• 10 Marzo 2025
Editoriale

A chi appartiene la sovranità della Groenlandia? Ad un popolo e ad una nazione che da secoli non ha un esercito proprio, perché di fatto non ha mai partecipato ad una guerra, delegando la sua difesa e la sua politica estera alla Danimarca, pur avendo un governo proprio e una propria bandiera. Non che la Groenlandia sia danese, ma la Danimarca con diversi investimenti civili e per la difesa argina contenendo i problemi groenlandesi, ricavandone un netto miglioramento per la propria economia, cercando di facilitare la sua affiliazione artica attraverso la Groenlandia stessa.

Una strategia politica di non poco rilevo, per un regno quale quello danese, poco propenso ai tatticismi ma consapevole che i groenlandesi potrebbero recedere dal regno danese in qualsiasi momento, rivendicando una indiscutibile autonomia.

La Groenlandia è l’isola più grande del mondo, ancora molto misteriosa, abbracciata da un’ansa di un fiume che nasce appunto da una calotta glaciale, da secoli meta di scoperte e che affascinano gli avventurieri più disparati, presenta una superficie di 2 milioni di km quadrati, per l’80% coperti da ghiacciai, dove la maggioranza dei suoi 6.000 abitanti, vive lungo la costa occidentale, per sopperire ad ogni forma di assistenza, in un ambiente assolutamente ostile.

Un popolo che ha subito secoli di isolamento derivante da origini miste Inuit ed europee, dove la rigidità dell’ambiente artico ha plasmato la loro identità, anche sotto il profilo genetico, per modificarne i tratti e renderli evolutivamente integrati all’ambiente, quali pescatori di foche e di balene.

Attraversata dunque da un grande fiume, l’ AkuliarusiarsuupKuua che resta l’unico mezzo di continuità con una vegetazione arida e desolata ma ricca di una biodiversità costituita prevalentemente da renne e lepri, si spinge fino a giungere al primo insediamento di Kangerlussuaq, dove sfocia nell’Oceano Atlantico e sembra poi congiungersi con il Canada, dove in una sintesi geografica sembra appartenervi, creando un connubio paesaggio unico con il nord America.

In realtà, oggi, la Groenlandia è europea, anche se sembra un anteposto nei confronti degli Stati Uniti che con l’ elezione di Trump, si suole annettere il Canada, e con esso la Groenlandia creando così il cinquantunesimo Stato d’America, una mira colonialista di una modernità di altri tempi.

Una terra di confine, che concilia con le mire geografiche, e non solo, dell’imperialismo trumpiano, dove di già l’America gestisce una stazione di ricerca scientifica, visto lo scioglimento repentino della calotta glaciale, e l’evidente possibilità di accedere alle infinite risorse minerarie: petrolio, oro, rame, terre rare preziose per la transizione ambientale, come il litio, e poi ancora rubini e zaffiri rosa.

Ma la vera strategia, non si sofferma alla semplice estrazione mineraria, la naturale vicinanza artica semplificherà le rotte commerciali, tra Cina e Nord America, e tra Cina ed Europa, e il tatticismo di Trump non è avulso da questa ambizione, da questa possibile scorciatoia è un passaggio tra l’Atlantico e il Pacifico come a nord ovest, un punto nevralgico per facilitare gli scambi commerciali e la difesa marittima, e resta un punto di distaccamento notevole strategico rispetto al resto del mondo. 

Un puntiglio geopolitico di non facile soluzione visto le aspre mire di Trump che va oltre il paesaggio e la navigazione, e le sue qualità turistiche, notevoli dal punto di vista paesaggistico, che si prestano ad un approdo di circa trenta navi da crociera, nella baia di Disko, famosa al mondo per i colori scintillanti della natura e le tipiche casette colorate.

Infatti la Danimarca sta arginando con veemenza politica, le richieste di Trump, e la sottile permanenza della stazione Americana sull’isola che “non è in vendita”, risposta memorabile di Mette Frederiksen (capo del governo danese) al neoeletto Presidente Americano, e cerca di arginare anche la Cina e suoi insediamenti portuali per lo sviluppo della navigazione.

I groenlandesi, sono comunque ancora vittime della colonizzazione danese, e le sue conseguenze sociali, a causa di sterilizzazioni forzate, e non sono ancora pronti per un nuovo cambio di piglio, avendo perso in parte la loro identità isolana, sviluppando un alto tasso di suicidi giovanili, non solo dovuto all’abuso di alcool a causa delle temperature glaciali, ma proprio per un transito antropologico e sociale non ancora smaltito.

Parliamo di insediamenti minimi, residui, un popolo che da sempre subisce un’involuzione, anche turistica per l’abuso del loro habitat naturale, e il tentativo di sfruttamento delle risorse delle terre rare, che loro preservano, con grande dignità, a tutela principalmente dell’ambiente.

Parliamo dunque di un territorio speciale, sovra nazionalizzato dal regno di Danimarca e di conseguenza dall’Europa, dove le maestose aurore boreali, ricordano l’Artico e le sue immense distese, una terra di confine che preserva una sua identità, e vorrebbe giungere ad una maggiore tutela con il referendum per l’indipendenza richiesto per il 2025.

Tutto ciò desta una preoccupazione perché le pressioni economiche sono rilevanti sia dal punto di vista geografico, sia dal punto di vista geopolitico, e nonostante i tentativi di addestramento degli isolani, sul fronte di Nuuk, sembra che l’opportunità non rilancerà la politica danese, anzi non porterà vantaggi al governo e nemmeno sicurezza agli abitanti dell’isola, che da sempre non conoscono la guerra e la evitano come principio di libertà.

Il tentativo danese di rafforzare le difese dopo le assurde ma tattiche minacce di Trump, getta nuovo sgomento, e crea squilibri in Groenlandia, che si sente sottoposta ad un nuovo colonialismo neo Atlantico, ma risentono ancor più un neocolonialismo danese di nuova generazione che ai più resta incomprensibile.

Una terra dunque contesa tra due mondi, il mondo asiatico che la assoggetterebbe ad un commercio dispotico e il mondo americano dove l’annessione non potrebbe avere non soloconseguenze sociali.

Certamente la Groenlandia non si sente Danese e tantomeno europea, visto che gli apporti europei sono stati filtrati sempre dai danesi, che l’hanno depredata, e ridotta a colonia di terzo ordine sociale.

Infatti i giovani, subiscono il fascino della Danimarca ma non ne capiscono la mentalità nordica priva di valori atemporali.

Ma la vera panacea della questione restano le immense risorse naturali, mai oggetto di estrazioni, il suo nome “Greenland” “Terra verde” da sempre ricoperta di ghiaccio, ha preservato la sua qualità e le sue risorse, terra irraggiungibile e inesplorata resta impossibile viverci senza soccombere al freddo intenso e all’innumerevoli difficoltà di estrazione.

Quindi l’impresa di conquistare la Groenlandia è paradossalmente assurda, e opinabile dal punto di vista tattico, infatti molti pensano a lei come la “nuova Arabia Saudita” ma l’America è famosa per le sue imprese impossibili, pertanto l’idea preannunciata di annessione lascia tutti perplessi.

Ma comunque è pur sempre terra di confine e lascia presumere per un tatticismo di difesa dell’Artico, una questione ancor più complessa delle sue risorse minerarie e terre rare, che si affilia alla conquista dell’Artico e delle sue possibilità di sviluppo commerciali.

Inoltre la mancanza di investimenti danesi nella regione Groenlandia predispone, la difesa atlantica a disporne forse con maggiore facilità, in un momento come questo dove la difesa tattica globale passa anche per le vie artiche e dunque per la Groenlandia, infatti il ritardo di intervento riconosciuto alla Danimarca è un vantaggio per gli Stati Uniti, che non vogliono cedere il passo ai cinesi, e sono pronti a intensificarela sorveglianza satellitare sul territorio.

La complessità geopolitica sembra sciogliere un nodo storico, la Nato potrà predisporre un nuovo piano per il futuro dell’Artico, ovviamente un piano che non è avulso dall’estrazione delle risorse minerarie, un enorme investimento dove la Cina punta al Litio, importantissimo per lo sviluppo elettrico.

Ma quanto si sta profetizzando ancora resta una narrativa di confine, una sfida strategica e tattica per un futuro dove la dimensione economica e finanziaria sta mutando troppo velocemente. L’unica certezza, che quanto si dice probabile è di rilevante considerazione e la regione Groenlandia lo è, per la sicurezza mondiale.

Quindi le pretese di Trump sono di due ragioni macroeconomiche e al contempo macro territoriali: la prima ragione è la più rilevante, ovvero, la Groenlandia ha una posizione strategica dal punto di vista territoriale, infatti Nuuk, la sua capitale è più vicina geograficamente a New York che a Copenaghen di quanto si pensi, dettata dalla sua posizione geografica, e pertanto il controllo di questa regione di per sé Artica determina il controllo dell’Artico nel suo complesso. Una sorta di avamposto preferenziale rispetto alla Russia per impedirle di avere traffici esclusivi anche indesiderati.

La seconda ragione è lo scioglimento della calotta polare artica e dei ghiacci in generale, che favoriscono le rotte artiche e riducono del 40% i tempi di percorrenza rispetto al canale di Suez che a causa della crisi israeliana in corso,spingono a circumnavigare l’Africa. Inoltre la possibilità di sfruttare il territorio ricco di petrolio e Litio e altre terre rare ormai oggetto di accaparramento in uno sviluppo energeticodi non pari portata storica, dove la costruzione dei semiconduttori digitali sono di dominio cinese.

Ma Trump non mira solo alle terre rare groenlandesi, ma anche al tesoro del Dombass nella zona di Velyka Novosilkadoe dove  si trovano enormi giacimenti ucraini, che pesano notevolmente sulla pace imminente, naturalmente il mondo è un immenso tesoriere, e Trump consapevolmente per effetto di una concorrenza cinese spietata ne concepisce il valore.

Il tesoro africano inoltre soggiace allo stesso principio di conquista, e non poche sono le guerre e le retrovie per accaparrarsi i giacimenti di Litio, guerre che alimentano clandestinità migratoria e instabilità di governi.

Autore

Economista, Bio-economista, web master di eu-bioeconomia, ricercatrice Unicas, autrice e ideatrice di numerosi lavori scientifici in ambito internazionale. Esperta di marketing. Saggista, studiosa di geopolitica e di sociopolitica. È autrice dei saggi “Il paradosso della Monarchia” e di “Europa Nazione”. Ha in preparazione altri due saggi sull’identità e sulla politica europee.