• 19 Settembre 2024
Editoriale

La globalità della crisi impone una rivoluzione concettuale nonché ideologica e assolutamente pragmatica, perché è evidente che la crisi bellica si porta a traino, la crisi degli stati nazionali, ed infine determina una deriva della democrazia.

L’epoca del dominio delle Nazioni che si ponevano come protagoniste assolute e hanno fatto la storia del Novecento sembra giungere alla fine, viviamo in un mondo interconnesso, dove la geopolitica sta facendo da padrona ma essa stessa sta subendo una trasformazione e sebbene sentiamo fortemente di attuare un processo di liberazione dei popoli europei, tuttavia fatichiamo a creare uno Stato-Nazione, forse incapaci di disilludere le nostre ideologie artificiose e troppo materialiste e monetariste  alle quali ci siamo aggrappati, per simulare una parvenza di Unione Europea, trainata da una banca centrale, ego centrista e poco flessibile.

Le nostre trascorse tradizioni liberali, hanno misurato con grande ritualità il concetto, di Nazione, e li Stati nazionali hanno spinto in Europa verso una sovranazionalità, una governance che comunque resta ferma ad una mera cooperazione, riducendo lo Stato e la sua centralità a pura farsa monetaria centralizzata nella Bce, sembra quasi che ogni sovranità abbia assunto eccezioni singolare, perdendo un significato di base ancorato alla Nazione di riferimento, causa di una regolamentazione sfrenata e di un burocratizzazione europea imperante in ogni ambito economico nonché politico.

Vero è che le nostre democrazie, dopo la Seconda guerra mondiale, sono state pervase da sistemi politici relativamente stabili, a causa di leggi e sistemi di governo poco accettabili e precari, solo con il processo di integrazione europeo abbiamo fatto un salto di qualità anche economico che ci consentisse di andare oltre la sfera nazionale, ma che oggi, dopo decenni, la globalizzazione anche delle crisi sta scardinando.

Il sistema sovranazionale europeo ha reso però possibile, non solo il mercato unico, la moneta unica, ma la solidarietà di coniugare l’interesse nazionale, con l’interesse europeo e di interfacciarlo verso il resto dello scenario mondiale.

L’Europa ha reso possibile una velocità di commercializzazione, liberandoci dai dazi, e dalla politica delle autonomie esclusive investendo in un regionalismo diffuso, e creando una politica di coesione sempre più inclusiva e resiliente, ovviamente lo Stato nazionale sta subendo delle difficoltà di azioni, che vanno a cozzare con la sua Sovranità, che sta cedendo il passo ad una sovranità sempre più sovranazionale, ma sempre meno Stato, in altre parole si rischia di sfiorare una  artificialità dello Stato, Akhil Gupta (antropologo) :definiamo lo Stato “ una creazione artificiale , ideale e materiale dell’Uomo”. Incapace di mutare le sue leggi al passo con le dinamiche sociali, per esempio di cittadinanza, coniugate all’immigrazione, poiché lo Stato nazionale declina alla governance sovranazionale, pur non essendo statale la sua stessa funzione di Stato di diritto.

Rincorriamo dunque un ideale, circolare non più lineare, che poco si confà alle esigenze di interesse nazionale, ormai sovrastato dall’interesse europeo.

Lo Stato-Nazione, sembra non più possedere il proprio territorio in virtù di un diritto reale di proprietà, ma questi è subordinato, o modificato o meglio certificato in una sorta di identità o identificazione, o senso di appartenenza che si sublima nella Nazione  Europa, ma fin qui sarebbe un bene, un passaggio di consegna coerente con quanto sviluppo profuso dai Padri fondatori europei, ad oggi, in realtà il fenomeno è puramente di natura commerciale, o meglio di extraterritorialità del capitale che riesce a delocalizzare per massimizzare il suo profitto, in un mercato globale sempre più pervasivo e predittivo.

Oppure implementiamo politiche che concentrano l’interesse nazionale a vantaggio del benessere mondiale, in ogni ambito, come il Green Deel, che amplifica l’ecologismo a discapito del più conservativo ambientalismo nostrano, dove la sostenibilità dovrebbe andare pari passo con le tradizioni storiche e identitarie della nostra Nazione.

Ormai i compromessi cedono il passo ad una sovranità dilatata, e frustata da censure, da parte degli Stati di cooperazione sovranazionali, con una forte riduzione di un decisionismo tipico di una destra di governo che deve reclinare a chi fa da padrone e padrone non è.

La capacità di normazione nazionale risente di uno slancio inadeguato, anziché globalizzato, sporcato da rimesse di funzioni di difesa sia monetaria che bellica, imbrigliata a organismi troppo ingombranti come la Nato.

Invocare uno Stato –Nazione, non solo per liberare i diritti dei cittadini europei, da vincoli di incertezza, sembra per alcuni politologi superato, Isaiah Berlin (filosofo  e politologo) ricordava che tanto la tradizione liberale, quanto quella socialista, hanno considerato le Nazioni come “ aberrazioni temporanee e antimoderne”, destinate ad un declino e a una deriva dello Stato, invece pochi sono coloro che considerano lo Stato -Nazione l’antitesi formale e sostanziale per non discriminare chi sceglie l’Europa come Patria pur non essendovi nato.

Ovvero la società contemporanea deve procedere verso una centralità del diritto univoca che non si immerga più in confusioni nazionali, ma badi oltre che all’interesse nazionale e sovranazionale, all’interesse del cittadino, o meglio dell’individuo, tutelando la sua dignità, traslando l’origine territoriale, in fisica, nativa e culturale, sia essa scolastica o di appartenenza.

Certamente il superamento di concetto di Stato è una follia se esso insegue il mutamento della civilizzazione della società fine a sé stesso, deve inserirsi in un quadro politico complesso condiviso, e non episodico, che possa rafforzare l’idea di Europa, dove le aggressioni belliche possano essere sostenute senza indugi, o dove il dibattito politico sia per un’unificazione europea definitiva non che spergiura l’avanzare delle crisi.

Le prospettive e gli sviluppi non possono più essere dominate dai risultati delle presidenziali americane, i modelli di società profondamente divergenti, denotano un mondo americano molto profondamente capitalistico, rispetto ad un mondo variegato e tradizionale di un’Europa dal cuore antico.

La degenerazione però delle democrazie liberali europee, sta assumendo in sé un superamento non solo dello Stato come istituzione nazionale e territoriale, ma si sta proiettando anche verso un concetto di “post democrazia” Colin Crouch (Sociologo e politologo, “Post Democrazia”,Milano, Laterza 2000), che vola verso uno scenario economico differente e non afferente a quello europeo, ancorato e rappresentato “dall’azienda”.

Ovvero lo Stato di riferimento diviene un elemento attrattivo per gli investimenti, per le privatizzazioni, sia dei servizi pubblici, trainando a sé il potere politico, infatti le multinazionali, delineano come parti attive il funzionamento economico, creando forti e acerbati differenze fra le classi medie, e dominando le decisioni del potere politico, con inclusività dove il concetto ideologico cede il passo ad un consenso che non viene dal basso ma maggiormente dai quadri dirigenziali manageriali, dediti a disporre e a rivendicare le proprie aspettative trainando le leadership più accreditate dei relativi partiti.

Oggi la classe dirigenziale di un partito subisce influenze di consenso fortemente economiche, stiamo sempre più divenendo un sistema americanizzato, con una classe economica dominante che acquisisce un ruolo politico, e si autoriproduce, lontana dalla base votante, ignara e massificata nella sua identità e dignità. Il superamento dello Stato sta avvenendo anche nell’etica, i comportamenti eticamente corretti, si infrangono nel superamento programmatico dei programmi di propaganda, e abbandonano il credito sociale, stringendo una morsa impositiva verso il debito collettivo, certamente i grandi gruppi di interesse economico legittimi e non eserciteranno sempre più il potere politico e ribaltano le esigenze sociali a mere aspettative illusorie.

Tuttavia in oriente lo Stato ancora supporta un ruolo sociale, cercando di spingere l’interesse collettivo, cercando di supportare il credito sociale, mentre in Europa, il sistema economico e sociale viene completamente tracciato, e valutato dall’alto del potere, limitando l’autonomia dell’individuo, e circoscrivendo l’imposizione fiscale ad un cittadino non più libero. Il wallet, o portafoglio elettronico, utilizzato per le transazioni economiche, denota come le criptovalute rapiscono l’identità digitale degli utenti sociali, se operano tramite smart contracts, in altre parole i Big Tech, assumeranno un enorme controllo economico, antidemocratico e antisociale, ma ciò sarà irrilevante ai fini economici e ai fini di superamento di una società sempre meno democratica, meno Nazione, meno Stato.

Autore

Economista, Bio-economista, web master di eu-bioeconomia, ricercatrice Unicas, autrice e ideatrice di numerosi lavori scientifici in ambito internazionale. Esperta di marketing. Saggista, studiosa di geopolitica e di sociopolitica. È autrice dei saggi “Il paradosso della Monarchia” e di “Europa Nazione”. Ha in preparazione altri due saggi sull’identità e sulla politica europee.