• 12 Dicembre 2024
Editoriale

La sanità campana è malata. Non da oggi. La cura somministrata nel tempo non ha avuto buoni risultati. La malattia è il rifiuto dei medici di lavorare in Campania, ma la causa del morbo è diversa. I dati – di ieri, oggi e domani – sono fin troppo espliciti: pronto soccorso chiusi, ospedali fantasma, medici di famiglia introvabili, guardie mediche sguarnite. Nelle graduatorie dei medici di base vi sono 399 iscritti ma ben 222 al momento della chiamata hanno rifiutato l’incarico (Corriere del Mezzogiorno del 25 settembre). E’ fin troppo evidente, allora, che i posti di lavoro vuoti non sono dovuti alla scarsità di medici ma al diniego che i medici oppongono a ricoprire gli incarichi. Perché? Perché la Campania è off-limits.

Fino ad oggi la vulgata usata per giustificare l’assenza dei medici era l’anatema di Vincenzo De Luca, presidente della giunta regionale, contro il numero chiuso per le facoltà universitarie di medicina. Ma oggi sappiamo – in realtà, lo si sapeva anche prima – in base ai dati che l’assenza dei medici non è dovuta al numero chiuso bensì al rifiuto del personale, in sostanza, allo stesso decadente sistema sanitario e all’ambiente sociale, amministrativo e politico della Campania. Nella nostra regione non si viene a lavorare volentieri e i medici che hanno delle alternative, o in altri luoghi o in altre strutture, le preferiscono. Verità amara, come la medicina, ma questa è.

L’idea che togliendo il numero chiuso alle iscrizioni accademiche dei corsi di medicina si avrebbero più medici è falsa: non è il numero a garantire i medici ma la concreta possibilità di formarli, che nei fatti è limitata. E una volta formati i medici se possono non scelgono la Campania o non scelgono il “pubblico”. Del resto, anche i pazienti se possono preferiscono farsi curare in altre regioni: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna. Il problema, dunque, non è la formazione dei medici ma la reale amministrazione della sanità che – ed è questo un ulteriore passaggio da tenere bene a mente – non potrà essere garantita da alcuna normativa, passata o nuova, ma esclusivamente da una concreta e continua risposta amministrativa e finanziaria. Sarà un caso ma proprio nel settore sanitario emerge in modo evidente che i problemi sociali ed amministrativi non hanno alcuna possibilità di miglioramento sul piano legislativo ma solo sul piano degli atti. Esattamente come richiede la riforma dell’autonomia differenziata che postula e quasi invoca responsabilità e risultati, verifiche e buongoverno locale. Da questa realtà non si scappa – dice il costituzionalista Mario Bertolissi nel libro Autonomia (Marsilio editori) che si consiglia di leggere – rifugiandosi in astrattezze giuridiche che sono usate in modo pilatesco e come alibi. Il caso del sistema sanitario campano, praticamente al tracollo, è emblematico: la generale “questione meridionale” diventa, allorché si passa a osservare il malato da vicino, “questione sanitaria”, “questione scolastica”, “questione lavorativa” e tutte si riassumono nella responsabilità della classe dirigente che per statuto ritiene di dover essere irresponsabile ossia senza risposte. E’ una storia fallimentare che si paga con l’emigrazione: ieri degli operai, oggi dei professionisti.

Autore

Saggista e centrocampista, scrive per il Corriere della Sera, il Giornale e La Ragione. Studioso del pensiero di Benedetto Croce e creatore della filosofia del calcio.