C’è da domandarsi perché, tra le tante sensibilità a cui la nostra cultura ed educazione ci sollecita, scopriamo improvvisamente delle sacche sociali miserabili di cui proviamo vergogna e fingiamo di non vedere nella quotidianità, fino a quando come un bubbone il pus esplode e parliamo allora di emergenze.
Emergenze varie, a tutti i livelli sociali, che nascondono l’incapacità di affrontare con etica e responsabilità i problemi di una società complessa.
Voltaire diceva che “il grado di civiltà di un Paese si misura osservando le condizioni delle sue carceri”, e di queste parliamo per i dati e le condizioni allarmanti che la cronaca impone all’attenzione.
C’è chi ritiene per la società pulita il carcere ricettacolo delle cose sporche, da nascondere. Un mondo di vendetta ed espiazione dove il concetto base è di punire e “buttare la chiave”. Un mondo che si disinteressa di una parte importante della società, ormai condannata all’emarginazione vendicativa senza diritti o attenzione che non siano i costi di gestione o le rivolte da sedare, incidenti sulla spesa pubblica.
Un mondo che ha smarrito la coscienza dei Beccaria, dei Rocco, del diritto positivo ispirato al senso della giustizia superiore. Un mondo che non ha capito l’insegnamento di Antigone.
Già Antigone, onlus oggi impegnata ai rapporti annuali sulle carceri, la condizione dei detenuti, delle donne e/con i bambini, i minori etc.
Strano che annualmente sia Antigone a dare i numeri e provocare dibattiti ed analisi in un mondo che dovrebbe vedere il Ministero competente ad affrontare, analizzare e anticipare soluzioni alla gestione carceraria.
Si parla dei suicidi, dei minori che per reati vengono incarcerati o assegnati a carceri non minorili, dove possono affrontare scuole di vita malavitose a più alti livelli, delle condizioni psico/psichiatriche di supporto, delle condizioni di sovraffollamento, delle condizioni logistiche precarie e via su questa china dolorosa senza che alcun governo dia risposte risolutive a lungo termine e smetta di intervenire con soluzioni brevi rispondenti a problemi di ordine pubblico con roboanti proclami di investimenti che ricordano le “pezze calde” contro la febbre senza andare a risolvere i problemi alla radice.
Una vasta letteratura poi ci accompagna negl’inascoltati interventi di magistrati, garanti e responsabili di settore, mentre imperversano coloro che discettano senza mai essere stati in un carcere o abbiano parlato con un detenuto.
Sono arcinoti i numeri che inchiodano i politici ad essere condannati per l’ignavia o peggio la hybris.
Il problema carcerario non è solo di rilevanza gestionale, comprende la filosofia del recupero dei detenuti, il loro reinserimento nella società, a pieno recupero per non essere ripresi dalle sirene della malavita. Comprende dare il giusto valore alla polizia penitenziaria sottopagata almeno del 40% a fronte dell’operato psicologico e di sostegno ai detenuti in “operazione di relazione”.
Ci sono problemi che riguardano la prospettiva della pena che costituzionalmente deve mirare al recupero, e per farlo occorre sinergizzare il lavoro interno al carcere (spazi operativi, cooperative di lavoro, formazione) con soluzioni di inserimento esterno a fine pena per evitare che l’ex detenuto sia emarginato a vita. I campi di intervento sono tantissimi se solo si considerasse l’apporto che la società “sana” avrebbe dalla loro risoluzione. A meno che 70 suicidi nel solo 2024 e l’insieme di mutilazioni, rivolte e conseguenze di un affollamento pari al 127,5% sia l’esito voluto dell’adagio “punire per educare”. Questo folle adagio se sposato da uno Stato che crede meramente nella funzione punitiva della pena, dimenticando lo spirito della costituzione, evidenzia il fallimento e non l’efficienza dello stesso.