Intervista di Carmela Picone a Clemente Colella
Clemente Colella, una vita dedicata all’amore per il nostro territorio! Ci consenta di conoscerla meglio, ci racconti di lei.
Sono un figlio di questo territorio, allontanatosi da esso per realizzarsi in una esperienza di lavoro iniziata a 17 anni, ma con l’obbiettivo fisso di ritornare. Erano gli anni in cui quasi intere generazioni partivano in cerca di lavoro per altri lidi, alcuni per libera scelta, altri indotti dalla famiglia a cercare fortune in diversi luoghi, perché a loro dire, le prospettive su un territorio avaro di opportunità come il nostro erano uguali a zero.
Da dove è partito l’interesse di avviare lo studio, attraverso una vera ricerca scientifica multidisciplinare, la storia vitivinicola di Solopaca e non solo, di tutto il territorio Campano?
Dalla curiosità e voglia di conoscere. Conoscere e capire perché il nome di Solopaca evoca sempre il vino, badate bene “il vino” e non un vino. Cercando poi nella letteratura, vi si scopre un ricorrere a una produzione di “uve rare che danno vino squisitissimo”. Che poi la ricerca fatta su Solopaca si sia intrecciata con la ricerca su altri territori Campani è stato un fatto conseguenziale.
Il team di ricercatori del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e del CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) che da tempo sono concentrati sulla ricostruzione ampelografica di aree meridionali del nostro Paese sono arrivati a riconoscere 11 varietà autoctone o di antica coltivazione per il territorio di Solopaca, per l’area dal Taburno alla penisola sorrentina, cosa ha comportato questo studio?
Tale studio ha comportato prima di ogni cosa, la condivisione di un metodo di lavoro che ha posto le sue fondamenta nelle risposte da dare a specifiche domande, arrivate direttamente dal territorio e non da decisioni prese a tavolino e calate sul territorio. Si è data molta considerazione alla ricerca della memoria confrontandosi con le persone anziane per poi sottoporre le nozioni di tale memoria a verifica scientifica. Da questa verifica sono scaturiti risultati sorprendenti. Non solo varietà autoctone ma soprattutto varietà generatrici, che hanno segnato nei millenni il cammino della vite sul territorio nazionale e non solo.
Il 4 luglio 2024 a Roma, presso la Sala Cavour del MASAF (Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste) è stato presentato il volume intitolato “Solopaca. Viticoltura di terroir e “uve rare” dal Taburno Camposauro alla costa tirrenica” la cui pubblicazione è stata curata dall’archeologo Stefano Del Lungo. Anche lei è intervenuto con “La sfida delle uve rare e del vino tradizionale di Solopaca”, ci spieghi in cosa consiste questa sorta di sfida…
Diciamo che è stata sfida mia personale poiché come rappresentante della “Associazione Vignaioli di Solopaca” avendo preso parte al gruppo di ricerca ed essendone stato il promotore, ho voluto fortemente questa ricerca per dimostrare dell’esistenza storica di prodotti rari e preziosi appartenenti alla mia terra per arrivare all’evento di divulgazione. Difatti avendo raggiunto tutti gli obbiettivi che si potessero raggiungere, ufficializzati con Decreti Ministeriali, il responsabile scientifico del progetto, dott. Stefano Del Lungo, ha inteso iniziare la divulgazione di questi risultati dalla casa madre naturale per la tipologia della ricerca, il Ministero dell’Agricoltura. Grande è stata la soddisfazione per gli apprezzamenti del lavoro svolto dal gruppo di ricercatori che hanno reso in pieno la specificità e l’importanza del nostro territorio nel campo della viticoltura e della conservazione della biodiversità viticola.
Si è tanto trattato di tecnica a raggiera, ma in parole semplici, in cosa consiste e quali sono le caratteristiche che la rendono così importante per supportare i viticoltori?
Quando nella ricerca si parla di raggiera è da intendersi il “Sistema Raggiera” ovvero un sistema di utilizzo della terra teso a soddisfare innanzitutto il fabbisogno familiare ma anche quello di un mercato di prossimità. Oggi lo definiremmo un sistema di economia circolare, esso comprende tutti gli elementi del paesaggio rurale: varietà, sistema di allevamento, strade, taglioni, valloni, pozzi in pietra, strutture abitative rurali, siepi. La ricerca ha evidenziato che questo sistema, iscritto nel Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali e Pratiche Agricole Tradizionali, riconosciuto Bene Culturale protetto, a livello nazionale, con Decreto del Ministro dell’Agricoltura, si conserva ancora integro in alcuni casi a Solopaca, è ottimo per contrastare il cambiamento climatico sia per l’aspetto CO2, sia per i cambiamenti climatici che per gli aspetti sociali.
Abbiamo parlato di uve rare, di varietà riconosciute autoctone, di coltivazione a raggiera ma l’intento fondamentale di questi studi a cosa vuole far sperare per il futuro delle nuove generazioni
La ricerca ci consegna la conoscenza, conoscenza scientifica, storica e culturale del nostro territorio e del nostro essere stati attraverso il suo utilizzo. Sulla base di questa conoscenza, che nelle nostre mani diventa strumento, ognuno di noi ne decide l’utilizzo. Nessuno vuole imporre ad altri, l’unica cosa è che nessuno potrà più dire “ma io non sapevo” oppure “questo è un paese che non ha niente”. Una cosa è certa, abbiamo una cultura e una storia vera da proporre, sarà bella cosa vedere quanto siamo capaci, certo è che questa ha una storia certificata e sarà difficile profanarla come fatto fino ad ora. Alle nuove generazioni abbiamo modo di donare un presente che lascia costruire un futuro su solide basi del passato storico che ci appartiene.
Sabato 7 dicembre alle ore 10:30 presso la Cantina di Solopaca si terrà un Convegno che tratterà appunto delle “Uve rare”, della Varietà e territorio a Solopaca, della Raggiera del Taburno e molte altre tematiche, perché è importante partecipare a questo appuntamento?
Bisogna partecipare per un valido motivo: perché si parla di noi, ovvero di quei tanti che non ci sono più ma che ci hanno saputo conservare un tesoro inestimabile. Riappropriarcene significa riprenderci la nostra identità. Penso che al di là di tutto sia un atto dovuto e ne valga la pena.