Fino all’8 settembre, la Repubblica di San Marino ospiterà sessanta delle più iconiche opere di Andy Warhol, provenienti da collezioni private e pubbliche. La rassegna, dal titolo Andy Warhol. Serial Identity e in mostra presso Palazzo SUMS e Galleria Nazionale, racconta una delle figure più complesse del panorama artistico statunitense. Da alcuni considerato il più grande colorista dopo Matisse, da altri un liberatore dell’arte stessa per il suo modo di rapportarsi alle immagini, ne va riconosciuta ad ogni modo l’assoluta innovazione. Marcel Duchamp, a proposito di Warhol, diceva di non essere interessato all’immagine dell’uomo che realizza cinquanta lattine di zuppa, quanto piuttosto alla stessa idea di dipingere quelle cinquanta lattine di zuppa.
Ma chi è l’uomo dietro il mito?
Andrew Warhola nasce il 6 agosto 1928 a Pittsburgh (Pennsylvania), quarto figlio di Ondrej Warhola e Juliana Zavaczki, entrambi immigrati di etnia Lemchi – gruppo stanziato nelle regioni carpatiche di Slovacchia, Polonia, e Ucraina. Gli anni giovanili dell’artista non sono particolarmente felici: la sua è una famiglia della classe operaia, costretta – come migliaia d’altre famiglie americane del tempo – a fare i conti con la Grande Depressione. Alla precaria situazione economica s’aggiunge, nel 1942, la morte del padre. Da questo momento, sua madre diviene per l’artista figura determinante: profonda influenza nelle scelte di vita, vivace ispirazione nei processi creativi. Nel 1947, il giovane vince una borsa di studio in arte pubblicitaria alla Carnegie Tech di Pittsburgh. Primo membro della sua famiglia a frequentare il college, lo termina brillantemente tre anni dopo. Alla laurea segue il trasferimento a New York City. Qui, il giovane Warhola cambia il suo nome in Andy Warhol e trova un impiego come grafico e cartellonista – accantonando, dunque, l’intimo sogno di diventare un pittore. È di questo periodo la sua prima opera stampata, dal valore quasi profetico: un’illustrazione, sulla celebre rivista Glamour, a corollario d’un articolo sul successo.
L’incontro col mercante d’arte Ivan Karp, nel 1961, riconduce Warhol alle precedenti ambizioni artistiche, rappresentando l’avvio della corrente che, sotto il nome di Pop Art, scardinerà presto i rigidi dogmi formali dell’arte contemporanea. Lo stesso Karp ha ricordato, in svariate interviste, come lo stile predominante fosse stato, sino a quel momento, l’espressionismo astratto di Pollock, de Kooning, Kline e Rothko. L’idea di creare immagini crude, rigide, nette, vuote d’una doppia o triplice lettura, era quanto di più lontano dalla concezione di arte come resa di una espressività piena e viva. Warhol fece dell’oggetto del suo mestiere di grafico il soggetto della sua arte, e la scelta di rappresentare articoli d’uso quotidiano fu un totale oltraggio. Nel suo studio sulla quarantasettesima strada, l’artista usava il processo di stampa serigrafica per produrre in serie i suoi dipinti. È il periodo delle scatole di sapone Brillo, delle confezioni di cereali Kellog’s e delle zuppe in scatola Campbell’s – una vasta gamma di unholy things a dissacrare l’argomento d’arte.
Accanto agli articoli d’uso quotidiano e ai celeberrimi ritratti di personalità di spicco del XX secolo – da Marilyn Monroe a Mao Zedong, da Che Guevara a Brigitte Bardot – Warhol realizza l’immagine in serie d’una sedia elettrica. Quest’opera, parte del ciclo Morte e Disastro, comunicava una consapevolezza nuova circa i delicati equilibri di potere. Negli Stati Uniti, quelli sono gli anni delle sommosse razziali, delle rivolte giovanili, delle lotte di emancipazione afroamericana. Nel 1968, questa violenza entra prepotentemente nella vita dell’artista: Valerie Solanas, aspirante attrice e frequentatrice dell’atelier di Warhol, tenta di ucciderlo. L’attentato si riflette nel suo spirito e, conseguentemente, nella sua produzione artistica. Ricercando una maggiore tranquillità, Warhol lavora a ritratti su commissione. Se gli anni Settanta rappresentano, dunque, un periodo di stasi, gli anni Ottanta lo vedono tornare a sperimentare la sua arte. Di questi anni si ricordano i sodalizi con Jean Michel Basquiat e Keith Haring.
Il 22 febbraio 1987, Andy Warhol si spegne all’età di 58 anni, per complicazioni a seguito d’un intervento chirurgico. Quale sia la sua eredità è chiaro: Andy Warhol seppe ergersi a divinità in una società estremamente materialista e consumista come quella americana del secondo Novecento. In una cultura orientata all’oggetto, Warhol ebbe l’intelligenza di produrre i suoi artefatti in serie, oggettivando, massificando e dissacrando rispettivamente fama, semplicità e sogno americano.