• 21 Novembre 2024

Quello di oggi è un Calcio “usa e getta”. Tra campionato e coppe si gioca sette giorni su sette per cui non c’è tempo per metabolizzare le partite e diventa difficile ricordare persino che cosa è successo due settimane prima. Se a questo aggiungiamo un generalizzato livello tecnico non proprio eccelso si spiega il perché vengono a mancare, ovvero sono solo un’eccezione, quelle partite che restano nella storia. Al calcio odierno manca quel pàthos che per i greci racchiudeva la passionalità, la concitazione, l’intensa emozione affettiva e la commozione estetica come direbbero gli incliti. Viene così a mancare l’epicità della narrazione che porta a quella rinomanza di certe squadre e di alcune partite che vengono tramandate a imperituro ricordo per le generazioni che si susseguono. Ho ascoltato un gruppo di giovani trentenni appassionati di calcio; per loro la partita da ricordare più  indietro nel tempo era la finale del Mondiale 2006, quella vita dall’Italia sulla Francia ai calci di rigore. E’ come se da un libro di storia che iniziasse dalle prime civiltà strappassero le pagine fino alla seconda guerra mondiale; sarebbe non solo cancellata la storia, ma soprattutto sarebbe reso incomprensibile la successione degli eventi che hanno governato fino ad oggi l’umanità. Cercando di porre rimedio all’oblio calcistico ricorderemo una Nazionale che negli anni ’50 ha fatto la storia e di una sua partita emblematica, quella giocata il 25 novembre 1953 a Wembley. Parleremo della grande Ungheria di Gusztav Sebes.  

In terra magiara il calcio era arrivato già nel 1875 portatovi da alcuni commercianti inglesi e divenne subito uno sport popolare. Il 19 gennaio 1901 venne fondata una delle federazioni più antiche d’Europa: la Magyar Labdarùgò Vàlogatott, la Federazione Calcistica Ungherese. Per circa un trentennio del ventesimo secolo in Ungheria si giocò un buon calcio, ma nulla di più. Poi scoppiò la seconda guerra mondiale che vide l’Ungheria schierarsi al fianco di Germania e Italia, una scelta che pagò cara e amara. Alla fine del conflitto verrà occupata dalle truppe sovietiche e il governo in carica sarà rovesciato con un colpo di stato militare filo-comunista; sotto l’influenza sovietica l’Ungheria entrò nel Patto di Varsavia con il nome di Repubblica Popolare d’Ungheria. Seguendo le direttive imposte da Mosca agli stati satellite, a partire dagli anni ’50 tutte le associazioni sportive dovevano essere affiliate ad un’istituzione statale o militare. In Ungheria la squadra di calcio dell’Esercito era l’Honved di Budapest, considerata all’epoca la squadra più forte del mondo. In quegli anni non c’erano ancora le Coppe per club – la Coppa dei Campioni nacque nel 1955 – ma se si fossero giocate l’Honved avrebbe vinto a man bassa. Anche le amichevoli tra nazionali erano rare, ragion per cui spesso mancava la conoscenza diretta persino tra i grandi giocatori di nazioni diverse, quelli che avevano la possibilità di incontrarsi solo in occasione dei Mondiali e delle Olimpiadi. Per i calciatori del vecchio continente si aggiunse un’altra possibilità con il Campionato Europeo che venne istituito solo nel 1960. Ma anche  la gente comune, appassionati o meno che fossero, non aveva la conoscenza diretta del calcio internazionale.  La televisione era agli albori nelle nazioni più avanzate e la radio trasmetteva solo le partite di maggior rilievo. Per questo i grandi giornali spesso inviavano in giro per l’Europa e per il Mondo i loro cronisti sportivi per seguire le partite più importanti, non solo delle squadre nazionali ma anche di campionati in paesi spesso lontani. Gli articoli diventavano così l’unico strumento per la conoscenza di massa; normalmente il racconto già di per se enfatico veniva esageratamente ampliato dall’immaginario collettivo fino a trasformarsi in leggenda, cosicché giocatori e squadre diventavano miti seppure nessuno li  avesse mai visti giocare. Dopo le vicende post belliche la grave situazione economica in cui versava costrinse l’Ungheria a rinunziare al Mondiale del 1950 di cui sarebbe stata la protagonista assoluta. Ma il suo Commissario Tecnico, Gusztav Sebes, ne approfittò per sviluppare le sue idee all’avanguardia e modellare quella Nazionale che avrebbe incantato il mondo. I giocatori selezionati erano divisi equamente tra Honved e Voros Lobogo. La squadra tipo schierava Grosics in porta, in difesa Buzansky, Lorant, Lantos, a centrocampo Bozsik e Zakarias con trequartista Kocsis, esterni Budai e Czibor, punta centrale Hidegkuti e poi lui, Ferenc Puskas.

Con la Honved vinse tre titoli nazionali. Con la nazionale d’Ungheria vinse la Coppa Internazionale 1948-1953 e l’Olimpiade nel 1952. Perse la finale del Mondiale del 1954 dopo che l’Ungheria aveva dominato il torneo. A Berna i magiari  chiusero il primo tempo per 2 a 0 e la partita sembrava finita, ma per le imperfette condizioni fisiche di alcuni suoi giocatori nel secondo l’Ungheria subì la rimonta incredibile della Germania che vinse la finale  per 3 a 2. Per i tedeschi quello resterà nella storia del calcio come “il miracolo di Berna”.

Nel 1956 scoppiò la rivolta in Ungheria che venne repressa sanguinosamente dall’Armata Rossa; con diversi suoi compagni di squadra Puskas riuscì a raggiungere la Spagna approfittando di una trasferta della Honved; fu poi raggiunto dalla famiglia e lì si stabilì definitivamente giocando per il Real Madrid. Nella classifica dei migliori giocatori di tutti i tempi stilata dall’IHHFS occupa la 6° posizione.  Calciatore leggendario,  Puskas con il Real vinse tre Coppe dei Campioni e una Coppa Intercontinentale. Al Real giocò insieme ad una altra leggenda del calcio, Alfredo Di Stefano. Vinse in totale 16 classifiche per marcatori, fu 4 volte il Pichichi della Liga e 3 volte miglior cannoniere in Coppa dei Campioni segnando oltre 700 reti tra club e nazionale. Con 84 gol in 85 match è stato il miglior marcatore nella storia dell’Ungheria. Fino al 2018 è stato il miglior marcatore europeo di sempre in una nazionale, record battuto da Cristiano Ronaldo.

La nazionale ungherese guidata da Sebes si schierava prendendo a base il c.d. “sistema“ ideato da Herbert Chapman, ma schierandosi con un rivoluzionario 3-2-3-2. Per valorizzare al meglio la sua idea di gioco Sebes teneva alti i difensori e voleva un centravanti di manovra; rinunciò perciò ad una punta pura come Deàk e schierò come numero 9 Nandor Hidegkuti che nella Honved giocava esterno ed era l’uomo assist per eccellenza. Hideguti divenne così il primo falso nueve della storia del calcio. Oramai quella Nazionale era diventata un perfetto ed inesorabile meccanismo di gioco. Fu perciò consequenziale che l’Ungheria, con un gioco stellare e mai visto prima, vincesse tutte le partite e la medaglia d’oro del calcio alle Olimpiadi del 1952. Per il popolo ungherese divenne l’Aranycsapat, la squadra d’oro.

Ma veniamo alla partita che meglio rappresenta quella squadra. Fino agli anni ’70 gli inglesi invitavano ogni anno la squadra più forte del momento per un’amichevole. Perciò Il 25 novembre 1953, davanti ai centomila di Wembley, si giocò Inghilterra-Ungheria. Nonostante la sfida fosse di assoluto prestigio, gli ungheresi arrivarono tranquilli a Londra forti del loro indiscusso valore. Ma quando nel tunnel che portava al terreno di gioco videro gli avversari restarono a dir poco perplessi perché, in media, loro erano almeno venti centimetri più bassi rispetto agli inglesi. Il capitano Billy Wright, nonostante fosse un calciatore estremamente corretto tant’è che non fu mai ammonito o espulso nelle 541 partite di campionato e nelle 105 di nazionale disputate, con un atteggiamento spocchioso tipicamente inglese non perse l’occasione per deridere proprio Puskas che pure era alto un metro e settanta; Wright non immaginava che cosa lo stesse aspettando.

Palla a centro e subito gol dell’Ungheria con Hidegkuti, autore di un gran tiro a mezz’altezza da appena  dentro l’area. Trascorrevano i minuti ed era fin troppo evidente la superiorità degli ungheresi sia come singoli che come squadra; gli inglesi sembravano smarriti, soprattutto a centrocampo dove non riuscivano ad organizzare una significativa manovra. Ciononostante al 13° Sewell, approfittando di un eccessivo sbilanciamento in avanti della difesa magiara, in contropiede infilò Grosics pareggiando. Ma l’Ungheria, spregiudicata nel gioco e aggressiva su ogni pallone, al 20° segnò il gol del nuovo vantaggio ancora con Hidegkuti che profittando di alcuni rimpalli in area sparò in porta dall’altezza del dischetto. I magiari giocavano a memoria e gli inglesi non riuscivano a contrastarli, frastornati com’erano dalla precisissima rete di passaggi; nemmeno il C.T. Inglese Walter Winterbottom riuscì a raccapezzarsi e trovare un rimedio. Il terzo gol degli ungheresi fu il più bello: in area Puskas ricevette il passaggio di Czibor dalla linea di fondo e mise a sedere con una finta il capitano inglese Wright,  spostando all’indietro il pallone con la suola per poi battere da pochi metri il portiere inglese con un tiro sul primo palo. Il pubblico inglese incominciò ad applaudire.  Al 27° ancora Puskás segnò il quarto gol deviando una punizione calciata da Bozsik. Era trascorsa appena mezz’ora e gli inglesi perdevano per 4 a 1; soprattutto non riuscivano a stare dietro agli avversari che scambiavano la palla e li saltavano con una facilità quasi irridente. I centomila di Wembley assistevano impietriti, consapevoli che gli ungheresi avrebbero potuto segnare come e quando volevano. Al 38° però l’Inghilterra accorciò le distanze con Mortensen con un preciso tiro scoccato dall’interno dell’area. Sul duplice fischio dell’arbitro Horn il primo tempo di chiuse con il punteggio di 4 a 2 per gli Ungheresi; il risultato non rispecchiava il divario dei valori in campo e gli inglesi dovevano ritenersi davvero fortunati. Il secondo tempo ricalcò la falsariga del primo, con un completo dominio degli ungheresi che giocavano a memoria e gli inglesi che arrancavano senza più un disegno tattico, cercando di salvare quantomeno la faccia. Al 50°  Bozsik  segnò il gol del 2-5 con un preciso tiro dal limite dopo una lunga serie di passaggi. Non passarono nemmeno tre minuti e Hidegkuti completò la sua tripletta personale: Bozsik dal limite spizzò di testa il pallone a Puskas che sulla sinistra appena dentro l’area controllò il pallone e a volo con un perfetto pallonetto lo indirizzò sul lato opposto davanti alla porta dove Hidegkuti giunse a passo veloce e sempre al volo lo scaraventò in rete. Il pubblico di Wembley non potette esimersi dall’applaudire. Mancavano trentacinque minuti alla fine della partita, il risultato era di 6 a 2 per gli ungheresi  e il terrore correva sul volto degli inglesi che temevano di prenderne chissà quanti ancora. Ma l’Ungheria sembrò rispettare quello stadio e non volle infierire, limitandosi a controllare il gioco con una serie infinita di passaggi, nonostante che al 58° Ramsey avesse segnato su rigore il terzo gol per gli inglesi. Al fischio finale che pose termine a quella spettacolare esibizione di calcio i tiri in porta erano stati 35 per gli ungheresi e 5 per gli inglesi!

E’ significativo ciò che disse Billy Wright al termine della partita: «Abbiamo completamente sottovalutato i nostri avversari e non solo sul piano tattico. Quando stavamo entrando in campo, mi abbassai e vidi ai piedi degli ungheresi uno strano tipo di scarpette, come degli stivaletti tagliati al malleolo; mi girai verso Stan Mortensen e gli dissi: Stan, siamo a posto oggi, questi non hanno nemmeno le scarpette giuste». Forse le scarpette non saranno state quelle giuste, ma i piedi che c’erano dentro erano certamente di un’altra categoria. Quella partita fu un onta per gli inglesi e suscitò un enorme scalpore anche all’estero. La conseguenza immediata fu lo stravolgimento dei quadri tecnici della nazionale e l’epurazione di diversi giocatori che non vennero mai più convocati. Ma gli inglesi non ci stavano a quella figuraccia. La Football Association chiese perciò alla Federazione Ungherese di organizzare la rivincita, stavolta in terra magiara. La partita si giocò il 23 maggio 1954 davanti ai novantamila spettatori del Ferenc Puskas Stadion di  Budapest.

L’Ungheria vinse 7 a 1 e ancora oggi rimane la peggiore sconfitta di sempre dell’Inghilterra!

Una squadra così difficilmente si vedrà più. Se non ci fossero stati il terribile dopoguerra, la rivoluzione del ’56 e la conseguente repressione sovietica, in un sistema di vita normale l’Ungheria avrebbe potuto dispensare lezioni di calcio ancora per molti anni, ma la storia non volle così. E’ convinzione comune che il primo falso nueve della storia sia stato inventato da Guardiola, ignorando che Sebes con Hidegkuti lo faceva oltre sessant’anni prima. Tutti sono convinti che Michels e Sacchi abbiano introdotto la tattica del fuorigioco, ignorando che l’Ungheria in quella partita nel 25 novembre 1953 a Wembley mise l’Inghilterra in fuorigioco ventuno volte!

E’ nella natura umana evidenziare soprattutto le sconfitte degli altri per dimostrare che in fondo non valevano poi tanto. Nel calcio hanno fatto la storia l’Olanda di Cruijff che almeno per un decennio espresse il miglior calcio al mondo, ma che non vinse niente perdendo la finale in ben tre Mondiali. Prim’ancora la storia l’aveva fatta l’Ungheria che per avverse vicende soprattutto extracalcistiche vinse solo un oro olimpico pur giocando per molti anni un calcio che tutti gli altri non riuscirono nemmeno ad imitare.

E’ il destino dei grandi senza fortuna, del valore reso vano dalla sorte avversa.

Autore

Nato a Napoli nella seconda metà degli anni cinquanta. Sportivo appassionato, calciatore in gioventù, dirigente sportivo di società del settore giovanile. Avvocato con molteplici hobby e scrittore a tempo perso, ha pubblicato due romanzi e una raccolta di racconti di Calcio.