• 3 Dicembre 2024
La mente, il corpo

“Ogni giorno, quando apro un giornale, la cronaca riporta sempre più spesso notizie legate a crimini di gruppi giovanili. Sono abituata a sentirne parlare, vederli agire nel loro modo spettacolare di mettersi in mostra, nella violenza che li contraddistingue e, tante volte, cercare di arginare il fenomeno per le strade americane. Da qualche anno ho rivolto l’attenzione alla sua diffusione in Italia, come importazione di un certo tipo di comportamento, non che in Italia i gruppi criminali giovanili non ci siano mai stati, anzi.”

Così inizia la nostra intervista con l’esperta di Street Gang Americane, Rossana Del Zio, con un trascorso professionale di esperienze sul campo a stretto contatto con questo fenomeno per certi versi affascinante e da imitare, quello stereotipo deviante che spinge ad emulare giovani Gangster inseguiti nelle immagini delle serie televisive, di film di Hollywood o nelle sanguinose battaglie nei video giochi o nelle parole forti dei testi dei rappers. Eppure sono così reali. Tuttavia ci incuriosisce del fenomeno la parte delle Pink Gang, formate da sole ragazze e delle loro dinamiche all’interno del gruppo ed alla loro contrapposizione alle Gang di ragazzi.

Prima di incominciare, vogliamo comprendere come si caratterizzano ed eliminare dalla nostra mente qualsiasi mito o stereotipo o pregiudizio o false credenze sulle Gang? Possiamo parlare dei fattori di rischio, vulnerabilità, e quali sono le variabili sociali, familiari, scolastiche? Possiamo capire come il gruppo si trasforma in una gang?

Stiamo vivendo in un’epoca in cui la crisi dei valori ha sgretolato i capisaldi della nostra società come la famiglia, la scuola e le istituzioni stesse che erano e che dovrebbero essere l’esempio per incoraggiare i ragazzi, ma che purtroppo non essendoci si portano via quella serenità e quella forza che la gioventù possiede per guardare al futuro. I ragazzi spesso si perdono in quei falsi mondi perfetti inseguendo i sogni di qualcun altro e non i loro. Ecco che il gruppo, e prima ancora l’amico, trascina l’adolescente in situazioni che, spesso inconsapevolmente, lo porteranno a perdersi la possibilità di viversi il proprio futuro in maniera sana.

Il fenomeno di cui mi occupo lo evidenzia drammaticamente: con un certo tipo di dinamiche e motivazioni gli adolescenti delinquono in maggior numero se sono in gruppo e se appartengono ad una sottocultura legata ai ghetti delle zone periferiche delle grandi città di tutto il mondo, ma non solo in quei territori. Difficilmente delinquono da soli, ma non dobbiamo dimenticare quali sono le motivazioni personali che spingono il ragazzo ad affiliarsi alla Gang. In particolare mi occupo delle Street Gang americane, ho approfondito gli studi di criminologia presso la Gang Academy Americana e da qualche anno della loro influenza sulle bande giovani italiane sia come emulazione che come fenomeno che caratterizza alcune etnie. Ovviamente Le parlo dell’esperienza sul campo che va oltre un certo tipo di definizioni di letteratura sull’argomento. Dal nostro punto di vista professionale ci basiamo su indicatori ben precisi e sull’analisi di ogni singolo crimine ed i suoi collegamenti con luoghi, persone e non luoghi come i social media. Spesso però si aggregano solo per divertimento e poi l’alleanza sfocia in altro. Contestualizzare il gruppo nel tempo, in un determinato territorio, di solito ci collega ad un piccolo leader che prende le redini e decide chi è ammesso e quali attività svolgere insieme per soddisfare un certo tipo di necessità legate a disagi all’interno di un quartiere e per ovviare ad un certo tipo di discriminazioni legate alle condizioni economiche ed alle etnie per esempio. Infatti moltissimi ragazzi, e parliamo di una fascia di età che va dai 13 ai 21 anni circa, si uniscono proprio perché nel gruppo ci si sostiene vicendevolmente e poi perché anche attratti dall’idea che l’affiliarsi sia affascinante. Spesso vengono ingannati da chi vuole reclutarli attraverso la creazione di miti interconnessi tra di loro. Sono importanti però, secondo le teorie criminologiche sul fenomeno, i fattori di rischio individuali di aggregazione che molto spesso sono comportamenti antisociali (essere contro le forze dell’ordine), uso di alcol e droghe, problemi psichiatrici, eventi traumatici familiari, abitudini a commettere attività delinquenziali (anche a carattere familiare), problemi di rendimento a scuola, rifiuto da parte dei coetanei, vittime di violenza ed abusi. Mi spiego: il reclutatore, maschio o femmina che sia, spinge il soggetto debole a fidarsi di quello che gli raccontano per risolvere un determinato problema, per esempio difendersi da qualche bullo a scuola o nella squadra di calcio. Il gruppo colma quel vuoto, quel senso di impotenza del ragazzo. Ecco che, prima di tutto, dobbiamo comprendere quali sono i motivi che spingono il ragazzo ad aggregarsi alla Gang e per Gang intendo un gruppo che commette crimini, non perché sia vietata l’aggregazione giovanile.

Una volta nella Gang il ragazzo o la ragazza dovrà innanzitutto sottoporsi ad un “rito di iniziazione” che comprende farsi picchiare dal gruppo, subire violenza sessuale o mettere in atto dei crimini per dimostrare di essere all’altezza del gruppo. Nel tempo continuerà a commettere crimini per mantenere alta la reputazione della gang, difendere il territorio, i suoi membri e le attività, nonché assicurare al gruppo le risorse economiche, che purtroppo vengono utilizzate per mantenere in carcere i membri arrestati e condannati e per pagare avvocati e sostenere le famiglie.

Per chiarire i falsi miti e perché sono falsi?

La mia Gang mi proteggerà e mi sentirò al sicuro. Niente di più falso, una volta entrato nella Gang non solo il ragazzo sarà bersaglio delle Gang rivali, ma saranno in pericolo anche i suoi amici ed i suoi familiari spesso vittime di ritorsioni.

Altre persone mi rispetteranno di più se sono in una Gang. Sbagliato! Il rispetto in molte Gang significa paura. Unirsi a una Gang, significa commettere costantemente crimini e spaventare gli altri affiliati di fronte alla violenza. A qualsiasi età, il rispetto è qualcosa che puoi guadagnare ricevendo per esempio una buona istruzione e raggiungendo obiettivi nella vita. Il rispetto nella cultura delle Gang scomparirà la prima volta che non il ragazzo non riuscirà a ferire qualcuno che lo insulta o lo umilia.

Entrare in una Gang significa che avrò molti amici. Il ragazzo avrà amici, ma si farà anche molti nemici: i membri delle bande rivali. Inoltre, potrebbe perdere i suoi amici che non si sono uniti alla Gang.

La mia Gang sarà proprio come la mia famiglia. Le vere famiglie non costringono le persone a commettere crimini per ottenere rispetto e amore. Le vere famiglie ti accettano e ti amano per chi e cosa sei. Anche se la tua famiglia ha problemi, essere in una banda non li risolverà, ma peggiorerà solo le cose.

Guadagnerò un sacco di soldi, se sono in una Gang. La maggior parte dei membri di una Gang guadagna pochissimo facendo parte di una Gang. Le Gang non pagano; infatti, molte fanno pagare le quote dei membri per essere un membro. Chi fa soldi finisce per finire in galera o in carcere perché il denaro guadagnato è stato fatto attraverso i crimini commessi.

Non riesco mai a uscire dalla mia Gang. I ragazzi che sono in una gang cercano ogni giorno di lasciare il gruppo, ma le reazioni sembrano portare ad un’unica via d’uscita: morire.

È difficile uscirne e riprendersi la propria vita familiare, sociale e scolastica perché le implicazioni potrebbero essere così profonde da non poter dare una soluzione indolore. È più facile entrare che uscirne, ma si può scegliere di lasciare la vita della Gang chiedendo aiuto fuori, agli adulti, ai genitori, alle autorità.

Quindi la paura a doppio senso sembra essere il motivo che spinge ad essere violenti, paura di perdere qualcosa in termini di identità, paura di perdere il potere acquisito nel gruppo, paura di perdere le sicurezze che il gruppo rappresenta per il soggetto più debole e paura di perdere l’etichetta di fronte agli occhi dei coetanei che spinge drammaticamente a fare uso di violenza per mantenere uno stato.

Torniamo all’interesse per l’argomento Pink Gang, Può fornire indicazioni sulla provenienza socioculturale delle ragazze appartenenti alle gangs? Cosa hanno in comune le baby gang e le Pink gang; e cosa invece li differenzia? Potrebbe fare una comparazione tra le nostre Pink gang e le altre internazionali? Ci sono gang femminili straniere sul nostro territorio nazionale? Sulla nostra regione? Come è avvenuto il passaggio da oggetto sessuale in una gang maschile a “maschiaccio” di una gang femminile? Quali sono le caratteristiche delle Pink gang e dei membri che ne fanno parte?

Tinte di rosa solo nel nome direi, e qui tocchiamo argomenti che da donna, da mamma, fanno leva in modo più drammatico direi. La chiamerei Girl Gang, o Ragazze di strada, per un semplice motivo, il colore Rosa è un segno di riconoscimento di alcune Gang. Infatti, ognuna di esse, oltre ad avere un simbolo, un tipo di abbigliamento ed altri segni distintivi hanno i loro colori, per esempio i Crips il colore blu ed i Bloods il rosso, ma se penso al rosa lo associo sicuramente agli Imperial Gangsters. Piccoli dettagli, ma se siamo in Italia le identificherei come Bande femminili, andando contro ad ogni influenza della lingua Inglese che monopolizza i social media, lo slang dei ragazzi e molto altro. Le ragazze che si aggregano ad una Gang provengono dallo stesso substrato socioculturale dei maschi, hanno le stesse capacità di comunicare con la violenza, la stessa voglia di affermazione e spesso prendono il posto dei compagni detenuti. Le motivazioni personali, delle quali ho parlato prima, sono le stesse, ma si aggiunge una caratteristica molto delicata perché sembra che la maggior parte di loro siano vittime di abusi sessuali familiari e la Gang diventa una pseudo famiglia, ovviamente insana. Le Gang femminili hanno una connotazione etnica mista, come in tutte le gang del mondo. Di solito le ragazze sono schiavizzate all’interno del gruppo maschile di cui ne fanno parte perché sono fidanzate degli affiliati e quindi sottoposte anche a richieste sessuali insistenti e si pensa che molte di loro creino dei gruppi esclusivamente femminili per rivalsa nei confronti di chi le ha assoggettate e disprezzate per molto tempo. All’interno di alcuni territori abbiamo identificato gruppi antagonisti di ragazze in cui la leader viene chiamata Ape Regina e le affiliate Api operaie, allo stesso modo delle Pink Gang americane vanno in giro a picchiare le ragazze delle gang rivali, commettono crimini di ogni genere, tra cui anche la prostituzione, e controllano territori come quartieri, scuole, palestre, ecc. In Italia sono presenti in molti quartieri di medie e grandi città.

Il ruolo del femminile ieri, oggi e domani… in una Pink gang?

Basta guardare i film del passato e le note serie televisive. I ruoli delle donne, apparentemente di secondo piano, sono poi emersi nella loro reale connotazione da cui la filmografia ha tratto dalle realtà criminali di tutto il mondo a cominciare dalla saga sulla Mafia Italo Americana per nostalgici e la figura femminile chiave di Connie Corleone fino ad arrivare a Rosy Abate. Vittime di un sistema familiare maschilista, denigratorio e violento. Donne che rialzano la testa e cercano vendetta perdendo il tipico ruolo dolce femminile sfoderando violenza psicologica e materiale fino ad uccidere. Api Regine di altri tempi, ma così attuali, probabilmente perché le prevaricazioni e le violenze sulle donne non sono cambiate sia all’interno della famiglia originaria, sia nella società in cui persiste il sessismo. L’esempio reale lo percepiamo nelle Bande femminili contemporanee che esprimono forza e debolezza, gelosie e prevaricazione nei confronti di altre donne attraverso la violenza e pur diventando leader subiscono gli stessi abusi da cui probabilmente scappano, in un susseguirsi di ruoli stretti in un loop vittima-carnefice/carnefice-vittima.

Nel domani vedo un territorio delle bulle, insieme ai bulli, sempre più marcato all’interno del web in cui la violenza e la prevaricazione si manifesteranno, come già succede, nel cyberbullismo con la violenza psicologica dei ricatti in rete, la contaminazione della reputazione, la difficile identità tra l’essere prima vittima e poi carnefice e magari contemporaneamente vittime di qualcun altro.

Siamo una società che ha in sé caratteristiche di violenza, potremmo supporre che i ragazzi sono lo specchio di questa realtà? Quali azioni intraprendere in virtù che allo stato attuale il fenomeno è riconducibile ad un disimpegno morale che esiste nella società, negli adulti e come conseguenza nei minori, privi in alcuni casi di riferimenti educativi e culturali, e dove la logica di possesso di oggetti diventa prioritaria rispetto al possesso di valori?

I ragazzi sono lo specchio del disinteresse diffuso nei confronti della loro educazione familiare, scolastica e sociale. Purtroppo una società che impone di avere tutto e subito senza dare quasi nulla in cambio, in cui i genitori sono troppo impegnati a lucidare la propria immagine nella società o professionalmente, il ruolo degli insegnanti educatori messo in secondo piano e le istituzioni spesso inesistenti o tardive negli interventi. Poi si aggiunge la loro libertà di utilizzare piattaforme di social media anche e soprattutto quando non hanno neanche l’età per poterlo fare e sono autorizzati dalla famiglia, la stessa famiglia che di fronte ad una problematica che ne può scaturire si scaglia contro chiunque possa addossarsi la colpa. È la mancanza di responsabilità la prima falla, il dire “no” ad un certo tipo di abitudini, la seconda lasciare che i ragazzi non si sentano compresi ed ascoltati e la terza lasciare che i valori di oggi siano i like sui profili social. Le conseguenze, già drammatiche, nel giro di pochi anni potrebbero essere irrimediabilmente senza via di uscita. I numeri dei suicidi dei ragazzi, delle risse in strada, delle minacce in rete e molto altro sono dei dettagli sui quali non si può essere ciechi. E la situazione, per chi commette crimini, non è molto più rosea all’interno degli istituti correzionali in cui i gruppi si formano per colmare lo stesso vuoto che si aveva là fuori, in strada, proprio vicino casa, la scuola o l’associazione sportiva.

Non dimentichiamoci di cogliere i segnali, anche i più impercettibili, perché così saremo in grado, per quello che ci è possibile, cercare di mantenere la promessa che una parte dei loro sogni si realizzi, che il loro futuro si realizzi.

Autore

Psicologa clinica della persona dell'organizzazione e della comunità Psicogeriatra e docente dello stesso Master - La Sapienza. Coach cognitivo Criminologa minorile Dipendente Regione Lazio