La “nostalgia” come sentimento “moderno”: è la sfida lanciata dalla Fondazione Palazzo Ducale di Genova con la mostra (a cura di Matteo Fochessati, in collaborazione con Anna Vyazemtseva) Nostalgia: il sentimento moderno dal Rinascimento al contemporaneo, aperta dal 25 aprile al 1 settembre 2024 nell’Appartamento del Doge.
La mostra prende il via dalla tesi di laurea Dissertatio medica de Nostalgia del 1688, nella quale il medico JohannesHofer, giovane studente di medicina di origine alsaziana, descriveva la nostalgia come una patologia comune tra i soldati svizzeri durante i loro servizi militari. Per identificare questo nuovo disturbo clinico fu necessario coniare un termine, che Hofer ricavò dall’unione di due parole di origine greca: “nóstos” (ritorno) e “algos” (dolore o tristezza).
A partire dalla ricerca di Hofer la mostra coniuga, attraverso le suggestioni formali e iconografiche di un percorso artistico che parte dal Rinascimento e approda ai giorni nostri, le diverse espressioni della nostalgia, documentando archetipi e protagonisti di una patologia che progressivamente si è trasformata in un sentimento ambivalente e contraddittorio, individuale e collettivo, presente nella storia dell’umanità sotto tutte le latitudini geografiche e culturali.
La mostra-ricerca è articolata in tredici sezioni. C’è la “nostalgia di casa” che accomuna i milioni di rifugiati – in fuga nel corso del ventesimo secolo dalle persecuzioni politiche e religiose scatenate da regimi dittatoriali – agli emigranti italiani che, tra Otto e Novecento, varcarono l’Oceano in cerca di fortuna. E c’è la “nostalgia del paradiso”, vissuto in diverse epoche nei confronti di una nuova Arcadia, luogo di origine, ma anche ambientazione di un’irrecuperabile dimensione di purezza e serenità. C’è la nostalgia del mondo classico, vagheggiato da Goethe, Schiller, Novalis, Nietzsche, visto come luogo originario di tutti i miti universali. E la nostalgia nell’età della propaganda, attraverso la quale la riappropriazione del passato da parte dei regimi autoritari diventa costruzione sociale, in grado di accomunare persone, gruppi, movimenti culturali e politici. C’è la nostalgia dell’antico, maturata nella seconda metà dell’Ottocento, con la diffusione del concetto di Heimat (casa, piccola patria, luogo natio) a fronte dell’avanzante modernità industriale distruttiva della natura e delle tradizioni. Ed ancora la nostalgia dell’altrove (espressione di un intenso desiderio per luoghi remoti e sconosciuti), la nostalgia della felicità (verso un sogno irrealizzato, una promessa non mantenuta, una felicità incompiuta, ma anche un ricordo felice), la nostalgia dell’infinito (fissata, durante l’età romantica, nel confronto con la natura ancora incontaminata, con la grandiosità dei paesaggi ed il senso di estraneità e di mistero da essi evocata).
Il progetto espositivo coinvolge oltre centoventi opere che tracciano un itinerario attraverso le arti figurative dal Quattrocento al Contemporaneo. Tra i capolavori in mostra, provenienti da prestiti di prestigiosi musei e collezioni private italiane e internazionali, figurano opere di Albrecht Dürer, Luca Giordano, Jean Auguste Dominique Ingres, Francesco Hayez, Giovanni Boldini, Evelyn De Morgan, Giacomo Balla, Giorgio De Chirico, Florence Henri, Lucio Fontana, Yves Klein e Anish Kapoor. Tra i rimandi mitologici al tema della nostalgia centrale l’Odissea, con l’incisiva personificazione del poema omerico raffigurata da Jean-Auguste-Dominique Ingres, con l’”Autoritratto come Odisseo” di Giorgio de Chirico e con l’”Ulisse e Calipso” di Luca Giordano, ma anche l’Eneide e il mito di Demetra e Persefone. Seguono i ritratti dei più celebri cantori della nostalgia: Dante Alighieri, Ugo Foscolo e Giuseppe Mazzini (la nostalgia degli esuli), Lord Byron (la nostalgia della giovinezza), Giacomo Leopardi (le ricordanze) e, infine, Giovanni Battista Piranesi (la nostalgia dell’epoca classica).
La nostalgia in mostra fruga tra le opere di architettura come la maquette in bronzo del padiglione italiano all’Expo di Parigi del 1925 di Armando Brasini, e ancora tra i progetti di Edwin Lutyens, architetto inglese che ha progettato la Casa del Vicerè a Nuova Delhi, presenti nella sezione dedicata alla nostalgia al tempo della propaganda. La scultura si fa largo con opere di Arturo Martini e inserti di arti decorative come la Capanna per l’Agro Romano in terracotta di Duilio Cambellotti o un piatto di Giò Ponti. C’è spazio anche per “Il Giudizio di Paride” di Ivo Saliger, tipica espressione dell’ ideologia estetica del nazionalsocialismo.
“La Nostalgia, e la sua dimensione ’sentimentale’- spiega IlariaBonacossa, direttrice di Palazzo Ducale – sembrano oggi fuori moda; forse per il ritmo serrato della vita quotidiana soggetta a incessanti stimoli mediatici nella vertiginosa connessione digitale, oppure perché il valore del nuovo insieme alla necessità d’essere al passo con i tempi trasforma l’idea di guardare ’indietro’ di aprirsi a spazi altri in una perdita di progresso. Siamo tutti all’inseguimento di nuove emozioni dimenticando il valore di quelle passate, per questo la scelta di Palazzo Ducale di presentare e produrre una mostra sulla Nostalgia nell’arte attraverso cinque secoli con la sua dimensione articolata e profonda diventa un segno importante, la volontà di dare spazio a un tempo del pensiero in una società incentrata solo sul cambiamento”.
In realtà, se ben compresa, la nostalgia può diventare un toccasana in tempi come l’attuale. Studi aggiornati si muovono in questa direzione.
Ricordare il passato è associato dalla psicologia contemporanea ad un migliore benessere mentale, in quanto risulta estremamente efficace per trovare motivazione, forza di perseguire obiettivi importanti e a volte per riuscire a dare un senso alla vita. Questo in ragione dell’ aumento della connessione sociale, del mantenimento della continuità del sé e dell’attribuzione di un maggiore significato alla vita.
La nostalgia appare perciò tutt’altro che un sentimento negativo o una patologia. La tristezza che è insita nella nostalgia deriva dal fatto che qualcosa che abbiamo amato o che amiamo ancora ci sia sfuggito: come tutto ciò che riguarda la memoria, esiste dentro di noi in modo immateriale; eppure non possiamo fare a meno di constatarne l’assenza nel mondo reale in cui viviamo.
Un buon motivo per cogliere il valore di questo “sentimento”, cogliendone le diverse coniugazioni culturali ed artistiche. Non solo guardando al passato, ma con lo sguardo ad una “ricomposizione” futura. Come sollecita a fare la mostra in corso a Genova.