“Quanno arrivi a un certo punto della vita e capisci di averne sprecato tanto, devi corre per “recuperallo”.
Si apre così il film drammatico “Martedì e Venerdì” diretto da Fabrizio Moro e Alessio De Leonardis, con la voce fuori campo, cupa e graffiante, del protagonista della pellicola, Marino – Edoardo Pesce-; un uomo che sta attraversando un momento particolare della vita. Di recente si è separato dalla moglie Simona – Rosa Diletta Rossi- con la quale concorda di poter vedere la figlia Claudia -interpretata da Aurora Manenti- due volte a settimana: il martedì e il venerdì – ricorda il film di Dino Risi “Il Giovedì”, con protagonista il grande Walter Chiari -.
Marino vede sgretolarsi la vita davanti agli occhi, oltre al divorzio, arriva la mannaia dei problemi economici, dopo aver ricevuto una cartella esattoriale di cinquanta mila euro. In un primo momento viene ospitato dal fratello Emiliano -impersonato da Pier Giorgio Bellocchio-, anche lui in condizioni economiche disastrose, successivamente, non potendo prendersi un appartamento in affitto, va a dormire nel garage della sua officina, costretto a chiudere per i debiti accumulati. Questa condizione di disperazione, nonostante gli sforzi messi nel trovare un lavoro onesto, lo porta ad avvicinarsi a persone che per vivere compiono rapine nei supermercati. Da questo momento le cose cambiano, ma la vita ti porta il conto del tempo speso male.
“Martedì e venerdì” è una fotografia di uno spaccato sociale dei tempi moderni, di una periferia di Roma est, dai colori grigi, a volte tenui, pregna di delusioni, di fatica ad arrivare a fine mese, di lotta per sopravvivere alla vita che in quei posti è più dura che mai; di madri e di padri che si scontrano con le difficoltà che comporta una separazione; scelte sbagliate dettate dallo sconforto e dall’eterna incertezza, non solo di un domani, ma del presente stesso. L’unica certezza nella vita di Marino è l’amore per sua figlia Claudia.
Prima di una gara di nuoto della figlia, il protagonista del film, insegna una filosofia di strada, che solo nei vicoli delle borgate puoi imparare: correre, non scappare. Claudia apprende dalla voce rassicurante di Marino che correre, significa andare in fretta verso un obiettivo; scappare è una corsa dettata dalla paura.
La vita va affrontata senza fuggire, poiché la paura può ingannare e portare ad assumere decisioni sbagliate.
Un film che racconta anche di esperienze vissute dagli stessi registi, con le loro vite passate nei loro borghi di periferia e con le loro separazioni matrimoniali. Nulla vuole insegnare questa proiezione, nessuna morale; un finale aperto e uno specchio in cui tutto il pubblico può trovare il proprio riflesso, immedesimandosi nelle storie complicate dei personaggi.
Vedendo questo film, a tratti molto commovente, mi sono soffermata sul regalo che dà Marino a sua figlia, una clessidra.
Con il suo flusso lento, la clessidra è il simbolo del tempo. Non è come l’orologio, che avanza implacabilmente, senza pietà. La clessidra ci offre una scelta, una piccola illusione di controllo. Con ogni granello di sabbia che scorre è un momento della nostra vita che se ne va, eppure, quando il tempo termina, nessun ticchettio ci spinge a correre. C’è solo la consapevolezza che possiamo girala e ricominciare daccapo come se dessimo un’altra possibilità alla nostra esistenza.
È così che Marino nel silenzio del tempo che scorre, forse, può trovare la bellezza di una nuova opportunità.