• 19 Dicembre 2024

Immaginiamo una partita di calcio come una battaglia navale tra due vascelli agli inizi del XIX secolo. Da una parte la nave più grande, meglio armata e che naviga a vele spiegate nelle sue acque: il Brasile; dall’altra parte quella più piccola, meno potente e costretta ad accettare lo scontro in acque nemiche, ma con un grande capitano e due cannonieri formidabili: l’Uruguay. Finì così che il 16 luglio 1950, non su un mare immaginario ma sul prato del Maracanã a Rio de Janeiro davanti a 199.854 spettatori -record imbattuto per un evento sportivo- gli uruguagi capitanati dall’audace ed esperto Obdulio Varela, dopo aver subito la bordata tirata da Albino Friaça, affondarono i brasiliani con due colpi in rapida successione sparati dai cannonieri Juan Alberto Schiaffino e Alcides Edgardo Ghiggia. Quell’epico scontro diede il secondo titolo mondiale all’Uruguay e divenne il Maracanazo, ancora oggi un’indimenticata tragedia e non solo calcistica per il Brasile. Di quella partita gli uruguagi furono tutti protagonisti, ma nell’immaginario collettivo sono soprattutto ricordati i due che segnarono, Schiaffino e Ghiggia. La loro fu una carriera molto simile, sia per le squadre di club in cui militarono che per le Nazionali di cui vestirono la maglia; in carriera Schiaffino vinse molto di più, ma era certamente di un livello superiore. Entrambi militarono nei giallo-neri del Peñarol di Montevideo che con un palmares di 53 campionati, 5 Coppe Libertadores e 3 Coppe Intercontinentali è ancora oggi la squadra Sudamericana più titolata e la migliore del XX secolo secondo l’IFFHS.

Juan Alberto Schiaffino (Montevideo, 28 luglio 1925) è stato tecnicamente e tatticamente il miglior giocatore uruguagio e non solo. Di lui resta la rara raffinatezza nel tocco e l’illuminante visione del gioco che gli permetteva di giocare la palla in spazi che gli altri nemmeno vedevano. Era come se giocasse ad un’altezza diversa, al di sopra del terreno di gioco per poterlo vedere nella sua interezza; chissà se l’aiutava  l’essere alto un metro e ottantacinque. Occupa  la 17^ posizione nella classifica dei migliori calciatori del XX secolo stilata dall’IFFHS. Di quella partita, soprattutto dopo il gol dell’amico Ghiggia, il suo è un ricordo commosso e segnato da grande umanità. “Ci liberammo dell’angoscia che ci portammo in tutta la partita, piangendo di gioia, pensando alle nostre famiglie in Uruguay, mentre i nostri avversari piangevano per l’amarezza della disfatta. Ad un certo momento provai tristezza per quello che stava succedendo. Mancavano 13 minuti alla fine. Sicuramente tutto il Brasile stava vivendo un dramma. Mi sembra di rivivere gli ultimi istanti sul campo di gioco: le facce tirate di tutti i brasiliani, la disperazione per un risultato impensato e un pubblico silenzioso come mai era successo, presagio che la tragedia stava avvicinandosi».

Con il Peñarol Schiaffino vinse 5 titoli nazionali in Uruguay (1945, 1949, 1951, 1953 e 1954);  5 tornei Competencia (1946, 1947, 1949, 1951, 1953); 8 tornei Honor (1945, 1946, 1947, 1949, 1950, 1951, 1952, 1953) e la prestigiosa Copa Montevideo del 1954, il primo torneo di valore intercontinentale per clubs. Il Peñarol di quegli anni schierò la migliore squadra della sua storia: Pereyra Natero, Vidal, Miguez, Hugo, Gonzalex, Schiaffino, Varela, Possamay, Ortuño, Hohberg. Trasferitosi in Italia con la maglia del Milan vinse tre scudetti (1954-1955, 1956-1957, 1958-1959) e una Coppa Latina nel 1956. Nella Coppa dei Campioni nel 1958 segnò tre reti al Manchester United nelle semifinali e segnò uno dei due gol del Milan nella finale persa per 3-2 ai supplementari contro il Real Madrid di Alfredo Di Stefano, l’altro calciatore con cui in quegli anni competeva per il ruolo di miglior giocatore al mondo. Con la naturalizzazione vestì anche la maglia della Nazionale italiana nelle qualificazioni per i mondiali del 1958 in Svezia; perdendo a Belfast per 2 a 1 contro l’Irlanda del Nord l’Italia non si qualificò per quel Mondiale. Trascorsero 59 anni prima che ciò accadesse di nuovo: il 13 novembre 2017, a San Siro, l’Italia pareggiò per 0 a 0 con la Svezia e fu esclusa dal Mondiale in Russia dell’anno successivo. Per la sua raffinatezza tecnica in Uruguay chiamavano Schiaffino El dios del fútbol. Le sue gesta furono raccontate da grandi scrittori, tra cui il suo connazionale Edoardo Galeano, e da altrettanto famosi giornalisti come Gianni Brera, forse il suo più grande estimatore; Paolo Conte lo inserì nel suo brano musicale Sudamerica. Nel giorno della sua morte, il 13 novembre 2002,  il  Senato dell’Uruguay che si trovava in riunione ordinaria gli rese un tributo commemorativo. Anche lui è sepolto nel Panteón de los Olímpicos, il cimitero di Montevideo riservato ai calciatori uruguaiani campioni olimpici nel 1924 e 1928 e vincitori dei mondiali del 1930 e del 1950. 

Alcides Edgardo Ghiggia (Montevideo, 22 dicembre 1926) non aveva un fisico imponente in quanto era alto meno di un metro e settanta e pesava poco più di 60 chili. Aveva però le caratteristiche della classica ala destra: veloce, rapido nel movimento e con un dribbling secco che lasciava il suo marcatore sul posto. Non fu un “grandissimo” come altri suoi coetanei Sudamericani, ma il suo nome è legato indissolubilmente al secondo gol segnato al Brasile in quella storica finale. Esordì nella Prima divisione uruguaiana nel 1946 con il Club Atletico Progreso. Nel 1948  fu acquistato dal Penarol di Montevideo, dove già giocavano tra gli altri la stella di Juan Alberto Schiaffino e  Obdulio Varela, lo storico capitano non solo del club ma anche della nazionale Celeste. Nel 1949 giocò in prima squadra e contribuì con 8 gol alla vittoria in campionato. A livello internazionale era ancora sconosciuto quando esordì in Nazionale il 6 maggio 1950 nella Coppa Rio Branco, contro il Brasile a San Paolo: l’Uruguay vinse 4-3. Fu quella la prima delle dodici presenze consecutive di Ghiggia con la maglia della Celeste tra cui la celebre vittoria al Mondiale del 1950. Con il Peñarol vinse due Campionati in Uruguay. Si trasferì in Italia alla Roma con cui vinse la Coppa delle Fiere del 1961. Fu naturalizzato al pari dell’amico Schiaffino ed esordì con la Nazionale italiana nella sfortunata partita di qualificazione ai Mondiali del ’58 persa a Belfast contro l’Irlanda del Nord. Acquistato dal Milan vinse il Campionato  1961/62 seppur giocando poche partite. A fine stagione rientrò definitivamente in Uruguay. «Solo tre persone sono riuscite a zittire il  Maracana: Frank Sinatra, Papa Giovanni Paolo II e io» disse in un’intervista con un po’ di scherzosa alterigia, ma aveva ragione. Ancora oggi, insieme al carioca Jairzinho, è il calciatore che è riuscito a segnare in tutte le partite di un Mondiale vinto dalla propria nazionale. Ma quella data ebbe un significato speciale nella sua vita, forse fu un segno del destino. Morì nel 2015 a 88 anni. Era il 16 luglio, proprio il giorno dell’anniversario del Maracanazo;  con lui se ne andòl’ultimo campione del mondo del ’50 ancora in vita.

Autore

Nato a Napoli nella seconda metà degli anni cinquanta. Sportivo appassionato, calciatore in gioventù, dirigente sportivo di società del settore giovanile. Avvocato con molteplici hobby e scrittore a tempo perso, ha pubblicato due romanzi e una raccolta di racconti di Calcio.