La storia di Giuseppe Desiderio, arcidiacono della cattedrale di Sant’Agata dei Goti e deputato al Parlamento nazionale napoletano nei fatti della Rivoluzione del 1820-21, ma anche letterato e socio dell’Arcadia, mi riguarda da presso perché don Giuseppe è un mio avo. Tuttavia, riguarda anche i santagatesi e la diocesi che fu di Sisto V e di sant’Alfonso, come e ancor più la storia del Mezzogiorno e il Risorgimento visto che Giuseppe Desiderio, che fu nominato arcidiacono nel 1815 direttamente dal re Gioacchino Napoleone Murat per tramite del ministro Francesco Ricciardi, fu parte integrante e consapevole del classe dirigente murattiana che restò nel Regno anche dopo la fine tragica di Murat a Pizzo calabro e, tra equivoci e intese, fece la rivoluzione del 2 luglio confidando sulla forza dell’esercito guidato da Guglielmo Pepe. In particolare, la vicenda di Giuseppe Desiderio, che nacque a Sant’Agata dei Goti nel 1770 e morì nella sua casa di rimpetto al castello normanno nel 1836, s’inscrive – documenti alla mano – nel solco dell’illuminismo napoletano: studiò prima nel seminario santagatese rimesso in sesto da Alfonso, quindi all’università di Napoli alla scuola dei Giannone, Genovesi, Filangieri e in quell’aria rivoluzionaria del Novantanove che gli restò in testa non solo nel Decennio francese e nel tempo, come avrebbe detto Giuseppe Galasso, della politica dell’ “amalgama” nel Quinquennio dal 1815 al 1820, ma anche dopo i fatti rivoluzionari, quando gli caddero letteralmente addosso sia lo Stato sia la Chiesa, fu epurato da ogni carica, e, tuttavia, rimase fedele ai suoi ideali cristiani e liberali e, come dice lui stesso in una lettera al sovrano Francesco I, “ai lumi della bella Letteratura e delle analoghe Scienze”. Così restando fedele agli ideali della religione e della costituzione, Giuseppe Desiderio per vivere aprì a casa sua una scuola – una scuola di studio e libertà – che le autorità non potettero non tollerare perché tale era la presenza dei giovani che, come dice il suo allievo Angelo Balletta nell’Elogio funebre, “Desiderio ha fatto di Sant’Agata una piccola Atene”.
Mi sono imbattuto nella figura del mio avo per caso. Nella occasione dei duecento anni dei moti napoletani del 1820-21 leggevo il bel libro di Nicola Santacroce Le elezioni per il Parlamento Nazionale del 1820 in Terra di Lavoro e Decio Coletti, quando tra i nomi dei deputati eletti nella Provincia di Caserta salta fuori il nome di Giuseppe Desiderio. Evidentemente, l’arcidiacono mi stava aspettando dall’altra parte della storia per essere tratto via da quella linea d’ombra nella quale fu relegato dopo la morte con la classica damnatio memoriae. Di lui, infatti, non si sapeva nulla. Eppure, mosso dall’altrettanto classico bisogno di sapere, prima ho recuperato un breve profilo biografico nel testo del 1900 Il Parlamento Nazionale Napoletano per gli anni 1820-21, quindi l’Elogio funebre scovato nella Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria che mi ha condotto prima all’Archivio Diocesano Filippo Albini di Sant’Agata dei Goti ricco di documenti e poi all’Archivio di Stato di Napoli: qui è saltato fuori, grazie all’aiuto di Lorenzo Terzi, una voluminoso fascicolo con oltre trecento documenti che ricostruendo davvero vita, morte e miracoli di Giuseppe Desiderio ne costituisce a tutti gli effetti una sorta di “affaire Desiderio” o “lo strano caso dell’arcidiacono Desiderio”.
Mi si è aperta così una strada che spero non sia solo mia. Perché di quei 98 deputati del Parlamento Napoletano – vi erano, ricordiamolo, anche nomi noti e grandi, Giuseppe Poerio, Pietro Colletta, Matteo Imbriani, Melchiorre Delfico, Matteo Galdi – non si sa moltissimo e così questa Vita fede e libertà di Giuseppe Desiderio che ho dato alle stampe conto che possa riaprire gli studi su quegli uomini e su quei fatti che nell’ambito sia della storia di Napoli sia della storia d’Italia rivestono un’importanza decisiva: la Rivoluzione del 2 luglio non determinò, come avvenne vent’anni prima, il cambio della forma di Stato ma condusse alla monarchia costituzionale e su quella Costituzione giurarono i deputati, giurò il Desiderio, ma giurò solennemente davanti al popolo lo stesso sovrano Ferdinando IV o Ferdinando I delle Due Sicilie. Solo che poi Ferdinando spergiurò, l’Austria schierò l’esercito tanto più numeroso dei militari di Pepe mentre Poerio ritto in Parlamento pronunciava con gli stranieri alle porte il suo storico discorso in difesa della libertà e della patria.
Giuseppe Desiderio, dopo la fine del “novemestre”, fu un sorvegliato speciale. L’accusa che gli fu rivolta fu di essere un “settario” ossia carbonaro. Tuttavia, l’accusa non fu provata e nelle carte della diocesi il suo nome non compare nell’elenco dei tanti preti che erano iscritti alla Carboneria. Ma, iscritto o no, Desiderio tenne fede agli ideali di riforma liberale, mentre proprio i tanti sacerdoti carbonari ritornarono alla casa madre dell’assolutismo, fino al punto da muovere una tale guerra al Desiderio che si voleva vedere “anche violentemente morto”.