• 26 Dicembre 2024
Editoriale

Dopo la crisi dell’Eurozona, l’Europa, già fortemente globalizzata, nell’ambito del mercato mondiale, segue le regole mai scritte di un surplus di saldo della bilancia dei pagamenti, accumulando in sé in un processo economico di scambi di beni, servizi, e redditi, un eccesso di flussi lordi. Sulla base di un insieme di politiche fiscali che mal si sono integrate nella politica monetaria europea, incidendo notevolmente nel mercato globale del lavoro, e sul costo del lavoro stesso.

Infatti, l’impossibilità di ricorrere a finanziamenti o a veri fondi Eu di solidarietà, ha posto ulteriori crisi nel sistema europeo, spingendo verso una globalizzazione maggiore, e verso un ulteriore avanzo delle partite correnti mai registrato, nel processo di globalizzazione, con un massimo mondiale nel 2018.

Tuttavia, la governance mondiale, pur riconoscendo alla globalizzazione, la capacità, di integrare in maniera dinamica l’economia, proteggendo il clima, e rivalutando valori eco-sociali mai estinti, le conseguenze reali si sono presto sentite, e hanno riverberato il loro effetto nell’ambito economico-sociale, tanto in Europa quanto nel mondo.

Nonostante le multi crisi, geopolitiche, ed energetiche e gli avanzi delle partite correnti, le democrazie mondiali ed in particolare quella sovranazionale europea, si pongono un obiettivo politico, di grande portata, recuperare, il mal tolto da una globalizzazione irregolare e conservare tutti quegli elementi che non marginalizzano i fenomeni economici, e territoriali, ma che anzi sviluppano una crescita fondata sul reale, vicino alle istanze del mondo rurale ed imprenditoriale agro alimentare, al fine di porre un volano di crescita senza avanzi, una crescita, che supporta l’equilibrio e la stabilità di bilancio, senza eccessi  di slanci esterni.

La “transizione energetica”, ormai sta diventando ingestibile, siamo difronte ad una situazione paradossale, e l’incrocio tra crisi economica, crisi bellica, riduzione dei salari medi, demonizzati dall’inflazione e dall’aumento dei tassi di interesse, e ulteriori difficoltà legate a problemi di ristrutturazione delle infrastrutture dei territori marginalizzati, fa sì che la tenuta sociale, vacilla, e la rivolta degli agricoltori, in Europa è il sintomo di un malessere sociale, non facile da sopire. L’impoverimento, delle piccole medie imprese, è il risultato di una politica di diffusione ambientalista che del Green Deal, vuole fare il cartello di esportazione globale, senza pensare che l’equilibrio reale, nonché ecologico e capitalistico, sono globalmente incompatibili.

Con una politica di accumulazione a crescita irregolare ed infinita, si sopprime la sostenibilità reale, proteggendo la natura dagli stessi allevatori, dagli agricoltori, dai pescatori, loro che da generazioni della natura vivono, nel rispetto della sua essenza. La transizione ecologica si è infatti trasformata, in transizione ideologica, assumendo una dimensione esterna, al problema, con assiomi teoretici, incapaci di risolvere nel breve, obiettivi globali traslati nel lungo periodo, come la riduzione delle emissioni.   La globalizzazione, dunque, è stata sospinta da un flusso di governance finanziaria più avanzata, rispetto alle governance pubbliche delle relative nazioni mondiali, fino ad ora è stata propagandata e rivalutata nella sua specificità economica, considerata, smisuratamente, un motore importante per la crescita e il benessere mondiale, poiché, si è sopravvalutata, l’apertura esterna ai mercati. Anche per l’Europa, sembrava, opportuna, necessario praticare una globalizzazione accelerata, sia per la diffusione dei beni e dei servizi, sia per la propagazione culturale dei valori contingenti e diversi dell’eurozona, sia per consolidare uno Stato di diritto sovrannazionale, che guardasse al mondo, come una opportunità pacifica e commerciale, senza distopie politiche. Ma così non è.

Le frontiere, e la loro apertura, hanno reso possibile, un margine di uguaglianza mondiale fra i popoli, troppo spesso non compensata da una virtuosa applicazione di regole, che sono sfuggite al controllo, vero è che l’apertura dei mercati e la loro frequentazione, ha rimpolpato economie altrimenti povere, predisponendo una migliore qualità della vita, ma depauperando settori economici, per tradizione, e conformazione classica, che bisognano, di incentivi alla produzione o di tutela del settore in questione.

L’ambiguità, professata nel mancato rispetto delle regole nel mercato di riferimento globale ha incentivato una differenziazione nelle attività commerciali, mai sottoposte a controlli organizzativi   preposti ad una supervisione, come pratica la Corte di giustizia europea, equamente volta a derimere le contradizioni e le diatribe commerciali, in maniera indipendente e senza secondi fini, o OMC, Organizzazione Mondiale del Commercio,  quest’ultima scarsamente e raramente coinvolta e le di cui posizioni mai condivise conformemente, per dare regole e disciplinari mondiali.

Da queste dinamiche sono sorti enormi squilibri a livello commerciale, tra i multilivelli globali appartenenti ai vari Paesi aderenti volontariamente alla globalizzazione, e hanno generato diseconomie di sviluppo proprio verso i Paesi meno ambienti e non in grado di assorbire gli avanzi delle bilance commerciali dei partenariati globali, squilibri concorrenziali, incentivati per lo più da una politica obsoleta e poco attenta a recepire i cambiamenti in corso.

Gli aggiustamenti e i tecnicismi derivati e adottati sono stati molteplici, ma a nulla è valso, inevitabile una deriva della globalizzazione mondiale, oggi, le strategie, sono ancora in corso, ma la digitalizzazione, delle monete, ad esempio, non può far fronte agli aumenti dei tassi, all’inflazione, no nel breve, perché vi sono ancora economie, sebbene minori, che utilizzano le eccedenze commerciali, per accumulare riserve valutarie a fronte di crisi o avanzi correnti.

In altre parole, la ricetta è tendere, prevalentemente ad un’economia reale, rivalutandola nella sua essenza e nei comparti che maggiormente contribuiscono al Pil europeo, evitare le crisi finanziarie che molto incentivano un forte calo degli investimenti privati, perché, questi limitano un calo dei tassi reali, e così si evitano sfide finanziarie e monetarie comprimarie. La politica monetaria europea, fortemente integrata in un processo di sviluppo e di crescita settoriale con misure restrittive, ha creato una leva riduttiva del sistema economico reale europeo, con conseguenze inevitabili sulla globalizzazione in termini economici-sociali e occupazionali.

La forte delocalizzazione, della produzione industriale, ha creato una schermata sociale, e contrattuale, che ancora oggi, stenta ad essere superata a vantaggio di intere classi sociali ed operaie, come il caso Stellantis, che produrrà un paradosso di industrializzazione integrata con nuovi gruppi multinazionali cinesi, al fine di non abbandonare il sistema produttivo e non renderlo inattivo. Come possiamo dedurre le economie avanzate, causa globalizzazione, hanno subito un processo lento ma inevitabile di destrutturazione del mercato del lavoro, con una sferzata economica, con effetti e minacce sia all’entrata, che all’uscita, infatti la diminuzione della manodopera e la delocalizzazione produttiva nonché gli scarsi investimenti pubblici, hanno provocato negli ultimi decenni, una recessione globale al punto tale che alcune realtà, sono state marginalizzate. Le macroaree regionali europee, presentano con evidenza questi fenomeni della globalizzazione, determinando una differenziazione spinta e una politica fiscale residuale.

Questa distopia economica ha implementato una globalizzazione senza aspettative di successo, l’indifferenza dei governi nazionali in Europa ha reso possibile un accentuarsi della disoccupazione, e una maggiore moltiplicazione degli avanzi correnti, pertanto contrariamente alle predizioni economiche, l’apertura sregolata dei mercati, non permettendo la veicolazione dei valori attraverso lo scambio dei beni e dei servizi, ha retrocesso, il sistema democratico e la sua valenza, indebolendo, quelle nazioni che delle tradizioni artigianali come l’Italia avevano fatto eccellenza. Vi è, dunque, bisogno, di una rinascita degli Stati membri, come Stati Nazione, per un recupero reale dell’economia, in particolare per dare all’Europa una essenza politica di Nazione, con una coscienza non ideologica e teorica, ma concreta.      

L’orientamento implosivo di un simile processo globalizzante, si è rivolto verso un consumatore globale, sempre meno cittadino e sempre più utente di un’offerta globale massificata e radicalizzata là dove i costi di produzione sono ai margini dei diritti, come nei Paesi asiatici. La percezione sociale, dagli anni Ottanta ad oggi, ha veicolato un benessere sociale fittizio, improntato su una sicurezza economica surreale, poco reale, infatti gli approvvigionamenti globali stanno crollando sia in campo energetico, che alimentare, fattori interconnessi di una medesima equazione economica, che ci induce a pensare che la globalizzazione è giunta al suo capolinea naturale, dopo aver destrutturato il mondo nella sua linearità economica, derivante da una linearità che si originava da una realtà supportata dai territori e dalle loro vocazioni, rurali, agricole, artigianali, ovvero un insieme di tessuto produttivo secolare e che si poteva secolarizzare, se la globalizzazione non avesse elargito i suoi compromessi economici senza regole commerciali.

 Proteggere quanto avanza da una disfatta economica e commerciale simile, con inquinanti non solo ambientali ed ecologici, disarmanti, non sarà facile, ma possibile, un nuovo modello matematico ed economico deve invertire i paradigmi della politica per una conservazione dell’esistente. Dopo una pandemia disarmante, pregna di responsabilità decisionali sui diritti umani, di cui, oggi risentiamo di carenze approvvigionali farmaceutiche, che richiedono di un avvicinamento della produzione. Inoltre, la crisi Ucraina, ci ha reso vulnerabili, all’acquisto di beni, cercando la sicurezza ed evitando le dipendenze, da approvvigionamento, la globalizzazione, sta cedendo il posto alla nazionalizzazione, o a gruppi di nazioni che creano unioni comuni, per scambi commerciali sicuri, nell’ambito minerario ed energetico.

Ma i cicli del credito finanziario stanno per assorbire, la gestione climatica, la crisi della domanda, generando flussi positivi dell’offerta, a discapito, di una industrializzazione tutta nazionale. Le catene del valore produttivo sono per lo più a vantaggio di multinazionali cinesi, che sebbene oggi con una globalizzazione in default, esporta la sua crisi e rallenta ogni variabile del lavoro globale, nel mondo occidentale, e l’Europa in particolare si adegua ad una decrescita del suo sistema di riferimento.

Ma le dinamicità di cambiamento non consentono un adattamento monetario, grossi capitali, sono necessari per far fronte al cambiamento climatico, alla riformulazione ambientale e produttiva, con un esagerato rischio di impiego,  che rincorre un’evoluzione globale obsoleta per definizione, che rischia la sua estinzione, la sua crisi, siamo ad un punto di ritorno, la stessa Europa, rincorre un piano energetico alternativo, a basso costo, che sostituisca il precedente rimosso dalla crisi bellica Ucraina. In un clima politico così fortemente performante, richiede una politica monetaria, innovata e una politica fiscale sempre più incisiva ed inclusiva, che riesca a far fronte ad aumenti di deficit sempre più esosi, causa aumento anche di impegni di spesa bellici maggiori, che in Europa sono diventati, necessari, in una globalizzazione della difesa europea, sempre più unita.

Tuttavia, la politica monetaria europea così legata ad una sovranità bancaria centrale, stenta ad affrontare, la velocità di un’inflazione non dà credito, ma da una globalizzazione dà profitto. Le compensazioni da contrazione e recessione economica, pertanto marginalizzano la stessa politica monetaria e la riducono a espressione fiscale, che in un mondo dall’economia globale, deve fungere da stabilizzatore, poiché l’insostenibilità dei nuovi modelli di profitto, non sono più praticabili, gli avanzi commerciali, non più profittevoli.

Le differenze globalizzate diventano sempre più evidenti, e preservare le nostre Nazioni europee significa attuare una politica riformista e inclusiva, che progetti un futuro, reale e vicino ai valori democratici. Gli obiettivi, comuni devono essere condivisi, per l’attuazione di transizioni che diano spazio all’uomo e alla sua vita, la politica monetaria, deve far fronte a soluzioni non solo globali che consentano di distinguere l’inflazione e la sua crescita salariale, si dovrà, rimuovere i deficit di bilancio nazionale a fronte di un solo debito comune, per ridurre la pressione sui bilanci nazionali e lasciare ai governi maggiori margini di manovre di crescita e sviluppo. Le convenzioni, economiche, possono anche globalmente trovare un flusso di benessere e di crescita senza avanzi correnti eccessivi.                                    

Autore

Economista, Bio-economista, web master di eu-bioeconomia, ricercatrice Unicas, autrice e ideatrice di numerosi lavori scientifici in ambito internazionale. Esperta di marketing. Saggista, studiosa di geopolitica e di sociopolitica. È autrice dei saggi “Il paradosso della Monarchia” e di “Europa Nazione”. Ha in preparazione altri due saggi sull’identità e sulla politica europee.