
È nelle librerie un libro davvero importante. Ci riferiamo a, Fuori di questo mondo di Ioan Petru Culianu, comparso nel catalogo SE (pp. 243, euro 26,00). Il volume è stato ben tradotto nella nostra lingua da Maria Sole Croce ed è impreziosito dalla postfazione contestualizzante di Federico Ferrari. Si tratta dell’ultimo libro dell’intellettuale romeno. Poco dopo avere ricevuto, nel 1991, le bozze di questo volume, Culianu venne assassinato, in circostanze tuttora misteriose e di cui molto é stato scritto, nei bagni della Divinity School dell’Università di Chicago, dove insegnava Storia del cristianesimo e Storia delle religioni. Il libro, tanto nel titolo quanto nei contenuti, rimanda al volume, Uscite dal mondo di Elémire Zolla, studioso con il quale, negli anni immediatamente precedenti, il romeno aveva intrattenuto proficui rapporti intellettuali, condividendo alcuni aspetti della prospettiva teorica del pensatore italiano. Ma chi era Culianu? Qual è stata la sua formazione?
Nato, nella Romania comunista, in una famiglia borghese, fin dall’adolescenza mostrò una non comune versatilità intellettuale. Apprese, con facilità, molte lingue moderne, fu poliglotta, medesima propensione conoscitiva ebbe per le lingue antiche. La sua formazione universitaria fu di stampo umanistico, anche se il giovane evidenziò un interesse non comune per la scienza “ultima”, in particolare per gli sviluppi della fisica relativistica einsteiniana e, di rimando, per il dibattito epistemologico. Patì, non poco, il clima culturalmente claustrofobico del paese natale. Riuscì ad evadere da tale asfissia intellettuale, grazie a una Borsa ottenuta presso l’Università di Perugia. Giunto in Italia chiese asilo politico, subendo, in patria, un processo in contumacia. A Milano, sotto la guida di Ugo Bianchi, approfondì gli studi sullo gnosticismo, in particolare si occupò dell’esegesi di tale eresia in Hans Jonas. Si trasferì presto in Olanda e da lì giunse a Parigi. Nell’ambito storico religioso, suo riferimento imprescindibile è da considerarsi Mircea Eliade, maestro di un’interagenerazione di intellettuali non-conformisti del paese danubiano. Sotto il profilo filosofico-teologico guardò al neoplatonismo rinascimentale e, nell’ultima fase di vita, alla Cabala e alla mistica ebraica. La lettura di Fuori di questo mondo rende edotti, ricorda Ferrari, che l’iterintellettuale di Culianu è stato segnato da evidente continuità: «l’estasi, le fuoriuscite dal mondo, dall’io, dalla parola sono le esperienze cui fin dalla gioventù egli aveva dedicato i propri studi» (p. 242).
Eccolo, allora, attraversare, in forza di una straordinaria erudizione multidisciplinare, le più disparate tradizioni relative alle “uscite dal mondo”. Nel volume vengono chiamate in causal’antica sapienza egizia, la visione taoista, la concezione della vita di quelli che Colli ha chiamato i Sapienti greci, qualsivoglia aspetto dei viaggi interplanetari, ultraterreni o nel regno di Ade. Le argomentazioni di questo esegeta d’eccezione coinvolgono il lettore in un viaggio spiraliforme, nel quale il tema della “fuoriuscita” dal senso comune (meramente empirista), si ripete di continuo, in modalità ossessiva. Nella scrittura di Culianu inizio e fine, come tutte le opposizioni dicotomiche, si confondono, si dicono in uno: egli mira, infatti, a un’apertura, a esporsi sull’origine. Ruolo dirimente, ai fini della comprensione del testo, a parere di chi scrive, è da individuarsi nei primi due capitoli. In essi lo studioso sostiene che: «il mondo esterno è un costrutto della nostra percezione […] privo di “oggettività” […] il mondo fuori di noi e il mondo dentro di noi […] non solo interferiscono tra loro […] ma è anche difficile capire dove finisca l’uno e dove cominci l’altro» (p. 16). Insufficienti risultano le spiegazioni che chiamano in causa la trasmissione genetica o l’esistenza di un inconscio collettivo che starebbe alle spalle delle testimonianze, antiche e moderne, di “uscite dal mondo”. Al contrario, è necessario guardare alla tradizione culturale, all’esistenza di sistemi di idee che tendono, nel tempo e nello spazio, a ripetersi, ogni volta in forma originale e differenziata. Si assiste a: «una rielaborazione continua di antiche credenze, che implica oblio, annullamento e innovazione continui» (p. 20), come nelle corde della filosofia di Andrea Emo, che riteneva la conoscenza essere, ab origine, legata all’oblio, la salvezza alla rinuncia a essa.
Culianu, nel secondo capitolo, discute la possibilità dell’esistenza della “quarta dimensione” intuita da Hinton, che si riverberò nella fisica di Einstein. Dimensione presente anche in Flatlandia di Abbot, in Alice nel paese delle meraviglie di Carroll e, soprattutto, in Borges: «La quarta dimensione ci costringe ad accettare l’ipotesi che esistano molti livelli di realtà superiore», livellinon dissimili dagli Stati molteplici dell’essere di cui ha detto Guénon e dei quali ebbe contezza Gurdjieff. Se abbiamo ben inteso, categoria centrale, in questo libro, è quella dello “sciamanesimo”, stante la lezione in tema di Eliade, che vi lesse un insieme di tecniche estatiche mirate a realizzare il contatto con l’universo parallelo delle potenze cosmiche, a beneficio dei singoli e delle comunità.D’altro lato, in questo libro e nelle altre opere di Culianu, si evince il debito gnostico. Il suo, rileva Ferrari, è esempio di: «una gnosi contemporanea, di una salvezza per mezzo della conoscenza in un mondo […] opera del Male» (p. 234). Una gnosi centrata sulla potenza immaginante della mente, sui suoi spazi appartenenti a n dimensioni possibili. Sono i mutamenti del nostro immaginario ad aver dato vita, e potranno ancora farlo infinite volte, ai diversi paradigmi epistemici dell’umanità.
La conoscenza prende avvio da principi semplici, elementi inaugurali che il Nostro interpreta in prospettiva tanto diacronica quanto sincronica. Essi dipendono e si trasformano alla luce di fattori ed interferenze diverse. Pur muovendosi in direzione di una mathesis universalis, Culianu presenta una teoria dell’intertestualità, della “trasmissione”, del tradere che si pone oltre il prospettivismo, in funzione ontologica. È il “senso interno” aristotelico a fungere da guida verso l’origine: «l’anarchos senza cominciamento», chiosa Ferrari (p. 238). In tale itinerario speculativo, egli rielabora, in modalità originale, le tesi di Feyerabend (anarchia della conoscenza) e di Bloom (“dislettura” decostruttiva derridiana). Fuori dal mondo è libro che abbatte gli steccati segnati dagli idolacontemporanei. Chi scrive ritiene che essenza ed esistenza, essere e nulla si diamo sempre e solo in uno. In Culianu, in forza del debito gnostico, il mondo “altro” che si incontra nella “uscite dal mondo”, almeno in alcuni casi, pare mantenere una sua distanza dal mondo “reale”, in quanto connotato da residuale trascendenza. Nonostante ciò, Fuori di questo mondo è testo che illumina l’oblio nel quale il pensiero è caduto nel’età della post-verità. Utile a quanti vogliano mettersi alla prova, vogliano provare a pensare “dalla fine” della filosofia.