Perché si continua a insistere su un Albert Camus completamente di sinistra? È ben altro lo scrittore del “Primo uomo” e de “La peste”, considerava un romanzo mal riuscito. Non so perché si arriva a comprare la grandiosità de “Lo straniero” con le ondate di migrazioni dei nostri giorni. Significa non aver letto Camus. Perché si considera “L’uomo in rivolta” come un testo di filosofia della prassi e del razionalismo storico.
Camus dopo la prima fase di adesione alla sinistra, direi che avrebbe voluta riformista, si allontana completamente pur mantenendo delle posizioni certamente antifasciste. Ma il suo antifascismo, che era anche anticomunismo assoluto, non lo si deve considerare un modello di appartenenza alla sinistra tout court. I suoi saggi sono ben altro. Le sue corrispondenze dicono ben altro: soprattutto quelle con Nicola Chiaromonte.
Non era libertario. Era un intellettuale libero. Da schemi della prassi e distante da una antro-filosofia della ragione. Vive tra Nietzsche e Kafka. Scrive abitando la confessione. Se all’inizio della sua entrata nel campo minato della filosofia e della letteratura discute con Sartre immediatamente dopo rompe i rapporti con lo scrittore della “età della ragione” e si incammina oltre la ragione.
Entra nel labirinto dell’essere che intreccia la metafisica con la fenomenologia. Fa il cammino di Maria Zambrano. Il Plotino studiato dalla Zambrano è quello al quale Camus dedica la sua tesi di laurea. Va verso sì l’assurdo ma il suo confrontarsi con l’assurdo è un dialogare con il cuore dell’uomo e non con la ragione.
C’è in mezzo Dostoevskij. Non ci sono i saperi della logica ma quelli della solitudine e dell’impossibile viaggio lineare. Spesso Dostoevskij diventa una guida. Il suo “Caligola” è un capolavoro di rappresentazione esistenziale dell’impossibile ricercato e della solitudine vissuta. Il sentimento del naufragio è nella rilettura dei “Demoni” e quasi in una riscrittura teatralizzata. È la coscienza strappata.
La nausea di Sartre è una condizione ideologica. La caduta di Camus è un indissolubile vivere abitando l’essere. L’inquieto dei personaggi è uno scavo nell’angoscia di Kierkegaard. Il suo teatro è un’opera magistrale. Come la sfida di Sisifo che metaforizza il mito dentro il concetto di risveglio. Il risveglio non è la notte ma la luce.
Non c’è l’ideologia in Camus. C’è la consapevolezza del senso del distacco che significa anche nostalgia. Nascere in Algeria non è nascere in Francia. Non può esserci nausea. Si parla con l’anima. Ma anche con il tempo immortale dell’assenza. Lo straniero è un uomo diventato personaggio e non popolo. Qui si gioca il non ideologico di Camus.
Figlio di una temperie in cui hanno vissuto Robert Brasillach e La Rochelle. Figlio di un’epoca di dure contrapposizione, ma di grande letteratura, fa parlare i personaggi e combatte tutti i totalitarismi affinché l’uomo che guarda a Dio o agli dei possa vincere. È la cultura del mediterraneo che si porta dentro. Una grecità intrecciata al nord Africa.
Proprio per questo il comunismo è lontanissimo da lui. Anzi è un “combattente” contro i comunismi perché comprende che il comunismo non ha anima, ma dominazione del pensiero. Il suo pensiero libero e scevro da schieramenti lo porta dentro una metafisica chiaramente non realizzata ma attraversata. Appunto verso l’uomo in Croce con Calderon con il quale tratteggia lo scavo tra il peccato e il perdono. Due emisferi che urlano con l’uomo che diventa straniero per troppa follia metaforizzata in solitudine. Con la quale affronta la religiosità del cadere decadere.
Cosa è il cadere decadere? Un esistenza sfilacciata? O una esistenza decadente? Si misura il tempo della vita tra il passato e il vivere nella trasparenza dell’immaginario. Nei suoi Taccuini tutta la vita viene annotata come un vero mestiere di vivere.
Siamo oltre dunque alla visione di Sartre, ovvero oltre al marxismo stesso. Infatti proprio Nicola Chiaromonte in una lettera indirizzata a Camus datata 23 settembre 1952 scriveva: “Trovo Sartre ancora peggiore di quanto avessi pensato al primo approccio: “l’uomo è volgare nell’essenza”.
Camus, come dicevo, è completamente distante dal marxismo e quindi dal comunismo soprattutto negli ultimi anni della sua vita. Affermerà nel febbraio del 1957 sulla rivista “Demain” riferendosi alla presunta verità comunista che “…non si può permettere all’opportunità di regnare sovrana sul bisogno di verità come fanno i comunisti e gli intellettuali di sinistra loro seguaci, perché questo relativismo sistematico prepara la morte dell’intelligenza…”.
Un intellettuale a tutti tondo. E non solo. Perché è da queste considerazioni che nasce la sua opera letteraria e filosofica. Il Camus che si è creduto di leggere in molte occasioni non è il Camus delle opere, dei suoi scritti giornalistici, del pensiero pensato e vero.
Non si può immaginare che Camus abbia potuto scrivere: “La sinistra è schizofrenica e deve curarsi con la critica spietata…”. Si era al 1957. Nicola Chiaromonte, invece, aveva letto bene Camus soprattutto quando afferma su “Tempo presente” del novembre del 1957: “Camus aveva ‘resistito’ ai filosofemi e al culto del potere che i filosofemi consacravano. I fatti erano venuti a dar ragione all’individuo che non si era curato di ‘essere nella Storia’ né di pensare al seguito degli eventi”.
Era un filosofo. Uno scrittore. Un intellettuale lungimirante. La vita vissuta non come sistema ma come essere nell’essere esistenza.
Un filosofo che si è posto il sentimento della solitudine come inquietudine “assolvente” e la memoria come esilio di tempo. Uno scrittore che ha tempestato il ricordo con la magnificenza del graffio dei giorni. Uno scrittore che ha definito il dolore sulla griglia del mito di quel “primo uomo’ che riporta l’immaginario dell’infanzia. Di quell’intellettuale che è oltre la sola ragione e ha vissuto l’assurdo come l’isola della sua esistenza.
Perché in fondo Camus era convinto che “Per poter sopportare, non bisogna ricordare troppo, bisognava stare appiccicati ai giorni, ora per ora”.
Bisognerebbe pensare o immaginare Camus solo davanti alla solitudine e osservare la linea dell’orizzonte che conduce tra l’infinito e l’eterno. Tutto ciò se non è metafisica si è accanto, appiccicati, alla metafisica.