• 23 Novembre 2024
Cultura

Anna è bella, sensuale, passionale. Roberto è gaudente, facoltoso, perduto. Anna e Roberto sono moglie e marito e sono legati da un amore particolare: lui, fin dalla prima notte di nozze, la concede ad altri uomini e guardando gode. Lei lo lascia fare, scegliere, decidere e, insieme, di isola in isola nel Mediterraneo, scandalizzano il mondo, fino a quando il gioco erotico finisce in dramma: lei, quarant’anni, bella come una dea, s’innamora di Gennaro Annunziata, napoletano, venticinque anni, e Roberto, sentendosi tradito per la prima volta veramente, non perdona. Ritornando con largo anticipo dalla battuta di caccia, li sorprende nella aristocratica residenza romana, familiare e matrimoniale, al Pincio e spara con sicurezza, prima lei, poi lui, con il Browning calibro 12. Quindi punta la canna del fucile sotto il mento e si leva dalla faccia della terra. Lei era di umili origini, si chiamava Anna Amorosi ed era originaria di Paestum, una terra dorica dove nascono gli dèi. Lui è il conte Roberto Clerici Venosa. Il tempo, che sembra sospeso come i templi di Paestum, è il decennio che va dal 1960 al 1970 e mentre Giannatale – la voce narrante del romanzo Anna Amorosi dello scrittore italo-francese Jean-Noel Schifano, uscito con Colonnese Editore -, amico di Anna, racconta i segreti e i sentimenti più veri del cuore della donna di cui tutti parlavano e nessuno realmente possedeva, passano sullo sfondo, come un rumore di sottofondo, la dolce vita, Alberto Moravia, il rock, Elsa Morante, il terrorismo. Perché l’unica incontrastata protagonista del romanzo o, forse, della tragedia – nel senso greco del termine – è la divina Anna che, prima per gioco e poi per schiavitù, soggiace alle voglie del marito, fino a quando proprio attraverso l’amore crede di potersi liberare e tornare alla vita. Invece, trova la morte.

Il romanzo non è romanzato. E’ una storia vera. La vicenda è nota come il delitto Casati Stampa (oppure il delitto di via Puccini) e avvenne a Roma il 30 agosto 1970. Il marito e omicida e suicida era il marchese Camillo Casati Stampa; la moglie era Anna Fallarino e l’amante di lei, con il consenso di lui – almeno fino a quando pensava che la moglie amasse ancora e solo lui, Camillo – era Massimo Minorenti. Nel romanzo, dunque, cambiano i nomi e poco altro. A lei, che era originaria non del Cilento ma del Sannio Beneventano, viene dato come cognome il nome del suo paese che sembra racchiudere un destino: Amorosi. L’amico e confidente di Anna è lo stesso scrittore, Jean-Noel che, già autore di altri libri ispirati da Napoli e dalla vita italiana – Cronache napoletane e Il gallo di Renato Caccioppoli – subisce il fascino di Anna Fallarino Amorosi o Anna Casati Stampa Amorosi e le dà voce per raccontare la sua innocenza. Perché di questa vicenda – che oggi, al netto dell’ipocrisia e della morale bacchettona del politicamente corretto, non farebbe scandalizzare più nessuno – sono noti e facili da reperire i particolari morbosi e si conoscono le annotazioni diaristiche del marchese, ma ciò che è assente è proprio la voce di lei: Anna. Sono visibili anche le fotografie, perché Camillo durante gli incontri faceva degli scatti. Ciò che non c’è è proprio la voce di Anna che dopo il colpo di fucile che la raggiunse al petto non solo tacque per sempre ma fu sepolta sotto pagine e pagine e pagine di riviste e giornali che volevano ciò che non si può più avere: l’intimità. Jean-Noel Schifano prova a coglierla per ridare alla Fallarino la sua innocenza perduta, la sua vita ferita, il suo desiderio di rinascita.Non è la prima volta che si tenta di raccontare attraverso la letteratura la storia di Anna e Camillo. Qualche anno fa, oltre ai testi di Vincenzo Cerami e di Corrado Augias, lo fece la scrittrice Maria Pia Selvaggio con Il delitto di via Puccini (Edizioni 2000diciassette) che racconta la vita di Anna, Annarella, dall’infanzia senza i genitori e con le mani del prete addosso fino al secondo matrimonio e ai colpi del Browning. Il racconto della storia è, al contrario di quanto si possa credere, delicato. Basta un niente per snaturarla. Più i giornali hanno cercato di rubare l’intimità – Il Messaggero aumentò, al tempo del delitto, la tiratura di mezzo milione di copie – e più la femminilità di Anna è sfuggita. La riuscì a cogliere – così si conclude il libro di Schifano – il poliziotto Giuseppe Triscordi che in calce al suo rapporto aggiunse di suo pugno poche vere parole: “Ma io, quella sera, ho visto solo una bella donna che aveva l’aria di non essersi accorta di niente”.

Autore

Saggista e centrocampista, scrive per il Corriere della Sera, il Giornale e La Ragione. Studioso del pensiero di Benedetto Croce e creatore della filosofia del calcio.