• 4 Luglio 2024
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Per gentile concessione delleditore, pubblichiamo un estratto dal libro di Ada Fichera, Angelo Oliviero Olivetti, Fergen, Roma,2018

Ada Fichera 

‹‹Gli uomini rappresentativi nella storia sono coloro che posseggono il fascino solenne e misterioso che desta e trascina e solleva i dormienti in un attimo di vita intensa a creare una città, una religione, un’élite››.

Scrive così, il 1° luglio del 1909, Angelo Oliviero Olivetti su Pagine Libere, evidenziando il carattere elevato, ed elitario, del suo sindacalismo, che è “l’espressione più alta dell’antitesi capitalistica”.

Il sindacalismo nasce nella fabbrica e matura nella grande industria, e per tale ragione, secondo il Nostro, non può “irreggimentare, specie in un Paese come l’Italia, che una piccola minoranza di lavoratori e più elevati nella gerarchia capitalistica”.

La sua dottrina politica è innanzitutto connotata da una lotta sociale, caratterizzata da “un urto di due minoranze sul corpo inerte della gran massa anonima, ridotta ad un pensiero e ad un’azione di secondo grado”.

Olivetti sostiene dunque, nello stesso articolo sopra citato, che “ogni tanto infatti ammiriamo audacie che paiono miracolose, catastrofi che ci danno l’impressione dell’imprevisto, e non sono che provocate dall’adesione della grande bestia ad un’idea trionfante e vibrante”.

La sua cultura, la sua curiosità e la sua fervida propensione all’azione non passano certo “inosservate” ad un uomo come Benito Mussolini.

Speculazione filosofica, impegno politico, lotta sociale, pensiero europeo, sono tutti elementi che vengono apprezzati da Mussolini, tanto da creare un rapporto di stima e amicizia tra i due, che si protrarrà per tutto il corso della vita del Nostro.

Se il socialismo infatti costituisce per il futuro duce “uno stato d’animo”, come afferma il noto storico Renzo De Felice, la concezione rivoluzionaria e il sindacalismo di Olivetti non possono non definirsi come la “pratica ideale del socialismo” stesso, la leva per scalzare il capitalismo facendo leva sull’anelito volontaristico di “auto-emancipazione delle masse proletarie”.

Mussolini fornisce persino la sua collaborazione giornalistica a Pagine Libere, sul quale si occupa di argomenti letterari, di recensioni e quasi mai di articoli che possano coinvolgere l’area politica.

Sebbene, sempre secondo De Felice, non è da escludere che egli trovi, nella rivista olivettiana, spunti e motivi di riflessione per le sue elaborazioni teoriche e politiche successive.

L’idea della violenza e della forza, l’accettazione della concezione della storia come dimensione tragica dove le minoranze si scontrano in modo attivo ma drammatico, la dottrina sulle funzioni dello Stato, promosse e diffuse tramite la rivista da Olivetti, non possono essere lontane e non apprezzate da Mussolini.

Olivetti difende sulla sua rivista l’idea che gli italiani devono all’internazionalità della “vita moderna” il ritrovare se stessi.

Per tale ragione, egli pone come scopo della sua dottrina politica e del suo sindacalismo inteso come concezione di vita “il ravvivare l’italianità del pensiero nazionale in quanto cosmopolita ed universale nell’origine e nei modi e l’esercitare la critica dei fatti contemporanei, al cospetto del proletariato che ascende alle vette della storia, convocando nella nostra società di idee gli intelletti al puro pensiero ed alla pura bellezza, che perciò solo hanno con noi un’intima ragione di fraternità spirituale”.

La vera “rivoluzione” di Olivetti non risiede tanto nell’affermare che l’emancipazione dei lavoratori deve essere compiuta dai lavoratori stessi, secondo “formula liberativa”, ma nel sostenere convintamente, e nel provare con tutte le forze a mettere in pratica, l’ideale secondo cui la vera lotta di classe, nella modernità, va combattuta dentro il campo socialistico e non fuori, ma contro una borghesia che, oltre a rappresentare un ridotto riformismo, tenta di penetrare “nella fortezza nemica per portarvi lo scompiglio, la discordia e il tradimento”.

Olivetti è fondatore, fautore e promotore di un rivoluzionarismo puro, che metodologicamente è la negazione di quel riformismo e della relativa filosofia della mediazione.

Il sindacalismo è rivoluzionario in lui perché negazione organica, cosciente delle cause e dei fini, del riformismo borghese.

Solo un movimento di reazione può, agli occhi del Nostro e di quanti lo seguono, superare quello stadio e mettere al centro le masse con i loro diritti.

Il sindacalismo, il richiamo del proletariato all’azione diretta viene inizialmente accolto quasi come un’eresia per il socialismo, mentre, come spiega ampiamente Olivetti già in un suo articolo su Pagine Libere del giugno 1908, intitolato Azione diretta e mediazione, è la stessa ortodossia, “la stessa dottrina originaria e storica del socialismo”.

Lo sciopero e la politica rivoluzionaria “producono”, per il sindacalista ravennate, “l’uomo nuovo”. Anche questo concetto, negli anni a seguire, non può non essere apprezzato, se non altro per affinità di pensiero e di intenti, da Mussolini.

Questo “uomo nuovo” è, nella dottrina olivettiana, il proletario volente, il rivoluzionario politico e sociale che ha “ormai rigettato lungi da sé la mediazione, che fa lo sberleffo ai sensali e si avvia a riprendere le audacie ed il giocondo tumulto, il cozzar vivo e vario dell’azione diretta”.

Il sindacalismo rivoluzionario riabbraccia le gloriose virtù delle età imperialistiche, nelle quali, a detta di Olivetti, “l’individuo umano esplica il massimo di energia ond’è capace, perché sospinto da una dionisiaca voluttà di conquista”.

Il carattere storico, filosofico ed etico del suo pensiero sottolinea anche come l’azione diretta ha tutte le qualità per “uccidere” la mediazione figlia delle teorie alessandrine, cattoliche e quindi borghesi.

L’impronta dello spirito di rivoluzione, il movimento d’animo teso alla lotta di Olivetti, che vede ciò come una fase evolutiva dell’individuo, è non lontana anche dall’impeto eroico dei grandi pensatori ionici ed eleatici dell’antica filosofia, dove per quanto l’orientamento fosse rivolto verso i problemi alti della natura, vi è comunque un uomo che “pone se stesso arditamente contro l’universo e tenta di sondarlo, sospinto da intuizioni e da moti di rivolta e di affermazione”.

Il sindacalismo di Olivetti è inteso appunto come un rivoluzionarismo sperimentale, nell’ambito del quale l’oggetto di tale empirica esperienza è la classe operaia, che deve divenirne anche soggetto.

Le istituzioni per lui sono “un mito”, e pertanto compiono solo atti negativi o prendono posizioni discordi.

Il sindacalismo rivoluzionario non combatte una politica di una parte o di un’altra, bensì nega tendenzialmente tutta la politica, intesa come sistema rappresentativo, che è la forma specifica del dominio capitalistico. Esso ne smonta il meccanismo per dimostrarlo fallace ed illusorio.

Stesso tipo di posizione assume Olivetti di fronte al dibattito sul suffragio universale del luglio del 1911.

‹‹Il suffragio universale – scrive il Nostro su Pagine Libere in un articolo dal titolo Il suffragio largito -è un’arma politica e soffre del discredito che ogni dì più investe e travolge nei paesi moderni la politica considerata come espressione teorica di volontà di un ente astratto ed irreale che i teorici del dottrinarismo borghese chiamano “cittadino”, il quale in sostanza è poi uno sfruttatore od uno sfruttato. Innanzi all’analisi economica questa astrazione del cittadino si scinde e si spezza ed ognuno riprende il posto che la sorte gli ha assegnato nel giuoco delle categorie economiche in competizione. (…) Ma il suffragio universale contribuisce alla costituzione ed al rafforzamento di quella classe politica che è una vera formazione parassitaria, prodotta dalla lotta delle classi, ma in fondo fuori da ogni classe, che esercita il “banditismo” e che noi chiamiamo platealmente esercizio del potere e funzione politica. D’altra parte – continua Olivetti – noi non possiamo accettare la teoria conservativa che tende ad escludere il massimo numero da un diritto, sia pure insufficiente ed irrisorio, pretestando l’immaturità e la deficienza intellettuale di coloro che se ne vorrebbero esclusi››.

In breve, possiamo dire quindi che, se il sindacalismo rimane tuttavia scettico di fronte al suffragio universale, non per questo è partigiano degli “anciens régimes”.

Pochi giorni dopo, infatti, Olivetti scriverà chiaramente, sul suo periodico, che i sindacalisti sono favorevoli al suffragio universale quando si tratta di strapparlo in modo rivoluzionario alle classi reazionarie, mentre sono contrari ad esso quando, una volta conquistato, come accade di frequente alle conquiste che non hanno base o ripercussione economica, si tramuta in un mezzo inibitivo della costante e progressiva necessità di rivoluzione.

Tra i molti temi “scottanti” che il ravennate tratta sulla sua rivista, certamente un punto di arrivo nell’ambito del lungo processo in atto di separazione fra partito socialista e sindacalismo rivoluzionario, è il dibattito relativo alla guerra di Libia.

In merito, si apre un vero divario interno fra sindacalisti favorevoli, come Labriola e Orano e lo stesso Olivetti, e contrari come Alceste De Ambris e Filippo Corridoni, una non convergenza di idee che sfiora persino le vicende stesse di Pagine Libere, che viene interessato in quel periodo da trattative tempestose, che poi si risolveranno in una ristrutturazione e in un rilancio della testata.

Alla base dell’idea olivettiana a favore della guerra in Libia, vi è la concezione del nazionalismo del Nostro.

Egli sostiene che il nazionalismo e il sindacalismo siano le sole concezioni politiche del suo tempo che agitano le profondità mitiche, poiché il primo invoca la supremazia della stirpe e il secondo lo sciopero generale e la rivoluzione sociale.

Essendo dunque, nazionalisti e sindacalisti, gli unici a prender sul serio la vita, entrambi non possono, pur nelle loro diversità, che inneggiare alla guerra, come momento con valore educativo per un popolo.

La violenza, anche in tal caso, per Olivetti è eroica, poiché anche la guerra rientra nella volontà di una radicale e rivoluzionaria trasformazione del mondo eticamente diretta.

Il volontarismo filosofico e il suo anti-democraticismo politico ci permettono di individuare delle assonanze con il movimento futurista, lasciando così prefigurare gli sviluppi storici e sociali futuri che solo qualche anno più tardi si svilupperanno in Italia (si pensi all’interventismo relativo alla prima guerra mondiale, e di cui qui parleremo in seguito).

Il sindacalismo di Olivetti è una dottrina legata alla filosofia delle classi operaie, radicata nella loro esperienza e ispirata dal pensiero fondante della “volontà”.

Non vi sono sentimentalismi nell’ideologia di Olivetti, ma la negazione di tutte le costruzioni politiche e giuridiche del mondo capitalistico, la tendenza ad instaurare una civiltà specifica e nuova dei produttori.

Questa è la base della sua etica e della sua estetica, che diviene quasi un’epopea dell’uomo nuovo.

“Il crogiuolo ardente della lotta” è il “conatus” continuo e inflessibile, che si connota come un realismo pratico e insieme come un idealismo costruttivo, come un calcolo ed un entusiasmo incentivato dal pathos di un profondo eroismo quotidiano e da una consapevolezza politico-economica.

In questo contesto rientra anche la sua posizione riguardo alla guerra in Libia, dato che l’attenzione da parte sua al nazionalismo e al suo spirito si manifesta come l’esito di una convinzione in lui radicata e vissuta, non solo come disciplina speculativa e teoretica.

L’avvicinamento dei sindacalisti di Pagine Libere al movimento nazionalista italiano, attraverso la collaborazione alla rivista di intellettuali, letterati, artisti, scienziati, uomini politici e giornalisti, non è del resto un fatto nascosto.

Olivetti spiega più volte come la convergenza fra nazionalisti e sindacalisti rivoluzionari sia divenuta, all’epoca, realtà.

Egli sottolinea tra di loro, ad esempio nel 1912, le concordanze piuttosto che le differenze del passato.

Tanto per iniziare, egli evidenzia l’analogia relativa all’affermazione della volontà di vita e di potenza della stirpe.

Poi prosegue evidenziando che il “vero nazionalismo italiano” è sovversivo e rivoluzionario per riuscire fattivo ed espansivo e ne riporta il suo pensiero secondo il quale, nel nostro Paese, esso non può essere “se non sindacalistico, comunalistico e federativo”.

Per il nazionalismo, così come per il sindacalismo rivoluzionario, secondo la teoria politica del Nostro, la guerra, e in tal caso la guerra in Libia, è un conflitto voluto dall’intuito profondo della nazione e sentito “nell’intimo istinto vitale della razza”.

Ecco perché le vie future di un’Italia che prende parte alla guerra non possono che essere quelle di una nazione più forte e volitiva.

Ai rapporti fra patria, nazione e proletariato, Olivetti dedica molti dei suoi scritti e della sua attività politica e giornalistica, ed è di questo che ci occupiamo nelle pagine che qui seguono.

Autore

Giornalista, è direttrice della Collana “Pensiero Sindacale” delle Edizioni Sindacali – UGL e docente di Comunicazione politica e istituzionale e di Cultura Sindacale presso l’Accademia Telematica Europea. Si occupa di filosofia, di storia del pensiero del Novecento, di sindacalismo. Secondo posto al Concorso “RAI-Giornalisti del Mediterraneo” 2009 e Premio Speciale “Milano Donna” nel 2019, è autrice di una ventina di libri, fra cui Luigi Pirandello. Una biografia politica (2017), Angelo Oliviero Olivetti (2018), Mario Carli (2018), Sergio Panunzio (2019), La storia è … domani. Corsi e ricorsi di pensiero sindacale (2021), Finché scandalo non ci separi. Autori vittime di oblio o indiretta censura (2021).