• 20 Ottobre 2024
Profili

Dagli atti del Convegno sul pensiero e l’opera di Alain de Benoist , organizzato da Edizioni Sindacali il 22 marzo 2024,  pubblichiamo stralci della densa e lunga relazione svolta da Gennaro Malgieri.

Alain de Benoist è uno dei intellettuali più influenti del nostro tempo. Le sue teorie da oltre quasi mezzo secolo hanno contribuito a mutare  l’approccio alla modernità e le sue opere sono state tradotte in tutto i il mondo. Scrittore prolifico (circa  duecento volumi al suo attivo, innumerevoli curatele, molte traduzioni, un’infinità di conferenze in tutto il mondo ) ed organizzatore di cultura, oltre che fondatore e animatore di riviste,  ha innestato nella discussione intellettuale la priorità della “metapolitica” come strumento ermeneutico per comprendere la realtà.

Al di là della Destra e della Sinistra, è stato spesso incompreso, equivocato, denigrato perfino, ma oggi le sue idee, che lo si ammetta o meno esplicitamente, sono al centro del dibattito culturale.  È stato “ capofila” riconosciuto della «Nouvelle Droite» attraverso la quale ha terremotato l’establishment intellettuale e politico europeo.  

Forse nessun intellettuale negli ultimi trent’anni ha tenuto così vivo il dibattito culturale come de Benoist. Ed il fatto tanto più meraviglia se si tiene conto che le idee portate avanti dallo scrittore francese sono radicalmente anticonformiste e controcorrente. La spregiudicatezza dei temi che affronta, unitamente ad un linguaggio che non lascia spazio agli equivoci, desta interesse e curiosità. Gli avversari più che scandalizzati sono disorientati, mai avrebbero immaginato che un intellettuale anticonformista, un “irregolare” potesse fare tanto rumore mettendo a soqquadro certezze ritenute incrollabili e innescando il dubbio nelle file dell’intellighentzia che detiene il potere culturale.

Alain de Benoist, giovanissimo ha intrapreso la carriera giornalistica collaborando a «Valeurs actuelles» a «Spectacle du monde» e, fin dal primo numero, al «Figaro-Magazine» diretto da Louis Pauwels , che insieme a de Benoist ha costituito i sul finire dei Settanta  il punto di riferimento dell’odierna polemica sulla «Nouvelle Droite» (…).

       Alain de Benoist ha compiuto studi universitari di diritto, filosofia, storia e biologia. Nel 1969 ha fondato la rivista «Nouvelle Ecole» che analizza criticamente le idee contemporanee, in uno spirito di intransigente rifiuto di qualsiasi dogmatismo ideologico. In questo stesso spirito ha pubblicato il ponderoso volume Vu de Droite – Anthologique critique des idèes contemporaines (Copernic Paris, 1977) per il quale gli è stato conferito il Prix de l’essai dell’Accademie Française. Ha fondato “Nouvelle Ecole”,  “Elements” e “Krisis”.

Ma c’è un altro libro, uno degli ultimi pubblicati, che è una sorta di “sommario” delle sue idee e che riassume la sua visione

del mondo. S’intitola  Memoria viva: voltando la sua ultima  pagina si ha come l’impressione che Alain de Benoist abbia vissuto molte vite senza smarrirsi mai, né intellettualmente né spiritualmente. Anzi, che si sia incamminato senza timori, come un antico asceta, tra impenetrabili foreste d’idee nelle quali ha cercato, trovandole, preziose radici che ha sradicato per trapiantarle in deserti nei quali, con il suo ingegno, ha fatto affluire acque per coltivarle e farle crescere, dando vita ad un giardino sapienziale.

Tutta la sua vita, infatti, l’ha improntata a una ricerca di cui questa “memoria” è il lascito davvero vivo e avvincente, che testimonia come un uomo di pensiero, dedito alla costruzione di una visione d’insieme con ciò che ha tratto da giacimenti spesso dimenticati, si sia imposto quale antesignano della diversità contro il “pensiero unico”, espressione che lui stesso coniò da giovane, poi resa famosa da altri che nulla avevano a che fare con lui. Un primato, originale ed universale al tempo stesso, che qualifica de Benoist come un intellettuale che ha saputo antivedere nelle contraddizioni della modernità non insanabili conflitti, ma congiunzioni funzionali a nuove sintesi.

Integrando esperienze militanti di diversa natura, da quelle politiche giovanili, rivoluzionarie tout court, a quelle più squisitamente di ricerca nella gioventù matura, fino al compimento di una teorica poliedrica nella quale sono evidenti i frutti maturi di radici piantate dove nessuno avrebbe azzardato la “coltivazione”, de Benoist ha costruito – prodigiosamente, si potrebbe dire – una coscienza intellettuale per esploratori della modernità la cui essenza è la smitizzazione dell’omologazione del pensiero e la perenne, ancorché avversata, esaltazione delle differenze in linea con la tradizione europea.

La concezione  del mondo e della vita  che riassume Memoria viva, letto con la lentezza che si addice ai salmi, poiché ad essi è ascrivibile in chiaro senso laico, è perciò riconducibile alla formulazione di un percorso lungo il quale le contraddizioni non sono di ostacolo alla comprensione di una esistenza piena e feconda, ma piuttosto concime per mettere a posto idee vitali che incarnano l’universalità di un pensiero che è continua fonte di crescita, in un divenire che prelude alla nascita di un compiuto spazio, che dal mio punto di vista può essere solo  quello di un’Europa dalle connotazioni imperiali, ricca dei suoi tesori spirituali, armonica nelle differenze che la compongono e incline non tanto o non soltanto a difendersi da chicchessia, ma lanciata verso la ricreazione di una comunità organica di culture che si integrano e si risolvono nella combinazione di fattori tradizionali e moderni governati da un’intelligenza, se non comune, quantomeno prossima e non conflittuale, ambiziosa abbastanza da tenere a debita distanza destabilizzanti adepti della globalizzazione liberista ovunque e da chiunque declinata.

Ed è questo il punto d’arrivo più recente – per quanto non esplicitato estesamente – di de Benoist, che fa della sua Memoria una sorta di lessico intergenerazionale nel quale si può ritrovare quel mondo uscito dalla guerra insieme con chi è attratto dalle luminarie fatue della modernità ipertecnologica. È il vasto mondo nel quale l’autore ha vissuto le sue vite raccontate, come si sarà reso conto chi ha letto le dense pagine di questo libro, al fine di tracciare un percorso che è indubbiamente suo personale, ma sul quale è prevedibile l’incontro con chi ha vissuto nello stesso tempo ed ha masticato le medesime esperienze. L’approdo è quello indicato – la sconnessione delle forme organiche dalle virtù intime e personali: il globalismo, appunto, come punto d’arrivo della catastrofe spirituale nella quale siamo immersi, alimentata dalla deificazione del profitto e dunque dall’egoismo individualista come sostanza esistenziale.

Il “ribellismo”, jüngerianamente inteso, è l’obiettivo adombrato da de Benoist, se non in questo libro, almeno negli scritti che lo hanno accompagnato e seguito. Per ottenere il risultato sotteso a quello che potremmo definire un “cammino politico”, ancorché non nel senso proprio e tradizionale del termine, per l’autore non vanno più considerate le paratie stagne del secolo passato, bensì il loro abbattimento, poiché se la opposizione al neo-individualismo di natura liberista passa attraverso la riconversione parallela delle destre e delle sinistre, è fin troppo logico sostenere, a costo di essere incompresi, che sia le une sia le altre sono attestate sulla stessa linea; per superarla bisogna demolirla con l’apporto privo di pregiudizi da parte di chi, tanto da destra quanto da sinistra, ha lo stesso intento – auspicando, insomma, una coalizione di tutti gli “eretici”.

Come ricorda de Benoist, l’espediente teorico che prefigura – e a supporto del quale cita volentieri, come fossero alleati nella medesima lotta, intellettuali di sinistra, da Paul Piccone a Christopher Lasch e Charles Taylor – non è soltanto per assecondare il suo desiderio di superare l’opposizione destra-sinistra, ma molto più radicalmente per stabilire la propria indifferenza alle etichette e sottolineare di contro l’importanza di un pensiero critico che non ha nulla a che vedere con le antiquate definizioni politiche.

«Attualmente», spiega, «viviamo nell’orizzonte della Forma-Capitale, cioè sotto l’impero della merce: mercificazione di tutte le attività sociali, trasformazione di ogni cosa in merce, riduzione dei rapporti umani a semplici relazioni d’interesse o utilità, regno incontrastato del denaro. Dunque, m’interesso a tutto ciò che rimette in discussione il “sistema degli oggetti” e la logica del profitto. Ciò è tanto più necessario dal momento che lo stesso capitalismo è cambiato. Dalla fine del compromesso fordista si è totalmente internazionalizzato e deterritorializzato, con l’effetto di accrescere ovunque le disuguaglianze economiche, attraverso il gioco della flessibilità, della precarietà e delle delocalizzazioni. Non siamo più nell’era dei capitalismi “nazionali”». (…).

La “metapolitica”, uno dei principi-cardine del suo pensiero, fin dal 1979, quando ebbi modo di intervistarlo per la prima volta, mi disse, disegnando i nuovi orizzonti di una cultura “altra” non soggetta alle diavolerie della politica mi disse: “Nelle società moderne  la nozione di «potere» non è più unitaria. Al di fuori del potere politico tradizionale esiste, come ha dimostrato Gramsci, un potere culturale la cui influenza è notevole sui modi di pensare delle società contemporanee. Questi due tipi di potere non si confondono necessariamente. In Francia, per esempio, la sinistra da trent’anni non ha mai avuto il potere politico e, non di meno, detiene quasi il monopolio del potere culturale e l’influenza che ha potuto esercitare con questo mezzo ormai non è più da dimostrare. La strategia «metapolitica» consiste precisamente nel mettere fine a questo monopolio ricreando un pensiero dottrinale di destra su basi nuove, che tengono conto sistematicamente del movimento delle idee delle scienze contemporanee e che presentano in tutti i campi una visione generale del mondo unificata e conforme alla tradizione culturale europea”.

E ancora: “Gramsci è stato uno dei primi a comprendere che nelle società sviluppate moderne nessuna rivoluzione politica è possibile senza che sia stata operata una rivoluzione dei valori e delle idee che presiedono allo spontaneo accordo fra la maggioranza dei membri della società. Questa è la ragione per la quale Gramsci conferisce agli intellettuali la missione di vincere la battaglia culturale. La Destra moderna deve necessariamente tener conto di questo indirizzo metodologico che non è evidentemente riservato solo agli intellettuali marxisti”.

Per quanto da anni non parli più di destra che considera superata come categoria della politica, al pari della sinistra, si può dire che de Benoist abbia superato gli antichi schemi lanciando quello di un nuovo ordine intellettuale che è contenuto, come sintesi estrema in Memoria viva nel quale  raccoglie tutto il lavorio degli ultimi quarant’anni , rappresentando, in forma dialogica, come egli abbia vissuto molte vite in sequenza, magari trovando nelle inevitabili contraddizioni tra l’una e l’altra stimoli di superamento non per costruire un monolite ideologico, ma per dare sviluppo alla creatività, nella logica di un pensiero plurale e, se me lo si consente, sterminato. (…)

Come dimostrano le sue memorie, Alain de Benoist rappresenta un intellettuale assolutamente atipico. Per gli innumerevoli interessi che coltiva, per le passioni che suscita, per l’enciclopedica cultura che lo nutre, per l’intensità della sua vita di uomo di pensiero e di interventista come pochi nelle faccende che tengono il mondo in allarme. Potrebbe riassumere la sua vita in qualche modo, ma non ci pensa neppure. Perché sa che essa è fatta di molte cose, dai libri ai sentimenti. Ma se proprio è costretto a definirla, trova parole che starebbero bene in una lirica di Hölderlin: «Appena un battito d’ali sulla superficie dell’acqua».

Autore

Giornalista, saggista e poeta. Ha diretto i quotidiani “Secolo d’Italia” e “L’Indipendente”. Ha pubblicato circa trenta volumi e migliaia di articoli. Ha collaborato con oltre settanta testate giornalistiche. Ha fondato e diretto la rivista di cultura politica “Percorsi”. Ha ottenuto diversi premi per la sua attività culturale. Per tre legislature è stato deputato al Parlamento, presidente del Comitato per i diritti umani e per oltre dieci anni ha fatto parte di organizzazioni parlamentari internazionali, tra le quali il Consiglio d’Europa e l’Assemblea parlamentare per l’Unione del Mediterraneo della quale ha presieduto la Commissione cultura. È stato membro del Consiglio d’amministrazione della Rai. Attualmente scrive per giornali, riviste e siti on line.