• 3 Dicembre 2024
Editoriale

Grandi ormai sono le proteste intraprese in Europa, in particolare in Italia, contro il “colonialismo green” causa di protagonismi organizzativi di stampo regionale, e principalmente di estrazione politica.

Le proteste sono volte formalmente a tutelare le diversità territoriali, e la naturale vocazione degli spazi adottati, come per esempio è avvenuto in Sardegna, dove si è vietato il 99% del territorio a eolico e a solare.

Il dibattito politico, così esacerbato è a sfondo energetico e ha focalizzato l’interesse economico regionale tutta l’estate, benché sia iniziato dal momento in cui si è inteso decarbonizzare l’isola e i suoi impianti, con lo scopo di non promuovere le fonti rinnovabili, scelta dominante che potrebbe travolgere l’Italia, propensa sempre più ad una rivoluzione e transizione green, con effetto domino sull’intera penisola.

Si assiste ad una mobilitazione popolare imponente, con sfondo plebiscitario e forse referendario, che ha reso il territorio sardo indisponibile all’istallazione dei parchi rinnovabili, un incontrovertibile valutazione, che pone la Sardegna, eccellente ed unica meta turistica del mediterraneo, nell’occhio del ciclone “green europeo”, infatti l’integrazione energetica non ci sarà nonostante l’esigenza di fabbisogno energetico.

Poiché ci sarebbe un affronto in primis al paesaggio, con l’adozione di un modello di installazione di mega impianti ad elevazione di esportazione energetica, con un alto costo delle rinnovabili, per favorire l’esigenza di energia del Nord Italia, per contro la mappatura delle aree idonee ha raggiunto un risultato sbalorditivo, rendendo la Sardegna non idonea secondo le direttive europee per accelerare la transizione, sia per le zone di sviluppo, sia per le zone naturalistiche, paesaggistiche, riducendo le zone idonee ad un numero esiguo.

Il problema non è solo legato al consenso popolare, anche geopolitico ed energetico, con sviluppo e competitività industriale, dinamiche che potrebbero indurre e assoggettare la comunità locale amministrativa alla sudditanza delle multinazionali e del capitalismo energetico finanziario, invertendo il profitto degli utenti sardi e subordinandolo alla schiavitù energetica, certamente lo sviluppo passa anche attraverso l’implementazione dell’agri fotovoltaico, creando nuove comunità energetiche minori, rinnovabili, innovative e implementative.

La decarbonizzazione Sarda resta una rivoluzione non facile da attuare per ora irrisolta e non con rinnovabili assolutamente invasive, benché pulite, ma l’aspetto fondamentale è proprio questo, infatti il raggiungimento degli obbiettivi climatici non deve logorare il territorio e tantomeno asservirlo ad una forma di colonialismo energetico benché rinnovabile.

L’inadattabilità del territorio sardo ad ospitare impianti grandi e numerosi,indicativo di un modello di sviluppo attribuito ad una regione asservita già nel pasasato al caborne, ne ridurrebbe la vocazione turistica e paesaggistica, spingendo il pedale sul profitto dell’esportazione energetica, senza favorire il consumo energetico ad un costo minore, rappresenterebbe una forma di speculazione energetica, con un impatto sull’intera regione, ma che comunque si può applicare all’intera Italia, certamente, la vista di impianti potenziati ad eolico non solo ha un peso sul paesaggio, desertificandolo dal punto di vista dell’agricoltura preesistente, ma ha anche un elemento di desertificazione ecologica, distruggendo un concetto di base che Roger Scruton (filosofo, scrittore, giornalista, britannico, esponente del conservatorismo) ebbe il merito di amplificare, proponendo un ambientalismo rurale e riqualificante della famiglia classica e del suo lavoro tradizionale. 

Non siamo alle soglie di futuristiche soluzioni rinnovabili, ma certamente, si può pensare oltre, passando non solo attraverso una moratoria del territorio e delle forme di idoneità dello stesso, ma impegnandosi a trovare soluzioni energetiche, che non pesano sul territorio destrutturandolo, ma che possono essere l’immagine di un’energia veramente pulita come per esempio l’idrogeno.

La narrazione politica ora non deve allontanare, tenendo conto della posizione, popolare assunta nell’ambito regionale della regione Sardegna, dell’intervento assunto da Legambiente, dall’Unione Sarda, e dai vari progetti che sono in campo per consentire all’isola di svincolarsi e sostenersi, il punto resta sempre che l’ Italia, presenta nel suo complesso forme di criticità diverse e divergenti, che comunque riproducono in essere le difficoltà decisionali della regione in specie, infatti molte altre regioni sicuramente potrebbero cogliere l’occasione delle rinnovabili, ma con problemi similari di non poco destrutturazione dei territori e della loro vocazione naturalistica , paesaggistica e turistica.

Il gigantismo delle pretese di multinazionali cinesi, e la loro disforia all’esportazione delle rinnovabili, certamente non si può applicare all’Europa nella sua interezza, la transizione ecologica resta un’utopica decisione, perché deve fare i conti con una cultura italiana, radicata, figlia di un territorio a vocazione rurale e agricola, nonché volano imprescindibile del turismo sostenibile e sensoriale enogastronomico, pertanto la valorizzazioni dei borghi,  e la valorizzazioni delle culture autoctone millenarie, possono solo adottare una energia rinnovabile a bassissimo impatto imprenditoriale e ambientale.

Ciò vale anche per il mare, la cui sovranità passa attraverso l’emergenza del disinquinamento altresì attraverso la sua tutela tradizionale, proteggendo i pescatori e le sue pratiche e le biodiversità marine, e non possono essere sottoposte le nostre coste ad un impatto ambientale che andrebbe a stravolgere gli ecosistemi naturali e coloro che con ciò vivono in simbiosi da millenni.

Con l’economia green, l’Europa rischia di essere schiacciata in una morsa finanziaria energetica, ben congeniata dalla Cina e dalle sue multinazionali rinnovabili, e dagli Stati Uniti, che pervadono un sentore di sviluppo e competitività altamente tecnologica, la transizione ecologica ma principalmente ambientale, passa principalmente dall’educazione e formazione umana, per i giovani che si approcciano alla vita e per gli adulti o anziani che ne conoscono il valore, infatti non bisogna rincorrere un capitalismo narcisista, che strumentalizza il sistema per cambiare i connotati all’ambiente e ai nostri tesori primari, l’acqua, il suolo, l’aria, l’energia che ne deriva, perché educare vuol dire già fare transizione che durerà nel tempo, trasferendosi alle future generazioni.

La narrativa classica che sostiene l’Homo sapiens come unico padrone esclusivo del pianeta e delle sue risorse, non è più sostenibile, ansi cede il passo al narcisismo capitalistico finanziario dei più beceri e strumentali, pertanto bisogna sovvertire la scienza di come fare impresa e come soggiogarla ad un ruolo politico ed economico che sia fungibile alla sopravvivenza di ogni aspetto ed essere del pianeta, in altre parole noi dobbiamo restituire il pianeta alle future generazioni, così come lo abbiamo ereditato, senza se e senza ma.

La Transizione, ergo non è solo energia rinnovabile è prima di tutto sostenibilità, educazione civica sociale e d’impresa. Ma anche educazione, psicologia, cultura.

L’emancipazione, non è un oggetto, non è solo scienza, e la scienza è “intendere, lo ritenere” Leonardo Da Vinci, ma è prima di tutto competenza dell’essere umano, una competenza simbolica, pertanto la transizione, qualsiasi, green, passa principalmente dalla mente e poi si insinua nell’apparato tecnico-scientifico, per consentire una emancipazione razionale, e rivoluzionare il sistema economico ed energetico assecondando il territorio e le sue vocazioni millenarie.

Ugo Morelli (neuroscienziato, docente di Scienze Cognitive all’Università di Federico II di Napoli) esplicita che la transizione ecologica passa nella nostra visione dell’ambiente e dalla nostra emancipata educazione di come ci poniamo nei confronti dell’ambiente, rompendo la cornice sociale, precostituita da un capitalismo narcisista che lo impedisce.

Inoltre la dipendenza esclusiva, secondo la climatologia ufficiale evidenzia, che le multinazionali energetiche , non denunciano i fenomeni di siccità energetica anzi gli amplificano con altri impianti, fenomeni, che si percepiscono notevolmente, e per impatto ambientale e perché rappresentano un rischio per il futuro e un limite scientifico nella rete energetica a tal punto da alimentare un dibattito scientifico, denominato, “siccità energetica combinata” ossia fenomeno legato contemporaneamente al sole che non brilla e al vento che non soffia, riducendo il profitto energetico delle fonti solari e eoliche, e se le regioni dipendono fortemente ed esclusivamente dalle rinnovabili oltre alla desertificazione ambientale, e destrutturazione della vocazione del territorio, il territorio stesso subisce una siccità energetica incalcolabile, influenzando negativamente i picchi di domanda energetica con rischi di blackout o instabilità della rete di approvvigionamento.

E il cambiamento climatico potrebbe intensificare oltremodo la siccità energetica, quindi bisogna comunque strategicamente interconnettere la rete di approvvigionamento con altre forme anche classiche di accumulo energetico, operando previsioni avanzate con relativo aumento dei costi, ecco che in tal caso il narcisismo energetico da fonti rinnovabili paventato dalle multinazionali, resta un trucco di facciata.  

Un recente studio pubblicato su “Nature Communications” evidenzia come il cambiamento climatico sta impattando sullo sviluppo e sulla produzione di diverse derrate alimentari, con conseguenze inestimabili sui prezzi, vista la scarsità dell’offerta e l’irreversibile qualità prodotta.

Il forte rischio di riduzione della resa di molteplici derrate alimentari, sono inevitabilmente prodotte da numerose ondate di calore e siccità che impattano negativamente sui prodotti europei, modificando la qualità e ovviamente la quantità dal punto di vista sensoriale, e la limitazione dei danni certamente non passa attraverso le fonti energetiche rinnovabili anch’esse figlie di criticità e siccità di sistema.

Ergo il sistema industriale agricolo è sottoposto a non poche criticità, e invertire la rotta con un differente orientamento produttivo non modificherà le conseguenze, e le difficoltà a cui andrà incontro la domanda, le alternative in campo sia per i valori energetici, sia per la produzione agricola geneticamente modificata, non saranno in grado entro il 2050, di favorire un potenziale di crescita al riparo dalle siccità energetiche, e dalle produzioni scarsamente diminuite e scarsamente offerte.

Il futuro deve essere salvato con una delocalizzazione anche energetica e una delocalizzazione agricola, là dove tutto è messo in discussione, in ogni caso salviamo l’Italia da scelte avventate, sviluppiamo un programma interregionale avulso da colonialismi rischiosi, ripristiniamo il linguaggio delle tradizioni e il recupero dei territori, sotto ogni aspetto energetico, rurale, imprenditoriale e paesaggistico.        

Autore

Economista, Bio-economista, web master di eu-bioeconomia, ricercatrice Unicas, autrice e ideatrice di numerosi lavori scientifici in ambito internazionale. Esperta di marketing. Saggista, studiosa di geopolitica e di sociopolitica. È autrice dei saggi “Il paradosso della Monarchia” e di “Europa Nazione”. Ha in preparazione altri due saggi sull’identità e sulla politica europee.