• 23 Ottobre 2024

Quando si parla di Cinema, da un lato abbiamo la gente “normale” che tratta i film come opere di svago di cui fruire qualora si voglia, dall’altro ci sono i “cinefili”, i super esperti che sono in grado di fare una lista dei più grandi film e registi di tutti i tempi, analizzandone le caratteristiche, lo stile, le tematiche. Possono parlare di Kubrick, di Scorsese, di Orson Welles, di Tarantino, di Sergio Leone e tanti altri. Da qui potrebbe aprirsi una discussione riguardo la natura del “film”, in quanto linguaggio artistico per le masse o in quanto fenomeno di nicchia. Quel che è certo è che anche nell’ “ignoranza” pubblica c’è un nome che non è mai passato inosservato, il nome di Steven Spielberg. Anche se ignari del suo patrimonio cinematografico e inesperti in materia, sembra proprio che questo nome sia conosciuto da tutti, e che almeno uno di noi nella sua vita abbia visto un suo film.

Cosa rende Spielberg così famoso, così unico e così importante? Una risposta può  risiedere proprio nel suo modo di intendere il Cinema, che in un certo senso va a ripescare quello che era il suo spirito originale, prettamente hollywoodiano all’epoca dei suoi albori. Mentre negli anni ‘20 in Europa dilagava l’arte complicata ed esistenzialistica del cinema espressionista, dove le immagini erano un pretesto per approfondire ed esplorare gli angoli reconditi e più oscuri dell’essere umano, l’America prende il Cinema e coerentemente a una visione pragmatica e concreta ne fa uno strumento economico e di profitto. Ma per fruttare, i film dovevano intrattenere e attrarre quante più persona possibili. Spielberg fa suo questo concetto, quello dell’intrattenimento, dell’impressionare, del meravigliare, ma essendo un autore lo fa in modo tale da convogliare un messaggio, una morale, un sentimento. Spielberg è quindi una sorta di cantastorie, un narratore di fiabe e di favole che invece di scrivere su carta registra su pellicola. Ma forse a caratterizzarlo è il fatto che, vuoi per caso o per genialità, sia stato soprattutto un pioniere, nel modo originale e rivoluzionario che ha sempre avuto di usare gli effetti speciali e visivi. E lo è stato in tanti ambiti. E’ in effetti uno dei registi più versatili. Non si è mai focalizzato su un solo genere. Ha affrontato il “Fantascientifico”, l’”Avventura”, il “Bellico”, l’ “Impegnato”, lo “Storico”, l’ “Horror”, la “Commedia” e persino l’ “Animazione”. In un certo senso ha “aggiornato” l’arte di fare film. Il Cinema in effetti ha sempre tentato di rendere ciò che è fantastico reale. Basti pensare già ai film hollywoodiani degli anni ’20 e ’30 come “Il mondo perduto” (titolo che Spielberg stesso riprenderà per il sequel del suo capolavoro “Jurassic Park”) o “ King Kong”, film nei quali si usava la tecnica dello “stop motion” per portare sul grande schermo creature affascinanti e impressionanti come i dinosauri, mettendoli affianco alla figura umana, facendoli convincere e scontrare. Spielberg fa esattamente la stessa cosa, rielaborando il tutto con stili narrativi moderni e tecnologie all’avanguardia. Basti pensare al film “Jurassic Park” (ispirato al romanzo di Michael Crichton).

Il film parla di scienziati che, grazie a tecniche di ingegneria genetica di ultima generazione, sono stati in grado di riportate in vita i dinosauri con lo scopo di farne l’attrazione principale di un parco a tema situato a Isla Sorna, un’isola immaginaria al largo del Costa Rica. Tuttavia, in una serie di avvenimenti rocamboleschi, gli animali sfuggono al controllo dell’uomo e finiscono per prendere il sopravvento. Ed ecco che in questo film abbiamo dinosauri che ancora oggi, dal lontano 1993, grazie ad un uso accorto di animatronics e CGI (immagini generate al computer) risultano credibilissimi. Così in Jurassic Park, il fattore incredibile, già portato in vita nei film degli anni ’20 e ’30, diventa ancora più credibile, vivo, palpabile, reale. Da qui una tematica, quella dell’uomo che si interfaccia a ciò che è inusuale, impressionante e fuori dall’ordinario, che si ripresenta in molti dei suoi lavori. Questo “incredibile” per esempio, oltre ad essere rappresentato dai dinosauri di Jurassic Park, può essere il minaccioso e inarrestabile squalo in “Jaws”, l’alieno in “ET:l’extraterrestre”, il “camion assassino” in “Duel”, i manufatti custodi di misteri e rivelazioni in “Indiana Jones” oppure ancora altri alieni in “Incontri ravvicinati del terzo tipo”. La domanda alla base delle sue storie è quasi sempre la stessa: come agisce l’uomo nei confronti di questo “incredibile”. Ne uscirà vincitore o sconfitto? Migliorato o affossato? Estasiato o disilluso? E’ in questo “scontro” ambivalente e antitetico, allo stesso tempo bello e brutto, estasiante e deprimente, meraviglioso e spaventoso, tra uomo e natura, uomo e alieno, uomo e “l’altro”, che si esplorano le tematiche prettamente umane dei personaggi nei loro viaggi interiori, o nelle loro avventure rocambolesche. Ecco perché l’ “effetto speciale”, per quanto spettacolare possa essere, non viene mai usato per distrarre o per intrattenere fine a sé stesso, ma è sempre al servizio della storia e allo sviluppo delle figure umane al suo interno. In “Jaws” per esempio, lo squalo è sì l’elemento che spaventa e sconcerta lo spettatore, ma è soprattutto il pretesto narrativo per esplorare il conflitto uomo-natura nonché la relazione difficile, conflittuale e realistica tra i tre personaggi principali. In modo particolare il pubblico istaura un legame con il protagonista fin da subito, il capo di polizia Brody.

Lo squalo rappresenta la sua paura (o le sue paure) che deve affrontare per diventare una versione migliore di sé. All’inizio del film, egli ha paura dell’acqua, evita il mare, non osa neanche mettere le punte dei piedi sulla riva della spiaggia. Eppure alla fine del film lo vediamo immerso quasi completamente in acqua in cima all’albero di una barca che sta per affondare, completamente impassibile, fermo, concentrato e deciso ad uccidere lo squalo che si sta avvicinando a velocità disarmante verso di lui. E alla fine ne esce vincitore. E lo fa in maniera spettacolare. Spielberg infatti non abbandona mai la componente dell’intrattenimento. Mentre nell’omonimo romanzo di P.Benchley, da cui il film è tratto, lo squalo muore a causa delle ferite, nel film lo squalo esplode! Brody infatti, in un momento di coraggio ma anche di concitata disperazione, sparando con un fucile in direzione dello squalo, riesce a beccare la bombola di ossigeno che gli era rimasta tra le fauci. L’esplosione, tra brandelli e sangue, è volutamente esagerata, ma straordinariamente appagante per lo spettatore che non può non rimanere soddisfatto, riconoscendosi nel volto estasiato ed euforico del protagonista, che si lascia andare ad una risata liberatoria nel momento in cui si rende conto di avere davvero sconfitto quel nemico che sembrava essere così imbattibile e inarrestabile. Ma “l’incredibile” non deve essere per forza un mostro, un dinosauro o un alieno, ma anche un prodotto stesso dell’uomo, terribilmente reale eppure tanto assurdo da essere inconcepibile, sconcertante, terribile… per l’appunto incredibile. La guerra, per esempio. Spielberg ne tratta in molti suoi film. Suo padre infatti ha servito nell’esercito ed uno dei suoi primissimi lavori da ragazzino è stato per l’appunto un cortometraggio di guerra intitolato “Escape to Nowhere”. Tra i suoi film di guerra più importanti ricordiamo “Schindler’s List”, che  rappresenta più che altro il suo capolavoro di “cinema impegnato”, un’opera cruda e profonda sulla vicenda reale dell’imprenditore tedesco Schindler a cui è attribuita la salvezza di migliaia di ebrei dai campi di concentramento nazisti durante la II guerra mondiale.

Ma forse il suo vero film di guerra, nel senso che ci porta direttamente in prima linea nel mezzo degli scontri armati e delle battaglie, è “Salvate il soldato Ryan”. Se vogliamo è anche un film di “avventura” che prende vita in un contesto bellico che ci viene presentato nel modo più realistico possibile, soprattutto a inizio film. La prima mezz’ora, infatti, è considerata da critici e pubblico come la rappresentazione più viscerale di un combattimento bellico. Stiamo parlando della scena dello sbarco in Normandia, più precisamente sulla spiaggia di “Omaha”, durate l’operazione Overlord del 1944 (D-DAY). Anche qui, la guerra è il pretesto per esplorare i dubbi, i conflitti, le speranze, le forze e le debolezze dei nostri personaggi. Ma proprio come i dinosauri in Jurassic Park o lo squalo in “Jaws”, anche la guerra ha la sua ambigua “spettacolarità”. E la cosa ci viene letteralmente detta, sempre nella famigerata scena di Omaha beach. Alla fine della battaglia qualcuno, fuori campo, commenta ciò che ha appena vissuto, dicendo “che spettacolo!” e il capitano Miller, il protagonista, mentre la macchina da presa indugia sul suo sguardo penetrante, distaccato ma pensieroso allo stesso tempo, conferma “Sì, è così, che spettacolo”. A quel punto Spielberg ci mostra l’orrore che quello “spettacolo” ha lasciato alle spalle, con una carrellata delle atrocità che sono state compiute sulla spiaggia, la distruzione, i cadaveri, il mare rosso sangue, tutto accompagnato da una musica tetra, funebre, ma anche vagamente eroica e gloriosa, il che crea una sensazione disturbante. Insomma, una scena del genere non può non emozionare, impressionare, raccapricciare e forse anche mettere in crisi. Lo spettatore si chiederà: era quello lo “spettacolo” a cui abbiamo assistito? Come si fa a definire spettacolare un qualcosa che lascia solo morte e distruzione? Ecco, forse un altro aspetto di Spielberg è proprio il “gioco” delle emozioni, il far emergere una serie, magari antitetica, confusa, ma pur sempre affascinante, di stimoli emotivi e psicologici. E quindi abbiamo la meraviglia e il terrore, la gloria e l’infamia, l’eroismo e la miseria. Eppure, qualunque sia il tema trattato, c’è sempre del “bello” in ciò che si vede, poiché tutto intrattiene, tutto “diverte”, anche ciò che di divertente ha ben poco. Probabilmente lo “spettacolo” non sminuisce ciò che è serio, ma al contrario aiuta ad imprimerlo meglio nella coscienza di chi guarda.  

Ed è forse questo uno dei motivi per cui quando nomini “Spielberg”, l’altro, avvocato, ingegnere, studente, adulto, bambino che sia, ti risponderà “Ah sì, lo conosco”.

Autore

nasce a Piedimonte Matese, provincia di Caserta, nel 1996. Dopo la laurea in Scienze Politiche presso l’Università degli studi di Napoli “Federico II”, si cimenta nella recitazione, nel doppiaggio e nella regia cinematografica. Contemporaneamente coltiva la sua passione per la scrittura, con la sua prima opera, la trilogia di Partenope, come frutto del suo amore per il mare e come omaggio alle sue amatissime origini siculo-napoletane.