• 24 Novembre 2024

Il 3 settembre 1989 si disputò al Maracanà di Rio de Janeiro una delle partite dall’epilogo più incredibile della storia del Calcio. Si giocavano le qualificazioni per il Mondiale del 1990 in Italia; nel Gruppo C del girone Sudamericano il Brasile e il Cile avevano entrambe 5 punti e in quell’ultima giornata si contendevano la qualificazione nello scontro diretto. Come spesso succede e non solo in Sud America, la partita fu preceduta dalle immancabili polemiche e da accuse reciproche di corruzione seppure mai dimostrate.

Nonostante la parità in classifica, il Cile doveva necessariamente vincere quella partita mentre al Brasile bastava il pareggio in virtù della migliore differenza reti. Il primo tempo, sostanzialmente equilibrato e con poche occasioni da entrambe le parti, si chiuse sullo zero a zero. Al 58’ però il Brasile passò in vantaggio con un gol di Careca e la partita sembrò essersi incanalata in una direzione ben precisa. Per il Cile la situazione si era davvero complicata, ma al 70’ accadde l’imprevedibile. Mentre il portiere verdeoro Taffarel stava per rinviare, dall’altra parte del campo, al limite dell’area di rigore del Cile, venne lanciato l’ennesimo bengala e il portiere cileno  Roberto Antonio Rojas, detto “il Condor”, si accasciò portandosi le mani al viso insanguinato.

L’arbitro argentino Juan Carlos Loustau, che come i suoi due assistenti non si era accorto di quanto era accaduto, interruppe la partita. Accorsero prontamente i giocatori cileni che formarono l’inevitabile capannello intorno al portiere; con rimarchevole solerzia Basay e Gonzales sorressero Rojas che sembrava essere in punto di morte e lo portarono negli spogliatoi. Dopo alcuni minuti concitati, durante i quali sul terreno di gioco le forze dell’ordine dispiegate in gran numero erano pronte ad affrontare persino una sommossa, il C.T. del Cile Aravena e il vice capitano Astengo decisero di ritirare la squadra dal campo per protesta, anche perché erano convinti di vincere la partita a tavolino. Senonché uno dei presenti alla partita, il giornalista e scrittore Juan Cristobal Guarello, dovendo scrivere l’articolo aveva annotato il numero di maglia dei primi giocatori cileni a soccorrere Rojas; per primo il difensore Astengo, subito seguito dai centrocampisti Arasteno e Vera e dagli attaccanti Yanez, Letelier e Basay. Se era normale che un difensore e due centrocampisti fossero stati i più vicini a Rojas gli parve però strano che ad accorrere tra i primi ci fossero stati anche i più lontani da lui. Qualche dubbio iniziò ad insinuarsi soprattutto tra i brasiliani, vista anche la cattiva reputazione del portiere cileno già noto per i suoi comportamenti antisportivi. All’epoca però la ripresa televisiva delle partite non era così sofisticata come oggi che da tutte le angolazioni viene inquadrato ogni millimetro del campo, perciò l’episodio non era stato ripreso dalle telecamere; ma i dubbi verranno dissipati da lì a poco da un altro tipo di immagini.

Mentre nel Maracanà tutti avevano lo sguardo rivolto verso la metà campo del Brasile dove stava per riprendere il gioco, il fotografo sportivo argentino Ricardo Alfieri Jr. era rivolto verso la porta del Cile per riprendere lo scoppio dei botti e il fumo dei petardi che oramai facevano parte della coreografia sin dall’inizio della partita. Ricardo Alfieri Jr. era figlio d’arte. Suo padre, Ricardo Osvaldo Alfieri, fu quello che al termine della finale del Mondiale 1978 in Argentina scattò la foto che venne definita “El abrazo del alma”, l’abbraccio dell’anima. Inginocchiati sul prato c’erano gli argentini Fillol e Tarantini a cui si unì in un abbraccio Victor Dell’Aquila, uno spettatore. Solo che  Victor Dell’Aquila non aveva più le braccia, perse a 12 anni in un incidente, e usò le maniche vuote del pullover; quella foto fece il giro del mondo. Sta di fatto che con estrema prontezza Ricardo Alfieri riprese con una quindicina di scatti l’intera sequenza di cui Rojas era  stato protagonista. Dopo la sospensione della partita, sceso negli spogliatoi Alfieri confidò ad un collega brasiliano di aver fotografato tutta la scena; appena ne furono informati i dirigenti della Selecao gli imposero di consegnare il rullino. Furono sviluppate le foto e la realtà si mostrò essere  ben diversa da quella che era apparsa.

Dalle nitide immagini di almeno quattro fotografie si vedeva che il bengala fumante era caduto a circa un metro e mezzo dal “Condor”  che perciò non poteva essere stato colpito. Ma per conoscere che cosa  fosse successo in realtà bisognerà attendere gli sviluppi di quella vicenda così clamorosa. Si susseguirono le inchieste accompagnate dalle inevitabili polemiche e dalle reciproche accuse. I cileni sostennero anche la tesi del complotto ai loro danni favorito dai vertici della Federazione Internazionale presieduta dal brasiliano Joao Havelange; sulla stessa linea si posizionò dal principio anche Rojas che si dichiarò una vittima perseguitata. Messo però alle strette soprattutto dall’evidenza innegabile delle immagini alla fine il portiere cileno raccontò la verità. Aveva nascosto in un calzettone e poi nel guantone un piccolo bisturi avvolto nel nastro adesivo da cui spuntava solo un centimetro di lama; sembra che lo avesse avuto dal fisioterapista Alejandro Kock, ma sicuramente c’era stata la complicità o quantomeno la consapevolezza di molti altri componenti della nazionale cilena. Rojas sapeva che sugli spalti ci sarebbe stato un tifo infernale e che sicuramente i tifosi avrebbero lanciato sul campo petardi, fumogeni e bengala, perciò l’idea era semplice: qualora le cose si fossero messe male avrebbe approfittato del primo momento di confusione per tirar fuori il piccolo bisturi e procurarsi una ferita. E così fece allorché il bengala cadde alle sue spalle: si rotolò avvicinandosi al fumogeno e con il bisturi si procurò una piccola ma sanguinante ferita alla fronte fingendo, da attore consumato, di essere stato colpito al viso.

Accertati definitivamente i fatti la FIFA confermò la decisione già presa di assegnare la vittoria al Brasile per 2 a 0 e dispose ulteriori sanzioni: la squalifica a vita per Rojas (graziato nel 2001 quando ormai aveva 44 anni) così come a Sergio Stoppel che al momento della partita era il Presidente della federazione calcistica cilena. Squalifica per cinque anni in patria e a vita per quanto riguarda le gare internazionali a Orlando Aravena, l’allenatore della nazionale; squalifica a vita per le attività sportive al medico Daniel Rodriguez, accusato di aver inserito informazioni false nei referti. Cinque anni di squalifica anche a Fernando Astengo, vicecapitano del Cile, per aver deciso di ritirare la squadra in vece del capitano (Rojas) e un anno al fisioterapista Alejandro Kock. A questi provvedimenti fu anche aggiunta la squalifica per la Nazionale del Cile a cui fu inibita la partecipazione alle qualificazioni per i Mondiali Usa del 1994, ritornando a giocare in campo internazionale solo per le qualificazioni del Mondiali del 1998.

La partita del 3 settembre 1989 verrà perciò ricordata come “il Condorazo” dal soprannome del suo pessimo protagonista. Se la più grande truffa sportiva del Calcio non si compì lo si dovette esclusivamente a un caso fortuito, ad un fotografo argentino che stava riprendendo dove nessuno stava guardando e che, ironia del destino, con le sue foto salvò da una beffa colossale gli acerrimi rivali calcistici di sempre.

Autore

Nato a Napoli nella seconda metà degli anni cinquanta. Sportivo appassionato, calciatore in gioventù, dirigente sportivo di società del settore giovanile. Avvocato con molteplici hobby e scrittore a tempo perso, ha pubblicato due romanzi e una raccolta di racconti di Calcio.