatturiero è altrettanto insolito e negativo, con un calo che genererà allarmismi notevoli.

Quindi necessita comunque rivisitare la competitività nell’ambito dell’eurozona approfittando di una  minore spinta americana, ma che comunque ingloba un’evoluzione tecnologica superiore ed avanzata, altrimenti le spinte asiatiche, Cina, Giappone, con uno stadio manufatturiero avanzato possono risultare irraggiungibili e fortemente competitive, pertanto l’unificazione dei mercati di capitali in Europa non è discutibile o opinabile, ma deve divenire strategico per ridefinire e riformulare la competitività. Una competitività che si pone su un avanzamento speculativo e sintomatico, di un mondo manufatturiero, forse obsoleto, rispetto ad esempio a quello cinese, anche se la sua economia del 2023 è cresciuta meno del previsto, ma sempre più rispetto al resto del mondo. Infatti, la produzione industriale cinese è ai massimi da 22 mesi, pari a 4.6% rispetto all’anno precedente, e il 6.6% su base annua.

Mentre la Cina esporta la sua crisi, lavorando forzatamente, l’Europa deve crescere, e per farlo ancora una volta deve puntare sulle grandi aziende, lasciando indietro le piccole e medie imprese, puntando direttamente al digitale, cercando di unire i capitali, per massificare e rendere efficiente un vero mercato unico e un’unione di capitali, non ancora federati, ma che oltre alle regole riescono a puntare in alto surclassando il mercato cinese e americano.

Il capitalismo, ancora una volta, dominerà a discapito di una cultura fatta di artigiani e un patrimonio di artisti unici, che hanno fatto l’Italia e il made in Italia, a discapito di risorse microeconomiche come le aziende familiari, commercianti e tutto un tessuto, che caratterizza i piccoli paesi e borghi antichi, una realtà produttiva che forse scomparirà del tutto e non si avvertirà mai più il sentire del prodotto fatto interamente a mano.

Ma ormai l’economia è globale, ed è un assioma di non poco conto, e la competitività oltre alla transizione energetica, deve riqualificare e riaggiornare produttivamente e professionalmente l’industria manufatturiera, con una narrativa tecnologica avanzata e digitale, per far sì che l’intero comparto economico europeo ne possa beneficiare con ricadute di sistema complessivo, pertanto, l’innovazione resta il mantra da seguire e una reale Unione di capitali europei.  

Autore

Economista, Bio-economista, web master di eu-bioeconomia, ricercatrice Unicas, autrice e ideatrice di numerosi lavori scientifici in ambito internazionale. Esperta di marketing. Saggista, studiosa di geopolitica e di sociopolitica. È autrice dei saggi “Il paradosso della Monarchia” e di “Europa Nazione”. Ha in preparazione altri due saggi sull’identità e sulla politica europee.