• 30 Gennaio 2025
Lo scrittore del mese

Nel mese in cui si celebra la giornata Internazionale della Memoria (27 gennaio), indetta dall’Assemblea generale dell’Onu per ricordare la Shoah, lo sterminio del popolo ebraico, e i deportati nei campi di concentramento, ci piace ricordare EdithSteinschreiber, più nota come Bruck, cognome del suo primo marito. Ungherese di nascita, classe 1931, naturalizzata italiana, è una figura straordinaria nel panorama letterario italiano e non solo. Scrittrice raffinata, ha collaborato con diversi giornali (Il Tempo, il Corriere della Sera e Il Messaggero), fornendo il suo punto di vista sulla politica israeliana e l’identità ebraica. Con Chi ti ama così, opera autobiografica d’esordio, inizia una carriera letteraria lunga e felice che la vede, ancora oggi. protagonista in diversi campi. Traduttrice, poetessa, autrice teatrale, sceneggiatrice e regista, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (2021), nel 2023 è stata insignita del Premio Campiello alla carriera. Finalmente un premio che riconosce i meriti di una scrittrice mentre è ancora in vita. Non succede spesso. Altrettanto raro è che non da un romanzo, ma dalla sua raccolta di racconti, Andremo in città” (1962) sia stato tratto un film, curato dal poeta e regista Nelo Risi, sposato nel 1966. L’ampia produzione artistica di Edith Bruck si concentra sulla terribile esperienza di ebrea deportata. Le opere Le sacre nozze (1969), Lettera alla madre (1988), Nuda proprietà (1993), L’amore offeso (2002), Quanta stella c’è nel cielo (2009),Il sogno rapito (2014), La rondine sul termosifone (2017), Il pane perduto (2021), per citare solo qualche titolo, affrontano da diverse angolazioni il tema a lei più caro, la deportazione degli ebrei. Aveva dodici anni e mezzo quando, insieme ai genitori e a centinaia di persone trattate da bestie, fu buttata su un carro merci: destinazione Auschwitz. Nel lager vivrà i momenti più drammatici della sua esistenza. Da subito. Appena arrivati, la madre e un fratello furono avviati alle camere a gas. Edith e la sorella Adele dopo poche settimane iniziarono un nuovo calvario. Furono spostate a Dachau, successivamente a Bergen-Belsen, poi in Polonia e, di nuovo a   Bergen-Belsen (Bassa Sassonia). Da qui finalmente liberate nel 1945. Ma la via crucis delle due ragazze non è ancora arrivata all’ultima stazione. Con mezzi di fortuna raggiungono l’Ungheria, dove si ricongiungono con un altro pezzo della famiglia, quasi tutta decimata. Edith andrà poi in Israele, dove sposerà l’ungherese Steinschreiber. Ma le peregrinazioni continueranno: Germania, di nuovo Israele, Argentina fino ad approdare a Roma nel 1959. Il trasferimento nella città eterna segnerà una svolta significativa nella vita della Bruck che, dopo essere stata sarta, ballerina, cuoca, estetista e modella, qui conoscerà Nelo Risi, suo secondo marito, che la introdurrà nel vivace mondo culturale romano. La frequentazione di Montale, Vittorini, Morante, Sereni, Moravia, Luzi, Ungaretti, Primo Levi, Monicelli sarà per lei costante stimolo a portare alla luce le sue abilità di scrittrice e sceneggiatrice. Negli anni precedenti, infatti, aveva cominciato a mettere nero su bianco le terribili esperienze vissute. Materiale trasposto in romanzi e poesie in cui il lettore viene attratto dal bisogno della Bruck di dare voce al dolore che l’accompagna, a ricordi indelebili che le hanno graffiato l’anima. Pare quasi che scrivere sia per lei una ragione di vita. Forse per rendere più lieve il macigno che ancora la opprime? Forse, non ce lo ha mai detto. Quel che è certo è il risultato che i suoi scritti producono: Arte, nel suo significato più sublime. Quella che genera catarsi, elevazione morale e spirituale

Nelle tante interviste, rilasciate proprio per far conoscere quell’orrore, Edith rievoca anche le fatiche fisiche. Lavoravo alla ferrovia portando traversine pesantissime. In seguito ho scavato buche e ho trasportato cadaveri nella tenda della morte. Il lager era pieno di cadaveri, di uomini nudi morenti o morti. Il lavoro era quello di alzare una piramide di morti in una tenda enorme. Questo è stato il lavoro peggiore che abbia mai fatto, anche perché alcune di quelle persone, non ancora morte, riuscivano a dirmi nome e indirizzo.

E la descrizione dei luoghi non può che essere macabra: Il campo di Auschwitz era unimmensa industria della morte. Soltanto dove mi trovavo io, nel lager C, cerano 32 baracche che contenevano 2000 donne. Ai due lati una fila grandissima di baracche, in mezzo la latrina, e le baracche divise da un lunghissimo viale dove si faceva lappello ad ogni alba e alle cinque di ogni pomeriggio”.

E se, lettrici e lettori, vi state chiedendo come abbia fatto Edith Bruck a sopravvivere, a cosa si debba la sua resistenza, ecco la risposta: “Al caso, allavere mantenuta viva la speranza di sopravvivere, alla fortuna di avere incontrato persone disposte ad aiutarmi, che guardandomi mi hanno, per esempio, allungato una patata. Un tedesco, durante una lunga marcia, mi chiamò e mi diede una patata calda. Eravamo stremate dopo avere camminato per mille chilometri. Durante la marcia avevamo mangiato cumuli di immondizia, scorze di alberi, sterco secco delle vacche. Cose oggi inimmaginabili! Il soldato tedesco mi chiamò e mi ha disse: Vieni qua, piccolina, e mi diede una patata calda. Sentii allora che la mano di Dio si allungava verso di me. Nei campi di concentramento un gesto del genere era un miracolo, come a Dachau quando un cuoco mi chiese come mi chiamassi. Anche quella era una cosa inimmaginabile, perché nei lager eri soltanto un numero. Sentirsi dire come ti chiami?, dopo 8 mesi che mi chiamavano 11552, era un miracolo (da un’intervista a Vito Magno). Con questa tragica esperienza alle spalle, non ci sorprende l’interesse della Bruck per i grandi problemi irrisolti del mondo: oppressione, discriminazione, razzismo, fame, argomenti su cui spesso ha richiamato l’attenzione dei governanti. Ne avrà parlato anche con papa Francesco il 27 gennaio 2022? Non ci è dato sapere, ma di sicuro il pontefice ha apprezzato quello che la scrittrice /poetessa fa per i giovani. Sì, perché ancora oggi non solo prosegue con l’attività intellettuale, ma non smette di portare nelle scuole, e ovunque venga invitata, la sua testimonianza dell’orrore nazista a cui ha assistito. È uscito nel 2024I frutti della memoria. La mia testimonianza nelle scuole “. È un volume in cui l’autrice ha raccolto le lettere più significative ricevute nel corso degli anni da studenti di ogni età. Le risposte diventano occasione per ribadire che il male non si ricambia con il male; che è necessario che siano proprio i giovani ad afferrare dalle sue mani il testimone per passare parola, per portare avanti l’impegno a cui si è dedicata da quando è stata liberata. Sono i più giovani, coloro che non hanno vissuto quel tempo di orrore, gli eredi spirituali di Edith Bruck. E tutti abbiamo il dovere di non dimenticare che sono morte ben 11 milioni di persone in 1634 campi di concentramento.

La memoria è fondamentale. Sono 64 anni che mi dedico a fare memoria. Ho anche pubblicato un libro da poco, dal titolo I frutti della memoria”. Dal 59, da quando sono in Italia, non ho mai smesso di raccontare cosa è accaduto. Lho fatto fino a oggi e lo farò domani, dopodomani. Andrò avanti perché ho visto il risultato di questa mia testimonianza infinita. Vale sempre la pena raccontare. Mai stare zitti perché, in qualche maniera, i giovani, soprattutto, capiscono molte cose. Oggi siamo disperati e non sappiamo cosa dire, cosa fare. Ma mi rifiuto di essere pessimista perché c’è del buono nel mondo, sempre. Anche nei momenti più bui, c’è sempre un podi luce ed è quella luce che bisogna in qualche maniera alimentare. Ognuno lo può fare. Far morire di fame lodio dentro di noi e alimentare quel poco di bene che c’è sempre

Ma per ottenere questo risultato Luomo deve fare pace prima di tutto con sé stesso. Laltro giorno sono venuti a farmi unintervista per il Giubileo e io ho detto che il mio cuore è una porta santa perché non provo odio per nessuno. Sono tornata dal campo di concentramento senza provare odio verso nessun essere umano”.(Dichiarazioni rilasciate a Sir, Agenzia d’Informazione). Un concetto ribadito in diverse opere e velatamente anche in Ti lascio dormire (2019). È unalettera indirizzata a Nelo Risi. Uno dei testi più intimi e toccanti di Edith Bruck, in cui l’autrice, tornando a scrivere dopo un lungo silenzio seguito alla scomparsa del marito/poeta, dichiara non solo la sua dipendenza dalla scrittura, per lei lunica forma di libertà”, ma anche che scrivere è il mezzo con cui può continuare a dialogare con lui.” La scrittura è ossigeno, purifica. Parlandoti, scrivendoti, mi sembra di emergere dal pozzo buio dove sono caduta e di risalire verso la luce, al biancore del foglio che riempio per te”. (Ti lascio dormire)

Scrivere e vivere una grande perdita sono esperienze comuni a tanti, ma nessuno è riuscito a dirlo con tanta precisione e semplicità. Grazie, gentile Signora Bruck. Anche per questo.  

Autore

Originaria di Benevento, dopo il conseguimento della laurea in Lettere Classiche all’Università degli Studi di Pisa, si è dedicata alla docenza presso il liceo classico di Saronno (VA). Animata da vivo interesse per la Letteratura, l’Arte e la Musica, si è occupata di Teatro, allestendo numerosi spettacoli che hanno ricevuto riconoscimenti sia dalla Presidenza della Repubblica, sia da attori di fama mondiale, come Dario Fo. Attualmente sta realizzando un interesse coltivato nel tempo: scrivere. Autrice di numerosi testi