• 10 Marzo 2025
Editoriale

L’Africa è ricca di tesori minerari, ma per sopperire alla transizione energetica, e spingere sul futuro dell’economia globale, deve diventare la protagonista indiscussa a livello dimercato mondiale, per la produzione di terre rare, e creare una catena di approvvigionamento, utile per i sistemi elettronici,per le energie rinnovabili, nell’Automotive, nel settore aerospaziale e nell’industria bellica, e nella moderna medicina.

Per ora l’Africa non estrae forzatamente, gli elementi delleterre rare, però subisce una forte attrazione di interesse mondiale, da parte della Cina, dell’America, della Russia, del regno britannico, infatti, detiene nel suo continente depositi sparsi ovunque di questi preziosi materiali, dalla Namibia allo Zambia, per esempio in Sudan, in Burundi, Kenya, Madagascar, Malawi, Mozambico, Tanzania, Zambia, e non ché in Sud Africa.

Depositi non ancora estrattivi a regime pieno ma che fanno gola a livello globale, parliamo di 9 nuove miniere in quattro paesi differenti- Angola, Sud Africa, Malawi, Tanzania, paesi che si porranno come maggiori esportatori di terre rare verso la Cina, dove si concentra il 70% del processo di raffinazione e di industria di trasformazione che cerca di contrastare ilMyanmar e la Thailandia e il recente Kazakistan, capienti per l’85%.

Molto spesso si enuclea questa situazione prossima ad un problema geopolitico, ma in realtà il pragmatismo economico e finanziario di questi export fanno ben pensare ad un eufemismo più prossimo a un valore geoeconomico. Perché, il monopolio cinese, che si attesta intorno al 40% della produzione africana, è dunque, molto aggressivo e crea non solo problemi di export, là dove si cerca di valorizzare le risorse inerenti alle terre rare, modificando il livello dei prezzi e strumentalizzando il mercato a discapito, di grandi domande per lo più europee, americane e così via.

Certamente la situazione è svantaggiosa non solo in ambitoeconomico di esportazione, ma ancor più per la perdita di valore aggiunto per il territorio africano, incapace di liberarsi del dominio cinese, per implementare la sua prosperità e competitività mondiale in termini di sovranità estrattiva e produttiva.

È evidente che la supremazia cinese, sebbene a carattere commerciale, produce in Africa un vero campo di battaglia per accaparrarsi lo sfruttamento delle terre rare e il suo utilizzo, che vedrà sempre più la discesa in campo non solo dell’Unione Europea, degli Stati Uniti, avversari acerrimi del mercato cinese, e di altre potenze come la Russia, il Giappone, l’Australia, tutti protesi al controllo minerario degli hub strategici africani, tutti in corsa per l’accaparramento delle terre rare, per semplificare e dominare lo scenario internazionale nel mercato della transizione ecologica.

Nel Novanta mentre l’occidente sviluppava il commercio del petrolio e del gas, la Cina deteneva di già il patrocinio delle terre rare, controllandone oggi il 60% della produzione globale, la difficoltà del settore è esplicitata ed implementata sempre in termini estrattivi, come in Groenlandia, dove le temperature ambientali e il deserto glaciale non consentono una facile approdo minerario, mentre in Africa i problemi sono per lo più legati alla instabilità dei governi.

Ma possiamo evidenziare, che la necessità dell’incremento di questo settore estrattivo, sta creando una competizione globale per giungere ad una leadership internazionale, pertanto le crisi in corso, ma ancor più le mire trumpiane sulla Groenlandia, e in particolare sull’Africa, per ostacolare la Cina, fanno ben pensare che la partita che si sta giocando non è assolutamente di carattere geopolitico, per nulla ideologico ma assolutamente geoeconomico e pragmatico.

Infatti, non solo con lo sviluppo dei Brics e principalmente lo stanziarsi della Cina, i governi africani per lo più destabilizzati da una molteplicità di problemi socioeconomici e politici risentono dei numerosi prestiti di cui hanno beneficiato tramite il sistema bancario cinese e pertanto stringono patti bilaterali con Pechino al fine di non soccombere al suo strapotere finanziario, divenendo comunque sudditi.

Le ingerenze non sono solo cinesi e anche di estrazione Russa, protesa a valorizzare e accaparrarsi con movimenti militari mercenari, quali il gruppo Wagner, il territorio africano, per foraggiare il settore bellico e la crisi ucraina.

L’Africa sub-sahariana e l’Africa australe sono ormai di patrocinio russo e cinese, che riescono con l’estrattivo a soddisfare la domanda di minerali rari a livello globale.

I costi estrattivi in Africa sono inoltre sostenibili anche a causa della manodopera a basso costo, e per una gestione della progettualità invasiva causa della elevata corruzione nei processi amministrativi dei relativi governi dei paesi sopracitati, ovviamente la strategia adottata, è divenuta di duplice portata infatti sebbene la Cina e la Russia, giocano un ruolo invasivo e dominante, l’Unione Europea nell’ambito della strategia Global Gateway, con una crescente finalizzazione a creare partnership strategiche con i paesiafricani, sta accaparrandosi una fetta del mercato di distribuzione e di fornitura dei minerali rari.

Infatti oltre alla transizione ecologica, giocano un ruolo decisivo le crisi belliche e la produzione di armi, con l’industria della difesa, creando un focus di attenzione, notevole, prima con Biden, ora con Trump, propenso a rastrellare parte delle terre rare ucraine, groenlandesi e africane, europee.

La pace con Putin ha un suo costo, in termini geopolitici, geoeconomici, finalizzati ad un dominio commerciale senza eguali, il mondo sembra incorrere in uno scivolone che porterà a planare direttamente sull’Africa, dove l’instabilità dei governi e il suolo ricco di risorse fanno pensare a un futuro dove la fame di tecnologia può essere facilmente compensata.

La sfida geopolitica si batte dunque su una sostenibilità ambientale con sfondo geoeconomico, un tema ormai centrale a livello mondiale, le superpotenze puntano ad un capitalismo finanziario e digitale di stampo ecologista, che non è per nulla teorico, anzi imprime una nuova colonizzazione dei paesi africani, che si vedono frodati delle loro risorse, con l’intento di salvare il pianeta e traslarlo verso una transizione poco ambientale e molto green, che paradossalmente produrrà miniere nel giardino del mondo, “l’Africa”, con un costo ambientale notevole.    

Le terre rare sono un gruppo di 17 elementi chimici essenziali per la produzione di molteplici tecnologie verdi, avanzate,grazie alla loro straordinarie proprietà magnetiche, ottiche e elettrochimiche, comunque nell’asset economico mondiale hanno creato una dipendenza irreversibile delle nazioni partecipanti.

Certamente l’Africa e le sue terre rare sta assumendo un ruolo di centralità internazionale non trascurabile, e le potenze che si giocano la partita ne sono consapevoli ed è per questo che si vuole assumere il controllo di queste risorse.

Una sfida senza pari verso una geo politica economica volta ad una sostenibilità ambientale strutturale non economicamente sostenibile a causa della concentrazione mineraria sotto la crosta terrestre e solo finalizzata al dominio commerciale, non solo per i governi ma anche per le multinazionali e le organizzazioni internazionali.

I nuovi petroli del XXI secolo, sono dunque le terre rare, la cui difficoltà consiste nel separare gli elementi rari dai minerali in cui sono presenti, e tuttavia i riflettori si accendono anche sul Kazakistan che possiede vaste riserve di minerali, tra cui le terre rare, proteso ad attrarre investimenti,esteri per lo più dell’occidente per sfruttare questo potenziale, pur non avendo grosse capacità in termini di manodopera qualificata e strutture.

È evidente che il mondo declina verso una transizione ecologica che cela in sé delle contraddizioni, inequivocabili, e paradossali, perché estrarre è costoso in termini ambientali come lo è stato per il petrolio.  

Ma il controllo delle terre rare, pilastro della tecnologia moderna rappresenta una sfida economica per sottrarsi dall’egemonia cinese, l’Italia pur non essendo un attore primario nell’estrazione, è qualificata per il loro riciclo e nello sviluppo tecnologico per il recupero delle terre rare assumendo un ruolo strategico e sostenibile, si stacca comunque dalla dipendenza, grazie anche ai numerosi siti regionali presenti sul territorio nazionale.

Poca cosa rispetto ai 20.000 giacimenti dell’Ucraina, che rappresentano la più grande riserva ai confini dell’Europa, con una capienza di 116 tipi di minerali diversi, e il maggiore giacimento presso Azov, Donetsk e Kirovohrad, di litio, attore determinante nell’ambito elettrico, quindi la competizione internazionale per il controllo di queste risorse strategiche non poteva che sollevare una crisi, la cui fine non lascia ben sperare in una pace duratura.

Naturalmente siamo agli albori di una partita che sembra appena iniziata e le mani lunghe degli attori che investono in questi settori non tralasceranno l’Africa, e nemmeno si staccheranno da una lotta impari in Ucraina. Infatti, le minacce in campo sono molteplici e meno rilevanti per l’Africa da sempre soggiogata e suddita di una colonizzazione sfrenata, che sta dando seguito al più grande esodo della storia dell’immigrazione clandestina.

È evidente che in una dimensione esterna di carattere internazionale o sei una risorsa o sei un problema rischi comunque di essere il focus delle attenzioni globali e appellarsi ad un forte senso di giustizia o di libertà non garantisce lo sviluppo o l’esito democratico, pertanto in unasset così complesso ognuno deve assumersi le proprie responsabilità altrimenti si rischia di non essere ne una risorsa ne un problema uscendo fuori dal gioco delle parti, e cedendo il passo a chi domina la scena.  

Autore

Economista, Bio-economista, web master di eu-bioeconomia, ricercatrice Unicas, autrice e ideatrice di numerosi lavori scientifici in ambito internazionale. Esperta di marketing. Saggista, studiosa di geopolitica e di sociopolitica. È autrice dei saggi “Il paradosso della Monarchia” e di “Europa Nazione”. Ha in preparazione altri due saggi sull’identità e sulla politica europee.