• 21 Novembre 2024

L’idea di progresso è sempre stata correlata ad un diffuso benessere e a processi di democratizzazione a vari livelli. Dalla caduta del Muro, il modello di società capitalistica viene infatti percepito come il risultato di una positiva trasformazione dell’esistente ed è diventato rischioso anche il solo confutarne limiti e difetti grossolani. Oramai siamo dinnanzi ad una alterazione di fondo di qualunque processo interpretativo, perché il dispiegarsi delle libertà economiche e i processi accelerativi della tecnica hanno saturato tutta la dialettica contemporanea.

In un contesto del genere, avere l’ardire di definirsi conservatore è fatto rivoluzionario. E distinguere <<tutto quel che è avventizio, causale e privo di consistenza, da quel che bisogna conservare in quanto valore>> così come ci invita a fare Moeller van den Bruck, è la premessa sempre valida per riconoscere quello che permane da ciò che è transeunte. Ma è un percorso non facile che si può intraprendere iniziando ad intendersi sulle parole e sul loro significato profondo. E perciò essendo corrosivi ed espliciti, non temendo di essere ricacciati nel girone degli antimoderni.

Prova a fare questo lavoro Gennaro Malgieri che sin dalle prime pagine del suo dizionario uscito qualche anno fa (Lessico inattuale. Un conservatore davanti al pensiero unico, Minerva edizioni, p.196) dichiara l’intento <<scopertamente e provocatoriamente ideologico nella speranza più di irritare che di compiacere>>. Perché di fronte ad una furia distruttrice così potente che ha svilito idee e falsificato la comprensione dei fenomeni sociali e politici, non è più possibile giocare di rimessa. Contro la scellerata logica di reductio ad unum che segna il nostro tempo non solo si evince la necessità di dotare di sostanza l’etica pubblica, la sovranità dei popoli e la salvaguardia delle identità culturali ma c’è un di più che riguarda l’essenza stessa del nostro vivere, e si fonda sul fatto che conservare è istintivo. Difendere luoghi, ambienti, comunità, fedi religiose e modelli culturali, non deve per forza dar vita ad una complessa costruzione simbolica che può poi scadere in una estetizzazione manierista così come intesa dai reazionari oppure, seguendo il filone illuminista, svilirsi in un contratto burocratico tra individui. E’ invece più semplicemente un fatto naturale. Roger Scruton ha richiamato più volte alla necessità di un contratto morale tra generazioni; un patto non scritto tra i vivi, i morti e coloro che non sono ancora nati. Possedere il senso della storia significa infatti stabilire relazioni di senso che diventano memoria da vivificare nella vita di tutti i giorni.

Dare forza a quello che Malgieri definisce un conservatorismo creativo significa plasmare una politica dello spirito in grado di escludere la cultura dell’evanescenza e la dimensione dell’effimero. Perché è il senso stesso di una singola vita, dove si intrecciano tutti questi legami, che può dar forma all’idea che qualcosa vada conservato.

Autore

Collabora alle pagine culturali de Il Giornale. In passato ha collaborato con Panorama, Il Roma, Il Secolo d’Italia e L’Indipendente. Tra i suoi libri: Giuseppe Prezzolini. Una voce contro il pensiero unico; Tolkien e Il Signore degli Anelli; Storia, Europa e Modernità. Intervista a Ernst Nolte; Jünger e Schmitt. Dialogo sulla modernità; Il suicidio dell’Occidente. Libro-intervista a Roger Scruton; Manifesto antimoderno; Il profumo del nichilismo; Sull’inutilità della destra; Roger Scruton; All'armi siamo (ancora?) fascisti; Il cinema delle stanze vuote (con Isabella Cesarini); Critica della ragion tecnica. Ha curato e prefato La rivoluzione conservatrice di Ernst Nolte e i volumi collettanei Ernst Jünger; Roger Scruton (con G. Malgieri) e Ernst Nolte.

L’idea di progresso è sempre stata correlata ad un diffuso benessere e a processi di democratizzazione a vari livelli. Dalla caduta del Muro, il modello di società capitalistica viene infatti percepito come il risultato di una positiva trasformazione dell’esistente ed è diventato rischioso anche il solo confutarne limiti e difetti grossolani. Oramai siamo dinnanzi ad una alterazione di fondo di qualunque processo interpretativo, perché il dispiegarsi delle libertà economiche e i processi accelerativi della tecnica hanno saturato tutta la dialettica contemporanea.

In un contesto del genere, avere l’ardire di definirsi conservatore è fatto rivoluzionario. E distinguere <<tutto quel che è avventizio, causale e privo di consistenza, da quel che bisogna conservare in quanto valore>> così come ci invita a fare Moeller van den Bruck, è la premessa sempre valida per riconoscere quello che permane da ciò che è transeunte. Ma è un percorso non facile che si può intraprendere iniziando ad intendersi sulle parole e sul loro significato profondo. E perciò essendo corrosivi ed espliciti, non temendo di essere ricacciati nel girone degli antimoderni.

Prova a fare questo lavoro Gennaro Malgieri che sin dalle prime pagine del suo dizionario uscito qualche anno fa (Lessico inattuale. Un conservatore davanti al pensiero unico, Minerva edizioni, p.196) dichiara l’intento <<scopertamente e provocatoriamente ideologico nella speranza più di irritare che di compiacere>>. Perché di fronte ad una furia distruttrice così potente che ha svilito idee e falsificato la comprensione dei fenomeni sociali e politici, non è più possibile giocare di rimessa. Contro la scellerata logica di reductio ad unum che segna il nostro tempo non solo si evince la necessità di dotare di sostanza l’etica pubblica, la sovranità dei popoli e la salvaguardia delle identità culturali ma c’è un di più che riguarda l’essenza stessa del nostro vivere, e si fonda sul fatto che conservare è istintivo. Difendere luoghi, ambienti, comunità, fedi religiose e modelli culturali, non deve per forza dar vita ad una complessa costruzione simbolica che può poi scadere in una estetizzazione manierista così come intesa dai reazionari oppure, seguendo il filone illuminista, svilirsi in un contratto burocratico tra individui. E’ invece più semplicemente un fatto naturale. Roger Scruton ha richiamato più volte alla necessità di un contratto morale tra generazioni; un patto non scritto tra i vivi, i morti e coloro che non sono ancora nati. Possedere il senso della storia significa infatti stabilire relazioni di senso che diventano memoria da vivificare nella vita di tutti i giorni.

Dare forza a quello che Malgieri definisce un conservatorismo creativo significa plasmare una politica dello spirito in grado di escludere la cultura dell’evanescenza e la dimensione dell’effimero. Perché è il senso stesso di una singola vita, dove si intrecciano tutti questi legami, che può dar forma all’idea che qualcosa vada conservato.

Autore

Collabora alle pagine culturali de Il Giornale. In passato ha collaborato con Panorama, Il Roma, Il Secolo d’Italia e L’Indipendente. Tra i suoi libri: Giuseppe Prezzolini. Una voce contro il pensiero unico; Tolkien e Il Signore degli Anelli; Storia, Europa e Modernità. Intervista a Ernst Nolte; Jünger e Schmitt. Dialogo sulla modernità; Il suicidio dell’Occidente. Libro-intervista a Roger Scruton; Manifesto antimoderno; Il profumo del nichilismo; Sull’inutilità della destra; Roger Scruton; All'armi siamo (ancora?) fascisti; Il cinema delle stanze vuote (con Isabella Cesarini); Critica della ragion tecnica. Ha curato e prefato La rivoluzione conservatrice di Ernst Nolte e i volumi collettanei Ernst Jünger; Roger Scruton (con G. Malgieri) e Ernst Nolte.