• 29 Gennaio 2025
Cultura

L’Abbazia di Santa Maria della Grotta, nota anche come Santa Maria in Gruptis, è uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi delle montagne del Camposauro, situate nella provincia di Benevento, in Campania. Questo antico monastero, fondato nel X secolo e sconsacrato nel 1705, rappresenta una testimonianza straordinaria della storia religiosa e culturale della regione, che continua ad affascinare visitatori e studiosi per il suo patrimonio spirituale, architettonico e naturalistico. Anche se oggi rimangono solo rovine di quello che un tempo era un importante feudo monastico, l’abbazia conserva una suggestione intatta e il legame profondo con il territorio circostante.

Le origini di Santa Maria della Grotta risalgono, secondo le fonti, al periodo tra il 940 e il 944, quando uno dei principi longobardi di Benevento, Atenolfo II o Atenolfo III, decise di fondare un centro di culto in questa zona isolata ma strategica. Inizialmente affidata ai monaci benedettini, l’abbazia divenne un feudo di grande importanza e passò successivamente sotto la gestione di vari ordini monastici, tra cui i celestini, gli umiliati e infine i camaldolesi. Questi cambiamenti riflettono l’evoluzione della vita monastica nell’Italia meridionale e il ruolo cruciale svolto dal monastero nella gestione e nel controllo dei feudi circostanti. Gli ordini che si susseguirono trovarono in Santa Maria della Grotta non solo un luogo di preghiera e meditazione, ma anche un centro di potere e influenza sul territorio.

Fonte dalla quale i monaci attingevano l’acqua – Photo Trekking Camposauro

La storia dell’abbazia fu però segnata anche da momenti di difficoltà e conflitti. Nel 1303, gli Angioini tentarono di annettere Santa Maria della Grotta all’abbazia di Santa Maria a Mazzocca, situata a Foiano di Val Fortore, con l’intento di centralizzare il potere ecclesiastico e il controllo territoriale. Tuttavia, la resistenza degli abitanti locali impedì l’annessione, e il conflitto terminò solo nel 1326 con il riconoscimento dell’indipendenza dell’abbazia. Questo episodio evidenzia quanto l’abbazia fosse radicata nella comunità locale e quanto fosse considerata un elemento insostituibile del paesaggio religioso e sociale del luogo.

L’interno di una Torre – Photo Trekking Camposauro

La posizione geografica dell’abbazia è uno degli aspetti che contribuisce al suo fascino e alla sua importanza. Situata a 607 metri sul livello del mare, nelle vicinanze del monte Drago e del Vallone Secco, l’abbazia si ergeva su un’altura che dominava le valli Vitulanese e Telesina, fornendo una vista panoramica sulla regione. Questa posizione non solo garantiva una difesa naturale contro eventuali attacchi, ma la rendeva anche un punto strategico di controllo sui percorsi che collegavano le diverse valli. Ancora oggi, le rovine dell’abbazia sono immerse in un contesto naturale di grande bellezza e importanza scientifica: il sito è infatti parte del Parco Regionale del Taburno-Camposauro, un’area protetta che tutela il patrimonio geologico e paesaggistico della zona. Il Vallone Secco, con le sue gole e sentieri impervi, rappresenta un geosito di rilevanza regionale, che offre non solo un interesse scientifico, ma anche un’opportunità di esplorazione per escursionisti e appassionati di natura.

Nonostante i secoli di abbandono, alcune parti della struttura originaria dell’abbazia sono ancora visibili, testimonianze silenziose della vita monastica che animava il luogo. Tra le rovine, si possono osservare la torre, il portale d’ingresso e alcune abitazioni dei monaci, risalenti al XVI secolo. Uno degli elementi più caratteristici è l’abside della chiesa, l’unica parte rimasta della struttura religiosa originaria, che ci permette di immaginare la grandiosità e la spiritualità del complesso monastico nel suo periodo di massimo splendore.

L’eredità più preziosa dell’abbazia, però, è probabilmente rappresentata dal fondo di pergamene che raccoglie documenti risalenti ai secoli XI-XIV. Queste pergamene, che includono atti di compravendita, concessioni e donazioni, offrono una testimonianza unica dell’attività economica, giuridica e spirituale dell’abbazia. Conservate presso la Società Napoletana di Storia Patria, queste pergamene sono state oggetto di studi accademici che hanno rivelato dettagli interessanti sulla vita e sulle relazioni di potere nel territorio. Una recente analisi paleografica ha, ad esempio, messo in luce un peculiare stile grafico che combina la scrittura carolina con influenze gotiche, segno della vivace interazione culturale che caratterizzava l’epoca. Questo fondo documentario non solo ci offre un quadro delle attività quotidiane dell’abbazia, ma ci permette anche di comprendere l’influenza che essa esercitava su un vasto territorio, che comprendeva non solo la zona di Vitulano, ma anche località più distanti come Benevento, Capua e Pietramontecorvino.

L’Abbazia oggi – Photo Trekking Camposauro

La spiritualità dell’abbazia si riflette anche nel suo stesso nome, legato alla Madonna, a cui venne dedicata dopo il ritrovamento di un’icona bizantina in una delle grotte vicine. Queste grotte, oltre a svolgere una funzione religiosa, erano utilizzate anche per raccogliere e conservare l’acqua, essenziale per la vita della comunità monastica. La presenza di questa icona testimonia il legame profondo tra il luogo e la fede cristiana, ma anche l’influenza culturale bizantina che permeava molte aree dell’Italia meridionale. Nel corso dei secoli, l’abbazia venne conosciuta con diversi nomi, tra cui Santa Maria di Monte Drago e Santa Maria de Crypta, che riflettono la sua importanza sia dal punto di vista spirituale che da quello geografico. Oggi, l’abbazia di Santa Maria della Grotta, anche se in rovina, rappresenta un simbolo della storia e dell’identità del territorio campano. Le sue rovine, avvolte nel silenzio delle montagne, raccontano di un passato di preghiera, potere e resistenza. Il sito è un luogo di grande interesse non solo per gli storici e gli archeologi, ma anche per i visitatori che desiderano immergersi in un’atmosfera di spiritualità e bellezza naturale. La conservazione di questo patrimonio è fondamentale per mantenere viva la memoria di un’epoca e per permettere alle future generazioni di riscoprire e apprezzare la ricchezza culturale della Campania.

Autore

Nato a Solopaca (BN) 20 dicembre 1948. Diplomatosi nel 1966 all’ Istituto d’arte di Cerreto sannita (sez. ceramica), frequenta l’Accademia di Belle Arti di Napoli fino al terzo anno che lascia anzitempo poiché, essendosi nel frattempo abilitato per l’insegnamento di disegno e storia dell’arte, è nominato docente di materie artistiche nella scuola di Belgiojoso (PV). Oltre alla pittura, alla scultura e alla ceramica, dal 1976 si è dedicato alla critica d’ arte e alla storia. Nel 1977 porta alla ribalta due ignorati artisti del ‘700: Decio Frascadore (1691-1772) e Lucantonio D’ Onofrio (1708-1778). Appassionato sempre e profondo conoscitore dei problemi dell’arte, conta al suo attivo numerose pubblicazioni che riguardano l’arte dal periodo gotico al ‘700. Iscritto all’albo dei giornalisti pubblicisti ha collaborato fra l’altro dal 1980 al 2004 al settimanale beneventano “Messaggio d’ Oggi”