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È nato dalla penna di un giovane ginevrino il libro più acquistato in Italia nel 2024. Joël Dicker, non ancora quarantenne, con “Un animale selvaggio” – La Nave di Teseo- uscito il 25 marzo 2024, nella traduzione della brava Milena Zemira Ciccimarra (troppo spesso i traduttori vengono ignorati), ha raggiunto una quota di vendite che non si registrava da anni. Più di cinquanta mila copie in Italia, nella sola prima settimana. Un dato ampiamente superato nei paesi francofoni europei. E, se non ci stupisce il boom editoriale in Svizzera, Belgio e Lussemburgo, i dati relativi all’Italia risultano sorprendenti. L’ampio consenso al nuovo thriller di Dicker significa una sola cosa: lo scrittore elvetico ha messo solide radici fra i lettori italiani. Il best seller prende le mosse nell’estate del 2022 quando due ladri saccheggiano una famosa gioielleria ginevrina. Questa azione andrà ad intrecciarsi con altre trame i cui protagonisti finiranno, loro malgrado, per restare intrappolati in un intrigo,difficile da dipanare perché tutto “sembra” e nulla “è”. Complicato trovare la verità, diversa per ciascun personaggio, che gioca a far sul serio, riconducendo a mera finzione ogni cosa. Il tema su cui si basa l’intero e complesso intreccio è l’apparenza, sulla quale i protagonisti fondano la loro esistenza. Verrebbe da dire, con il nostro Pirandello, che l’individuo si riduce a mera maschera, recita una parte che la società gli impone e che lui stesso, consapevolmente, sceglie di indossare. “Si guarda vivere” e” guarda” gli altri. I personaggi di “Un uomo selvaggio” si comportano allo stesso modo. Greg, per esempio, poliziotto impeccabile, è ossessionato dalla bella e irraggiungibile Sophie, che spia continuamente. E tutto passa attraverso reciproche invidie e inconfessate gelosie.Ciascuno indossa una duplice maschera: quella che gli altri percepiscono di lui e quella che lui vuole mostrare. Così entrano in gioco dinamiche, talora perverse, autoinganni che nel giallo del ginevrino sfociano soprattutto nell’invidia per l’esistenza altrui. In tal modo si finisce col vivere una vita inautentica, come quella di un animale selvaggio in cattività. Questa ci sembra la ragione del titolo, che rappresenta l’essenza dell’opera di Joël Dicker.
Dopo “Gli ultimi giorni dei nostri padri”, romanzo d’esordio, ha pubblicato molti altri libri, con cadenza quasi annuale. Figlio di una bibliotecaria e di un professore di Francese, il precoce scrittore elvetico, tradotto in oltre quaranta lingue, ha calcato anche le scene teatrali, abbandonate per laurearsi in Legge. Tuttavia neppure l’ambito forense lo affascina quanto la scrittura, una passione che coltiva da ragazzo. Raggiunge la fama con il secondo libro:” La verità sul caso Harry Quebert”. Un romanzo pubblicato nel 2012, uscito in Italia l’anno successivo per Bompiani.
Di particolare interesse risulta l’incipit di ogni capitolo che propone uno scambio di battute fra Marcus e Harry, un escamotage per parlare dell’arte della scrittura, e che richiama alla memoria “Vita con Lloyd” di Simone Tempia.
Il thriller prende le mosse nel 2008, a New York, dove il talentuoso e giovane scrittore, Marcus Goldman, sta vivendo un incubo diffuso e temuto: il blocco dello scrittore. Ma, come in quasi tutti i gialli di Dicker, compreso l’ultimo, dall’incipit partirà una serie di eventi che infittiscono la trama. Si torna indietro, nel 1975, quando ad Aurora, nel New Hampshire, si cerca inutilmente una quindicenne scomparsa. A distanza di trentatré anni Marcus accorre in aiuto dell’amico e mentore, Harry Quebert, scrittore di fama mondiale. Il cadavere della giovane Nola è stato rinvenuto nel giardino di Quebert, accusato dunque di omicidio. Marcus Goldman raggiunge l’amico ad Aurora e comincia ad indagare sul caso. Non importa che sia trascorso oltre un trentennio. Riuscirà a rispondere alla domanda che tutti si fanno: chi ha ucciso la ragazza? E finalmente tornerà a scrivere,un nuovo, grande romanzo.
Una miriade di personaggi concorre ad arricchire la trama e a tenere i lettori con il fiato sospeso perché i possibili colpevoli sono diversi. La città di Aurora è un palcoscenico sul quale tutti gli attori si esibiscono, indossando ciascuno la propria maschera di perbenismo. Le violenze domestiche, la malattia mentale devono essere celate, come il cumulo di fango che ricopre la verità. Il più innocente e la stessa vittima vivono una condizione dicotomica, combattuti fra l’essere e l’apparire. Una costante dell’opera di Dicker. L ’uomo è ciò che è o ciò che appare? È quello che vuole che gli altri vedano o quello che viene fuori quando cade la maschera? Il mistero, antico quanto l’uomo, non è stato ancora svelato. È nostra convinzione che mai si svelerà, ma in fondo importa poco. Quel che conta è il messaggio positivo che arriva anche da “La Vérité sur l’affaire Harry Quebert:
“Harry, se dovessi salvare solo una delle tue lezioni, quale sceglieresti?”
“Rigiro a te la domanda”.
“Io salverei l’importanza di saper cadere”.
“Mi trovi pienamente d’accordo. La vita è una lunga caduta, Marcus. La cosa più importante è saper cadere”.
Non credete la stessa cosa anche voi, gentili lettrici e lettori?