• 30 Dicembre 2024
Editoriale

Scusate, ma il Sud deve aspirare ad auto-governarsi sì o no? La questione dell’autonomia differenziata, a ben vedere, si riduce alla risposta che si dà a questa domanda. Se si risponde sì, allora, si proceda con l’applicazione della legge Calderoli che, a sua volta, applica la Costituzione riformata dal centro-sinistra nel 2001. Se, invece, si risponde no, allora, si prenda atto che la via dell’autonomia non va percorsa e si esca dal regionalismo. La terza via ossia quella che cambiando governo e passando nuovamente da destra a sinistra si ricominci con l’autonomia differenziata non sta in piedi dal momento che la legge Calderoli non fa altro che rendere possibile ciò che il governo Gentiloni stava già praticando applicando la Costituzione e senza legge ordinaria.

L’iniziativa referendaria delle opposizioni e delle Regioni che nel recente passato avevano chiesto l’autonomia differenziata – è il caso della Campania, ad esempio – si fonda sullo slogan falso e bugiardo: “L’autonomia spacca l’Italia”. Ma come fa l’autonomia a spaccare l’Italia se rispetta pienamente la Costituzione che prevede l’autonomia voluta dal centrosinistra? La verità è ancora più semplice: è l’iniziativa referendaria che non si fa scrupoli a spaccare l’Italia mettendo il Sud contro il Nord pur di condurre una battaglia politica su ciò che non dovrebbe dividere ma unire: le istituzioni. Non solo. C’è dell’altro. La sinistra rifiutando l’autonomia differenziata rinuncia a quell’autonomismo che è storicamente nel suo Dna. Si vuole o no che gli enti locali governino se stessi?

Questo è il punto. Norberto Bobbio nel 1990 scrisse su La Stampa un articolo in cui diceva testualmente: “Ormai una cosa è diventata ai miei occhi sempre più chiara, e sempre più difficilmente contestabile: la questione meridionale è prima di tutto una questione dei meridionali”. Dove, naturalmente, Bobbio – cioè la coscienza critica della sinistra, che tale era considerato il filosofo di Torino – non poneva un insussistente tema antropologico ma una precisa questione politica che consiste nel dovere delle classi dirigenti meridionali di governare in modo virtuoso gli enti locali. Bobbio era esplicito: “Spetta prima di tutto ai meridionali, seppur non soltanto a loro, mostrare, con il minor numero di parole e il maggior numero di fatti, la loro volontà di correggere vecchi costumi di cui sono piene le cronache patrie”. E, si precisi, che Bobbio era piemontese e la sua cultura era risorgimentale. Invece, oggi cosa avviene?

L’esatto contrario: parole, parole, parole mentre bisognerebbe solo mettersi sotto a lavorare nel segno dell’autonomia del governo degli enti locali, come del resto avviene nella maggior parte delle regioni d’Italia, visto che quelle malgovernate sono 4 o 5 su 20. Nella legge Calderoli altro non c’è che il dovere delle classi dirigenti del Sud e del Nord. Liberi, tutti, di dire no ma, a quel punto, si esca dal regionalismo e si ritorni a uno snello Stato nazionale. Possibile?

Autore

Saggista e centrocampista, scrive per il Corriere della Sera, il Giornale e La Ragione. Studioso del pensiero di Benedetto Croce e creatore della filosofia del calcio.