Si è svolto a Catania un un’interessante convegno sulla filosofia di Manlio Sgalambro al quale hanno partecipato anche i figli del filosofo. Un appuntamento importante. Il titolo: Il coraggio della verità. Andiamo per ordine.
Siamo al centenario della nascita del filosofo Manlio Sgalambro. Per l’occasione è stato già pubblicato un volume a più voci partecipando a una articolata comparazione tra filosofia e letteratura. Organizzato dal Comitato Nazionale Celebrazioni Centenario Manlio Sgalambro del Ministero della Cultura in collaborazione con il Comune di Catania, l’università di Catania e l’associazione Naxos Legge è stato programmato un Convegno-Gionata di Studi dal titolo “Il coraggio della verità”. Si svolgerà il prossimo Sabato 16 novembre l Palazzo della Cultura.
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Cosa è la “morte del sole”? Una metafora che ha del sublime il senso del tempo letto attraverso due aspetti fondamentali che hanno attraversato quasi tutta la filosofia del Novecento: la fenomenologia dello spirito e la metafisica del tempo. In un mondo “pessimo” e un tempo “peggiore” le macerie e le rovine della storia sono le voragini della contemporanea funzione del quotidiano. Ma esiste il quotidiano? Una domanda che in Sgalambro ha le sue “variazioni” e i suoi “capricci” tra il limite dell’uomo decaduto e l’infinito che non conosce orizzonte. Il dubbio si intreccia con le certezze perdute e l’assurdo camusiano ha la sua “misantropia” nel momento in cui la metafora dell’isola può diventare una “consolazione”. Non si tratta di utopia ma di superamento del reale.
Ciò si verifica soprattutto nel momento in cui Sgalambro incontra Franco Battiato. In questo incontro l’Occidente ha la sua voce epistemologica in un Oriente delle civiltà. La combinazione del linguaggio del pensiero con la liricità della musica tocca la praticità onirica. L’enigmatico kafkiano Sgalambro assorbe il mito che Battiato ha vissuto come archetipo di un al di là del bene e del male. In entrambi il tragico è ironia profonda in un passaggio del Bardo che è la traversata dantesca nel simbolo muto dell’uomo morente che cerca comunque la luce. Ma in Sgalambro e in Battiato al di là della musicalità dei testi si giunge in un bosco in cui la ferita della luce non è rappresentazione bensì è il tempo che supera la storia. Qui è il coraggio della verità.
Infatti il coraggio della verità è il superamento del dubbio in una fenomenologia della certezza in cui il concetto di tempo supera la visione della storia come premessa di conoscenza.
La storia non è conoscenza. In Sgalambro. Piuttosto apprendimento delle cronache che dovrebbero fare la storia. Ma essa si dilata nella dimensione appunto del tempo che rivela il peggio e il pessimo delle civiltà. Siamo figli di un eredità ed eredi di una misantropia che scava nella consolazione dell’uomo alla deriva.
Dobbiamo prendere atto che le civiltà che esprimono cultura e civilizzazione, per dirla con Thomas Mann, sono il portato di una identità di tempo che si dilata nella memoria.
La verità ha bisogno di coraggio? Forse. Ma occorre la consapevolezza del coraggio e la coerenza della conoscenza. Perché senza conoscenza non si ha verità. La sola verità però non basta se non si crea il viaggio verso la certezza.
Tra la verità e la certezza ci sono i fenomeni e le forme. Ovvero una epistemologia che ci possa indicare quel viaggio che abita tra una appartenenza e una eredità. Anche per questo il mondo greco è una porta semi aperta tra l’Occidente e l’Oriente.
Gli dei di Sgalambro stanno ad Oriente o a Occidente? Domanda fertile per una risposta in contraddizione di solitudine. Il suo “accamparsi” nell’isola del pensiero lo rende il filosofo dell’isola. Una metafora che nasce da un luogo. Il luogo è geografia della coscienza. Anima e corpo sono la “rappresentazione” di una immanenza e di una fisicità. L’immaterialità del pensiero è solo un tempo perduto? O una perdita di tempo? Qui si gioca il viaggio.
L’uomo senza Omero dove potrà dirigersi? Verso Itaca o verso una Terra Promessa? O verso il deserto? O verso il cerchio dei sufi cantato da Battiato ? Più che la religione può l’antropologia? Entrambi sembrano rivelarsi il più delle volte come teologia. Ciò che interessa comunque è sentirsi “chierici”. Pellegrini nel deserto. Ma la filosofia di Sgalambro non è forse un essere viandante tra i segreti e i misteri della parola che tutto può e nulla offre se non la consolazione che la morte finisce nel momento stesso in cui la morte non è più?
Se la morte non è più il tempo è. Se la morte muore con noi morenti e finiti il tempo non finisce e l’invito al viaggio è un permanere in quel coraggio che chiede alla verità di farsi certezza. Andare oltre è sfidare gli dei. L’uomo rischierebbe l’impossibile e dell’impossibile ha timore perché il tremore dell’angoscia occuperebbe lo spazio del vivere.
È più necessario vivere o è più necessario il coraggio della verità? La domanda resta e l’incompiutezza è una certezza che non invecchia perché è la morte che decide sul Tutto. Il Cioran del “crepuscolo dei pensieri” è una sintesi ineluttabile anche in Sgalambro.
Certo, Cioran con la sua disperazione della disperazione dell’uomo è una caverna nella quale si ascolta il rumore delle onde dell’isola. Ma Sgalambro si impone una riflessione meta-teologica sottolineata da Guido Ceronetti. Il dubbio si supera se si ha il coraggio della verità ci dice Sgalambro. Il suo “trattato dell’età” e l’empietà più complessa perché senza certezza non può leggersi la verità stessa. Un dilemma? Se la filosofia non vive ciò è una tempesta della leggerezza.