Infaticabile ed appassionato ricercatore negli anditi più riposti della storia solopachese, Cosimo Formichella riporta alla luce l’introvabile poemetto di Baldassarre Fasani ‘A Tempèra p’avé ‘na razia che ne conferma le doti di sensibile e delicato poeta dialettale al quale il curatore di questo testo già nel 1986 aveva dedicato una accurata e definitiva monografia traendolo finalmente dall’oblio nel quale ingiustamente era caduto.
Adesso il breve, ma assai significativo componimento che si pubblica, di intonazione prevalentemente devozionale, va ad aggiungersi agli altri scritti recuperati nei decenni passati e contribuisce ad offrire di Baldassarre Fasani un ritratto completo e nitido al punto di poterlo considerare, al di là di ogni gratuita simpatia o benevolenza, come uno dei più grandi poeti dialettali meridionali del secondo Ottocento e del primo Novecento.
Dopo la scoperta di quest’altro tassello lirico è auspicabile la pubblicazione dell’opera integrale del Fasani: si farebbe non solo giustizia di una dimenticanza a lungo nutrita dall’indifferenza, ma si renderebbe nel contempo omaggio ad un letterato affatto inferiore ai suoi contemporanei che praticarono poesia e prosa legandole alle tradizioni della loro terra ed adottando la lingua parlata dalla gente comune.
Se è vero, infatti, come è ormai acclarato, che Fasani è stato, per dirla con Formichella, “un grande interprete dell’anima solopachese e meridionale”, il complesso dei suoi scritti, merita senza ombra di dubbio di essere tramandato perché nulla vada disperso dal momento che il suo lascito letterario è la testimonianza inoppugnabile del valore di uno scrittore che ha saputo incarnare lo spirito, le ansie, i tormenti, le gioie e l’ironia (talvolta amara) delle genti del Mezzogiorno.
Le 131 quartine che compongono il poemetto ‘A Tempèra – degne di stare accanto alle prove liriche di più acclamati e noti poeti quali Salvatore Di Giacomo e Ferdinando Russo, solo per fare due nomi – rivelano un’animo religioso, ma non bigotto, radicato nella cultura meridionale della quale Fasani è senza ombra di dubbio un superbo esponente. Facendo proprie credenze popolari e legandole al sentimento religioso ed a riti profani quanto ancestrali, il poeta solopachese dimostra di aver interiorizzato il sentire profondo della propria comunità alla quale dà voce, con i suoi versi, nella forma più alta e nobile, ma anche comprensibile ad un pubblico tutt’altro che colto.
Il presente canto che rivede la luce dopo tanto tempo, è una preghiera umile e possente insieme, rivolta alla Madonna del Roseto, circondata da una schiera di Santi, riferimento spirituale di ogni solopachese, credente o meno, ritenuta da sempre Madre protettrice e “Mamma ‘e carità”, che ha accompagnato numerose generazioni nell’affrontare la buona e assai più spesso la cattiva sorte. Solo a Lei poteva indirizzarsi l’invocazione a mandare frutti copiosi a povera gente sconfiggendo la siccità al fine di dare sollievo a donne ed uomini che scrutavano (e scrutano) il cielo per individuare il loro possibile destino.
Le note che precedono il poemetto, Cosimo Formichella le ha scritte con la coscienza dello studioso scrupoloso, ma anche con la commozione di chi ha ritrovato in Baldassare Fasani un suo “maestro” del quale ha colto ed interiorizzato affinità culturali e sintonie profonde.