Anche Israele come altri paesi dell’area vicino orientale ha i propri migranti richiedenti asilo politico, anche se ciò può sembrare strano se non impossibile. Sono circa 30.000 i richiedenti asilo in Israele per la maggior parte provenienti da Sudan ed Eritrea già terre di conflitto e sono in possesso solo di un permesso di soggiorno che va rinnovato periodicamente dopo approvazione del Ministero dell’Interno. Di fatto è una situazione non affatto diversa dalla nostra e con orientativamente gli stessi canoni di gestione della richiesta.
Ma esiste una nota alquanto stonata, denunciata dal quotidiano israeliano Haaretz secondo il quale le autorità starebbero arruolando esuli africani promettendo in cambio l’asilo politico. È questa la promessa se si è disposti ad arruolarsi nell’Idf e partecipare alle operazioni di terra nella Striscia di Gaza e contempla il rilascio dei documenti necessari a restare in Israele o comunque la garanzia dell’assistenza legale dei consulenti della Difesa per avere i documenti. Il quotidiano denuncia poi che le considerazioni etiche del reclutamento non sono state affrontate e le critiche interne sono state silenziate ed oltretutto ad oggi a nessun richiedente asilo che ha contribuito allo sforzo bellico è stato concesso alcuno status ufficiale.
Si reclutano i richiedenti quanto i loro figli e questa poi è una pratica che in Israele è già diffusa tra i minori delle famiglie di lavoratori stranieri, che se accettano di arruolarsi possono far sì che venga concessa la residenza permanente non solo a sé stessi ma anche ai propri familiari. Osservando ciò secondo il diritto umanitario ed il diritto di guerra non si può non comprendere che in tale genere di reclutamento vi è una distorsione ed in parte una violazione di tali diritti. È vero che il reclutamento di richiedenti asilo e minori da parte governativa israeliana non è forzato, ma lo si può interpretare come prevenuto, poiché indirettamente condiziona la decisione dell’arruolamento in base all’ottenimento certo di uno status di rifugiato politico, che di fatto è normato dal diritto umanitario internazionale e che tranne alcuni particolari casi è uno status acquisente al 98%.
Ancor peggio per la richiesta di arruolamento diretto a minori anche se in questo caso non c’è un arruolamento forzato, nello specifico è una violazione del diritto di guerra oltre che del diritto umanitario internazionale, poiché non è previsto l’arruolamento in alcun caso di minori nel momento che un paese è di fatto in uno stato di guerra così come lo è Israele oggi. Anche in questo vi è uno stato di condizionamento in considerazione dell’ottenimento non solo della cittadinanza per l’arruolato ma anche per i propri familiari. Senza ombra di dubbio tutto ciò è oltremodo discutibile e nasce spontaneo il pensare che si mette in atto, in modo diverso, lo stesso sistema del proprio nemico che fino a ieri veniva fortemente criticato per simili sistemi di reclutamento. In modo diverso, con metodo diverso attraverso un condizionamento del singolo rispetto ad uno status giuridico, si fa in fondo ciò che l’altro fa in considerazione che la minore età in un arruolamento è comunque da considerarsi quale avere un bambino soldato indipendentemente se si ha 10 anni di età o 17anni.
Dal punto di vista politico militare guardando da fuori, si può pensare che forse le contestazioni sociali interne che a noi non giungono siano così forti da far adottare alle forze armate ed al governo una forma diversa di arruolamento rivolta ad “altri” che in fondo non sono Israeliani, non sono Ebrei, sono dunque sacrificabili. Di certo c’è che l’opinione pubblica israeliana pare essere molto molto critica in merito ed almeno a differenza dell’Europa i quotidiani nazionali ne parlano e ne aprono una discussione.