La Politica di Coesione europea è orientata a ridurre le eventuali disparità di sviluppo fra le macro arie regionali degli Stati membri ed in particolare ad eliminare le differenze persistenti tra il nord e il sud dell’Europa, rafforzando la coesione economica, sociale, territoriale, infrastrutturale, per una crescita di bilancio paritetica ancorché intelligente, sostenibile e inclusiva, nel rispetto delle diversità culturali patrimoniali e tradizionali di ogni nazione europea.
Il divario che l’Unione europea mira a ridurre è pur sempre rivolto alle zone rurali, per una sorta di transizione alimentare, meno tradizionale e in particolare alle zone interessate alla transizione industriale, tenendo conto in primis di quelle regioni che prospettano permanenti svantaggi naturali, con l’intento di ripristinarli, o svantaggi demografici, per sostenerle in ogni politica sociale e civile integrata, in altre parole, l’Europa o meglio l’Unione Europea, si occupa di quelle regioni settentrionali dove si evince una bassissima densità demografica che spesso sono le penisole insulari, o transfrontaliere, e o regioni di montagna.
Attraverso la transizione ambientale, le disparità territoriali sono obiettivizzate, al fine di eliminare retaggi politici di intervento, e al contempo eliminare disparità territoriali nonché demografiche, che osteggiano lo sviluppo coeso dell’eurozona.
Oltre ai recenti fondi di coesione, già istituiti dal 1994, implementati nel 2008 con fondi strutturali, denota come gli obiettivi europei siano l’epicentro di una coerente politica di integrazione per evitare che si ampli un’Europa ha due marce. Ma anche al fine di condurre una transizione che abbracci nella sua complessità tutti gli aspetti economici, energetici, digitali, alimentari, rurali, industriali, distributivi, e ambientali.
La programmazione dei numerosi fondi finanziari erogati al fine di una coesione, strumentale ad una assistenza organizzativa propedeutica allo sviluppo regionale di riferimento, con relativi partenariati di competenza, implicano, ovviamente un plusvalore per favorire investimenti mirati alla crescita, e all’occupazione, e dunque ristrutturare il mercato del lavoro e le relative economie regionali.
Abbiamo una cooperazione confederata, europea, con sbocchi transfrontalieri, transnazionali, e interregionali, pertanto le differenziate autonomie nazionali, si inseriscono in un ambito politico di ampio respiro per una unilateralità della soluzione del problema al fine di rispondere in termini di principio di sussidiarietà programmatica e non ideologica, in un quadro di dimensione interna nazionale ed esterna sovranazionale.
Appreso che gli obiettivi di coesione inseguono intelligentemente il cambiamento che stiamo subendo non solo a livello europeo ma anche planetario, e che con una programmazione precisa punteranno a ristabilire un equilibrio sostenibile, in ogni ambito economico e non, si evidenzia che l’Unione ha realmente bisogno di un cambiamento radicale, e che parte o deve partire dall’unione dei mercati dei capitali, indipendentemente o contestualmente ad una modifica dei Trattati, ma coerentemente con una politica di coesione, che deve creare una coesione di riferimento non solo sull’agenda del clima, sul tema della difesa, sulle azioni inerenti alle catene di valore energetico e al loro approvvigionamento, orbene dobbiamo a livello europeo razionalizzare e armonizzare in termini di coesione e consolidare ogni azione economica, ciò fa presupporre che l’attuale asset europeo, giuridico e di governance pubblico chiama e invoca un cambiamento, oltremodo radicale.
Siamo un passo avanti, al superamento del radicalismo draghiano europeo che creava uno sbarramento dell’intera economia europea, ciò si è reso possibile con il risultato delle recenti elezioni europee, dove l’asset politico si suole conclamarlo con un principio maggioritario procedendo alle nomine referenziali di ogni gruppo parlamentare europeo, benché il Popolo e la Nazione Europa abbia votato con un principio elettivo proporzionale, modificando il tutto e inaspettatamente promuovendo la destra, sovranista e conservatrice.
Se ne conviene, che puntare ancora ad una leadership con esclusività socialista, resta riduttiva e non inclusiva venendo meno ad un principio di confederazione cooperativista e sminuendo i valori di coesione e di politica accentrando lo schema politico su una mancata democrazia proporzionale, rinunciando a valori basilari già sanciti, nei trattati e nelle politiche in corso.
Ciò promuove involontariamente un cambiamento e una trasformazione dell’Europa, che non trae origine solo a livello economico ma anche giurisdizionale, non solo a livello di riforma dei trattati, e livello di rielaborazione organizzativa competitiva regionale, riunendo le due anime geografiche del nord e del sud, rimpolpando l’accesso ad un credito finanziario, rimodulando il fallimentare debito pubblico della stragrande maggioranza degli Stati membri, ma anche a livello di competitività giuridica.
Certamente si può in una globalizzazione economica e una multipolarità monetaria a cui stiamo assistendo, i mercati chiedono all’Europa stabilità di bilancio e bancaria, crescita, competitività, unione fiscale e unione giuridica, perché l’una e propedeutica all’altra a prescindere dalle riforme dei trattati.
La politica di larga scala affrontata dagli Stati Uniti, dai Brics in particolare dalla Cina, ci deve far interrogare sul futuro dell’Europa, la coesione resta la base e il riassetto programmatico ma manca il perno politico. L’asimmetria delle normative internazionali, non ci fa camminare veloci in ogni ambito riorganizzativo, determinando una mancata integrazione, e non ci consente di ambire ad un posto di rilievo nello scacchiere mondiale.
Strumentale è sicuramente la trasformazione coesa dell’intera economia europea, tuttavia prioritario è cambiare rotta sull’asset politico essendo inclusivi, e puntare ad una riforma della forma di governo europea.
Non è più sufficiente agire insieme, non basta più una interconnessione competitiva, un’Unione monetaria anche digitale, la destra , europea, cosi fortemente invocata a scendere in campo avrà un ruolo riformista fondamentale, nell’ambito sociale ed occupazionale ma anche dello sviluppo digitale avanzato, nonché nella riforma delle riforme, predisporre l’Unione a divenire “Stato”, finalizzato ad una azione di coesione imprescindibile ed indivisibile per rafforzare, l’intero asset economico europeo.
L’isolazionismo, non è una scelta, diviene una condizione marginale e non risolutiva per ogni nazione europea, riconoscendo lo stato sociale di crisi reale, si deve convenire che ripristinare la competitività in termini sostenibili, naturali, ed economici energetici di valore, non è più sufficiente operare insieme, la coesione politica ci chiede di andare oltre, con consapevolezza, senza sminuire le nostre sovranità bisogna unificare l’Europa andando oltre il concetto di Nazione, divenendo Stato.
Assumere una strategia non unitaria e comunitaria, ma una strategia coesa ed unica asservita ad un unico Stato, una riforma che potrebbe portare avanti una forza conservatrice e riformista e non solo, con l’ausilio di ogni nazione.
L’Europa ha bisogno di risposte immediate, di soluzioni vincenti, di azioni esaustive e solerti, le modifiche dei Trattati rallentano, l’incipit della competitività industriale, rurale, del mercato del lavoro, rallentano in ogni caso per assioma l’intero sistema, e se siamo cittadini d’Europa, non possiamo esserlo senza un unico Stato, senza una riforma imperativa, senza una scelta univoca e irreversibile.
La condivisione nasce dalla coesione, tuttavia la coesione conduce ad uno stato di cittadinanza e di diritto Unico, omogeneo, fondato su diversità congenite ma propedeutiche ad un impero democratico e non solo solidale.
Il monetarismo ha fallito, ma la politica di coesione deve esserne il superamento. Le alleanze coadiuvano, non devono predisporre od imporre, un’indipendenza europea renderebbe l’Europa più forte sotto ogni dimensione.