Il 1893 è un anno decisivo nella vita di Benedetto Croce: incontrò l’amore e il sapere. Iniziò la storia d’amore con Angelina Zampanelli che durò vent’anni, fino alla morte di lei, e pubblicò il saggiò La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte con cui uscì dalla fase dell’erudizione e degli studi “positivi” ed entrò nel gran mondo del pensiero con i concetti (e fatti) dell’arte, della storia e la loro “distinzione” dai concetti astratti e empirici delle scienze naturali e sociologiche. Con questo saggio – che era una memoria letta all’Accademia Pontaniana di Napoli il 5 marzo 1893 – Croce sosteneva che l’arte non è “torbida e oscura vibrazione del piacere e dell’utile” bensì conoscenza e la storia, a sua volta, è conoscenza del concreto perché non si risolve in schemi e classi. Una posizione molto simile a quella di Aristotele – al quale lo stesso Croce si richiamò – e che accompagnò sempre Croce fino alla identificazione dialettica di storia e filosofia. L’anno successivo Croce pubblicò un altro saggio – La critica letteraria – che oltre a procurargli un vero e proprio duello con tanto di spade, sfida all’alba e sangue, lo rivelò come l’erede del suo “maestro ideale”: Francesco De Sanctis. Questi due saggi, che furono ristampati da Croce con Laterza nel 1918, sono stati ora pubblicati da Bibliopolis con il volume Primi saggi, curati da Davide Bondì, nell’Edizione nazionale delle opere di Croce. Facciamo ora un salto in avanti di oltre mezzo secolo scavallando nientemeno che la Grande guerra, il regime di Mussolini, la Seconda guerra mondiale ma non il totalitarismo.
Nel 1952 il cerchio si chiuse. Croce morì la mattina del 20 novembre ma fece in tempo a pubblicare il suo ultimo libro: Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici. Ora la casa editrice Adelphi, che dal 1989 con il Contributo alla critica di me stesso, rimpiazzando la Laterza, ha preso a ripubblicare le opere di Croce curate da Giuseppe Galasso, ha mandato in libreria il volumetto Indagini su Hegelche, con un’introduzione di Michele Ciliberto, propone dell’originario testo crociano solo i primi due capitoli che sono: la novella – Croce dice “ghiribizzo” – Una pagina sconosciuta degli ultimi mesi della vita di Hegel e il saggio L’origine della dialettica. Il confronto di Croce con Hegel durò tutta la vita, anche se Croce arrivò ad Hegel tardi e solo dopo gli scritti del 1893 e 1894 e dopo l’incontro con Gentile e ancora dopo aver scritto l’Estetica. Un “ritardo” benefico perché da un lato non vi giunse a digiuno e dall’altro gli schiarì il convincimento che la filosofia non poteva stare né con Hegel né senza Hegel. Così Croce i conti con Hegel li farà nel 1906 con il celebre saggio Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel – che non a caso riprende la formula di De Sanctis –, che diventerà nel 1913 l’arricchito Saggio sullo Hegel e, ancora, con gli innumerevoli scritti hegeliani sparsi qua e là nella sua opera e, insomma, per tutta la vita. Fino a giungere, appunto, al 1952, quando giammai si farà trovare in “ozio stupido” e riprendendo in mano il lavoro usato farà ancora una volta a pugni con Hegel, “mio amore e mio cruccio”, per mettere in luce che la logica della filosofia non può non essere hegeliana ma deve respingere gli stessi arbitrii di Hegel che, invece, Marx non capì e aggravò. Ma, qui giunti, nel 1952, Croce con chi stava realmente facendo i conti: con Hegel o con sé stesso? Mettendo insieme gli scritti del 1893-94 e il libro del 1952, il primo e l’ultimo, l’inizio e la fine, il lettore potrà trovare da sé la risposta. Certo è che a parlare con Hegel nel 1952 – ma la novella è del 1948 – è il gentiluomo napoletano Francesco Sanseverino che è l’alter ego di Croce, il quale nella critica puntuale che svolge della filosofia di Hegel da un lato lo elogia per aver unito concetti e fatti e dall’altro lo rimprovera per aver trasformato la filosofia in teologia secolare mentre altro non è che il severo e infaticabile esercizio del giudizio critico che distinguendo limita il delirio di onnipotenza ora della filosofia e ora della politica che messe insieme costruiscono ciò che Croce chiama l’Anticristo: il totalitarismo.
Croce, a partire dall’avvento del regime fascista, si confronta con il pericolo totalitario che per lui ha due volti: nazionalsocialista e comunista. Quando scrive l’ultimo libro il primo è morto ma il secondo è vivo e vegeto e ha una dottrina che Croce definisce “delirio comandato”. L’ultimo dialogo con Hegel, allora, è sì un dialogo con sé stesso (ma questo vale per ogni filosofo perché la filosofia è la drammatizzazione della propria persona) ma è soprattutto la salvaguardia del concetto di storia che identificata con la libertà diventa in Croce il contrario del totalitarismo. Croce è un autore tragico e il senso della “religione della libertà” risiede nell’impossibilità di esercitare potere assoluto sulla vita umana che “è sempre inquieta e non conosce riposo”. La storia gli ha dato ragione.