• 9 Marzo 2025
La mente, il corpo

Duemilaventicinque d.C. e siamo ancora in guerra contro la nostra stessa ignoranza o forse sarebbe opportuno dire che siamo in guerra per il nostro assurdo senso egoistico di prevalere gli uni sugli altri.

La guerra fa parte dell’essere umano, così come i sentimenti di amore e di odio, come la sensazione della fame e della sete e sin dalla preistoria ci sono testimonianze di conflitti fra simili.

Considerando i secoli trascorsi fra battaglie e conquiste sul pianeta Terra, in realtà non dovrebbero esistere territori non conquistati, ma, purtroppo, la mania del potere e la smania di appropriarsi anche della meno considerevole striscetta di terra, rende l’uomo affamato e arido nonché pronto a distruggere e a lasciare cadaveri a perire privandoli anche di sepoltura solo per vincere al capriccio del volere.

Milioni di bambini soffrono la fame e muoiono al freddo, orfani senza un tetto e ospiti sotto le macerie causate dalle bombe. Neonati che venuti al mondo hanno visto la luce delle esplosioni e dei bombardamenti ignorando che fosse quello il vero o il falso mondo.

Comandanti di battaglia improvvisati, che sono passati a giocare dai soldatini di piombo a quelli in carne ed ossa, senza aver mai proseguito corsi di formazione né di pace e né tantomeno di guerra, ma saliti sul podio dei re come attori che recitano una nuova parte assegnata.

E la gente si spegne fra ruderi e fucili, fra cieli sempre più in fiamme e silenzi assordanti. I bambini tracciano con i loro piedini nudi e feriti i passi di un presente che non avrà futuro, mancando di certo così alla possibilità di divenire piccoli grandi uomini.

I continenti si riuniscono in parlamenti per varare  nuove misure a scrivere trattati di pace fra percentuali storiche che salgono e scendono, fra partiti confusi, che anche lì mettono in atto lotte che fanno infrangere le parole.

Intanto torna prepotente l’odore della morte che da un estremo all’altro del mondo minaccia di far cadere il planisfero che viene trainato come un mulo col carretto dalla resilienza.

Giornate con il fiato sospeso fra ossigeno e preghiere di un Angelus rimandato che sostiene da sempre l’invito alla pace. Difficile non raccogliersi come cocci rotti, uniti dalla tristezza che il Sommo abito bianco si ricomponga con la speranza di un mondo non dilaniato dalla caparbietà di chi si affretta a continuare le guerre.

Falsi oratori si dichiarano pronti a dimettersi da cariche insicure, per proclamare la fine dei mali. L’ipocrisia impasta degli alibi politici atti a combattere, ma solo per scrivere il capitolo mimando una scena da un copione con inno alla pace.

Intanto fra stelle e strisce si disegna una promessa che si va ad alleare con l’utopico sogno di libertà e di equilibrio precario. Si premia il bisogno di mettere un punto al fanatismo e all’illusione, si chiede sicurezza nel costruire senza interpretare, senza conquistare ma con l’esigenza di dialogare per arrivare a delle risposte che portino alla giustizia a favore della povera gente, la stessa gente che si vede distruggere le famiglie, che stringono fra la braccia le carcasse dei loro figli, dei loro diritti e dei loro sogni.

La guerra ogni giorno attacca ogni fronte, non entrano proiettili solo nella carne delle persone ma si ferisce l’economia fino a ridurre ogni possibilità di rivalsa alla debolezza. Le macerie confondono le urla, fra fumo e polvere, oscurando le stesse emozioni. E si diventa freddi e lividi, feticci e vermi sepolti dai calcestruzzi e dai tetti che un tempo erano rifugi di felicità e sicurezza familiare.

Si ritrae anche il tramonto impedendo di sopraggiungere all’alba del nuovo giorno per la caduta di stile di una intelligenza troppo assorta in un piano articolato sulle congetture futuristiche. E sono sempre di più i discorsi fatti di parole incomprensibili che tanto si sa, si reggono tutti sulla voglia di assicurarsi non proprio la pace quanto nuovo potere.

Servirebbe un minimo di collaborazione, un riconsegnare la giusta affermazione di volontà atta a delimitarne l’ipocrisia ed il rigetto morale di chi aspira solo a conquistare il podio assoluto.

PACE è una parola tanto breve e altrettanto potente che dovrebbe rendere tutti consapevoli di eludere dalla morte, che dovrebbe portare alla voglia di vincere tutti insieme per raggiungerla quella parolina, per scriverla sulle case distrutte, sulle guance dei bambini, sul palmo delle mani degli uomini, sui grembi delle future madri, nei cieli che vedono troppo impolverate anche le nuvole.

Quante chiacchiere incomprensibili per i potenti, figuriamoci come potrebbe comprendere il resto del mondo. E pensare che i bambini sono i soli che hanno trovato la vera soluzione in un solo gesto; dividendosi un pezzo di pane con il bambino che gli adulti hanno definito un loro nemico ed è proprio in quel pezzo di pane che hanno scritto la parola Pace.

Autore

Carmela Picone nasce nel 1969 a Solopaca , in provincia di Benevento. Dopo aver conseguito il Diploma di Maturità Classica, leggendo Pirandello scopre la passione per il teatro. Partecipa e vince un concorso letterario con La Libroitaliano Editore e vede le sue poesie pubblicate in un’antologia. Scrive il romanzo “Gocce d’Amore” che ottiene immediato successo tanto da interessare un regista romano che chiede all’autrice di scrivere una sceneggiatura tratta dal proprio libro per la progettazione di un film. Nel 2021 scrive “La poesia delle parole semplici” una silloge pubblicata dalla Atile Editore. Le passioni restano la scrittura, i viaggi ,la recitazione e la pittura . Ama molto viaggiare, scoprire nuove culture, ammirare nuovi paesaggi e far tesoro delle emozioni che ne scaturiscono dopo ogni luogo ammirato. La sua ambizione più grande resta quella di promuovere il territorio nel quale è nata, e dove oggi s’impegna nel sociale per tenere vive le tradizioni e per portare alla conoscenza di tutti la meraviglia e i tesori della sua terra. piccola perla del Sannio.