• 4 Luglio 2024

“Cecità”(Feltrinelli, pp, 276, € 12,00), di José Saramago (1922-2010) è un romanzo che offre molteplici spunti di riflessione. Lo scrittore portoghese, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1998, utilizza la cecità come simbolo della mancanza di comprensione e di empatia tra gli esseri umani. È dunque una rappresentazione dell’assenza di conoscenza e di saggezza che porta alla violenza e alla degradazione umana. Il romanzo esplora anche il tema della responsabilità individuale e collettiva, e della necessità di trovare un equilibrio tra queste due dimensioni.

La trama del romanzo si sviluppa attraverso la descrizione della vita —all’interno di un manicomio– di persone comuni  di una città che diventano improvvisamente ciechi. Una epidemia che non ha nessun riscontro scientifico, inaspettata. Le persone affette da questa cecità, vengono rinchiusi dal governo per evitare la diffusione di questo presunto virus. 

Nel manicomio, i ciechi devono affrontare la fame, la violenza, la sporcizia e la disumanizzazione. La paura di chi è  ancora vedente, trascina con sé l’ abominio della civiltà; la voglia di uccidere gli “ infetti” per eliminare il problema; il disprezzo per chi purtroppo della vista non sa più che farsene, perché un bagliore bianco ne ha fagocitato la vista; violenza e disperazione in ogni pagina, in ogni parola del racconto dell’autore portoghese. 

Tuttavia, ci sono anche momenti di speranza e di umanità, come quando la moglie di un medico, l’unica persona che non è cieca, diventa riferimento e guida per gli altri. Questa donna, personaggio forte e determinato,  decide di uccidere un gruppo di rinchiusi malvagi—iene ululanti davanti al corpo di una carogna– per vendicare gli abusi sessuali che lei stessa e le altre donne, subiscono come vessazione e come baratto per ricevere cibo per sé e per gli altri malati. Quei corpi nudi e armoniosi di donne, diventano “l’ oggetto” di scambio per un pezzo di pane. Questo evento rappresenta una svolta nella trama del romanzo, che diventa ancora più intenso e coinvolgente. In “Cecità” è  un susseguirsi di immagini forti, visioni di personaggi che si spostano da scenari cinematografici da “Pulp Fiction”, allo smarrimento  di anime dannate dei gironi infernali di Dante Alighieri.

Il romanzo presenta una critica alla società moderna e alla sua incapacità di affrontare le sfide del mondo contemporaneo. Saramago mette in luce la fragilità delle istituzioni e delle convenzioni sociali e la loro inadeguatezza nel proteggere gli individui dalle conseguenze delle loro azioni. Il romanzo suggerisce che la soluzione a questi problemi non può essere trovata attraverso la tecnologia o la scienza, ma solo attraverso un cambiamento radicale nella mentalità umana. Ciò che il mondo moderno offre, rimane inutile davanti a cuori induriti, sprezzanti di buoni sentimenti e di umana misericordia. La cecità, dunque, è la brutale metafora dell’indifferenza, della bramosia di potere, dell’ imperizia nel sentire la sofferenza dell’  altro, della disgregazione della società collettiva in quella individualista.

La scrittura dell’ autore portoghese è intensa. Il solo uso delle virgole e del punto, dona al lettore un flusso costante, senza interruzione, intensificando così la sensazione dello smarrimento dei personaggi.  

In chiusura, “Cecità” di José Saramago, si presenta come un inno inquietante alla complessità dell’animo umano.  Il romanzo ci trascina nelle profondità della cecità fisica e morale, svelando le fragilità dell’ esistenza delle persone. C’è un invito perpetuo ad esplorare le tenebre dell’umanità, a scrutare il nostro riflesso in uno specchio distorto dalla pandemia e a domandarci se, nel buio più profondo, possiamo ancora ritrovare la luce dell’empatia e della speranza. “Cecità” non è solo un libro, è un viaggio sconvolgente che lascia il lettore con un’eco di riflessioni, una cicatrice letteraria che testimonia la potenza della narrativa nel sondare gli abissi più profondi della condizione umana.

Autore

Nata a Solopaca in provincia di Benevento. Da sempre impegnata nel sociale a 360 gradi, appassionata di cinema e di teatro, ha fondato il gruppo teatrale "Ad Majora" per il quale ha scritto nove commedie, di cui sei portate in scena. Ha collaborato con varie associazioni culturali locali come "Associazione non solo anziani" e "Koinè".