Le Feste legate alla nostra tradizione sono conservate nell’immaginario collettivo come un magico periodo dell’anno in cui ci si lascia coccolare dai colori, i suoni e gli odori e portano nelle nostre vite due cose fondamentali: l’esplosione dei cinque sensi e la nostalgia.
Vedere ovunque colori di luci, sentire sotto le mani la carta dei regali piuttosto che quella degli involucri dei dolci legati a ogni festa, sentire passare sotto il naso profumi di miscugli appetitosi, deliziarsi nel gustare particolare pietanze tipiche, ascoltare le musiche o il suono delle campane, ci fanno sentire nostalgia di momenti passati e di racconti familiari che difficilmente si possono dimenticare. Succede a molti, anche ai più distaccati anticonformisti. Da quei ricordi, a volte sfocati e nello stesso tempo drammatici perché non potremmo riviverli, viene in mente che l’icona del cibo Italiano si forgia attraverso più di un secolo oltre l’oceano, seguendo i sogni e i ricordi dei nostri emigranti. Se tradizione significa letteralmente tramandare, pensiamo a quando nei bastimenti carichi di temerari contadini, pronti a qualsiasi sacrificio, molti di loro conservavano, con tanta premura, un fazzoletto che conteneva uno spicchio d’aglio, una cipolla rinseccolita, qualche foglia di basilico. Era il ricordo della loro terra, la memoria nelle loro narici e negli occhi le loro misere, ma felici, stagioni della loro vita, umori e sudori di casa materna. Uomini e donne coraggiosi che la “miseria” ha spinto a emigrare e che ha insegnato molto alle generazioni successive, soprattutto a tirare fuori dalla cucina tradizionale la sua ricchezza in termini sia di gusto che di notorietà.
La preparazione delle ricette seguiva, e segue ancora in Italia e oltre oceano per chi non ci ha mai rinunciato, un rito ben preciso. Tutto non veniva mescolato per caso, ogni ricetta era un rito che sapientemente si seguiva fino alla presentazione a tavola.
Ma quanti anni sono passati? Tanti, davvero, e tutto ha avuto modo di trasformarsi, adattarsi, fino a renderne difficile l’identificazione, distorcendo a tal punto le cose da non avere più un’origine ben precisa, anzi una sorta di rinascita. L’adattamento alla emigrazione ha creato, nella tradizione d’oltre oceano, la cucina italiana fraintesa e distorta. Anche per forza di cose. Per gli ingredienti che mancavano, per la trasmissione orale delle tradizioni che ha fatto perdere molta originalità alla cucina e per ultimo lo stile di vita completamente differente.
La scorsa estate mentre scrivevo il mio saggio “The Middleman in the AmerItalia” ho fatto qualcosa di molto interessante e divertente.
Ho visitato alcuni ristoranti italiani di New York, Brooklyn e Staten Island. Di ognuno di loro ho letto con attenzione il menù.
Quando, scorrendo l’elenco dei piatti mi imbattevo in qualcosa di “distorto”, lo ordinavo.
Una delle mie più grandi passioni è cucinare quindi, da esperta: l’assaggio è stato un dovere per la cronaca internazionale. E come tanti italiani che hanno mangiato in questi posti e non solo a New York e dintorni, sono rimasta abbastanza sorpresa nel constatare che piatti tipici, come paste e sughi, sono “presumibilmente” italiani perché in America in generale non si ha contezza di quanto sia genuinamente piatto tipico della nostra cucina tradizionale.
Mi sono soffermata a pensare alla semplicità dei nostri piatti e quel maldestro voler “strafare” nella trasposizione americana. Penso davvero che sia un modo sfacciato di voler affermare il cambiamento che a volte avviene in modo del tutto naturale. Dalla miseria alla ricchezza anche la cucina si trasforma in qualcosa che assume una nuova identità. Più ricca? E di cosa?
Eppure oltre oceano questo non è davvero un problema, anzi la rivisitazione distorta fa parte di una politica di marketing ben precisa che sicuramente ha approfittato della notorietà legata alla cucina italiana che è una delle più copiate al mondo. Mangiare italiano porta tanto guadagno. Infatti, non mi sono sorpresa nell’apprendere che grandi nomi in America lascino che le distorsioni e i fraintendimenti siano protagonisti. Vincenti punti di vista che osservano i gusti di palati che non amano troppo un certo tipo di cucina tipica e, soprattutto, non cucinano a casa.
Proviamo a guardare uno dei menù. Mi colpisce qualcosa di molto strano, ha a che fare con la pasta e non solo.
Chicken Cutlet Parmigiana, solo a vederlo scritto così mi mette ansia. Quel petto di pollo, cucinato non so come, adagiato sugli spaghetti. E mi rendo conto che la parola Parmigiana è presente ovunque quando si parla di cucina italiana.
È assolutamente vero che se chiedete ad un americano cosa è il Grana Padano vi risponde di sicuro che è un’imitazione, una brutta copia del Parmigiano. Una vera ossessione.
Allora ecco una lunga lista di ricette che finiscono con Parmigiana o Parmagiana. Eggplant Parmigiana, Shrimp Parmigiana, Chicken Parmigiana, Veal Parmigiana, Meatballs Parmigiana. Come si preparano? In uno dei tantissimi blog di ricette ne potete trovare per ogni gusto e grado di difficoltà.
Si lasciano macerare in una miscela di uova sbattute, poi si impanano e vengono fritti. Si condiscono con una salsa marinara, con tanto origano e mozzarella. Cotti infine nel forno fino a quando il formaggio non si scioglie e si forma una bella crosticina.
E non è finita. Pasta con pollo grigliato e broccoli. Gli attrezzi della mia cucina già stanno tentando la fuga mentre nomino questo piatto.
Eppure un’altra cosa mi ha colpito più di ogni altra. Se si parla di Pasta compare sempre un certo Alfredo, ricetta legata a una storia vera che per curiosità vi invito a leggere.
Fettuccine Alfredo o penne al sugo di Alfredo. Una rivisitazione della nostra pasta burro e parmigiano con una colata di panna. Sono rimasta senza parole. In nessuno dei nostri ristoranti in Italia compare nei menù e se provate a chiederlo di sicuro l’interlocutore, sua esso lo chef, il cameriere o il ristoratore storce il naso perché non sa di cosa stiamo parlando. È il tipico piatto di quando non hai tempo o, nella memoria dei bambini, quando si sta a letto con la febbre, che tristezza, ma come per incanto è uno dei piatti più richiesti in America.
Alfredo è diventato importante, ma anche la nostra Pasta che gli immigrati preparavano solo con acqua, farina e sale. Anche solo con burro e formaggio è unica. Tanto unica che i nostri emigrati la usavano al posto del denaro per comprare viveri e non solo.
Qualcosa però nella distorsione mi ha fatto inorridire più di ogni altra.
“Alfredo Sauce” la trovi essiccata nelle buste sugli scaffali al supermarket insieme al nostro aglio e peperoncino, al pesto disidratato, alla salsa rosa e alla pasta al formaggio… Come sarà la nostra pasta condita con uno di questi sughi essiccati? E il nostro stomaco dopo il pranzo chiuso con un Hot Cappuccino? Meglio non pensarci, che sia Pasqua, Natale o una delle nostre feste tradizionali, assaggiamo una bella fetta di Panettone o Colomba prodotti in USA che si mangiano caldi con una bella spalmata di burro di noccioline!
Dopo tanti anni mi sono decisa a scrivere una lettera a Babbo Natale con una sola richiesta. Vorrei cucinare la mia “Tiella Patate Riso e Cozze” insieme a Lidia. Il cognome mettetelo voi, magari nell’uovo di Pasqua ci trovo un invito speciale e un cucchiaio di legno.
Vorrei infine rendere omaggio a due piatti tipici che si usano preparare a Natale, anche se siamo a Pasqua, e sono rigorosamente di origine genovese. Uno a base di pomodoro e tonno, l’altro in brodo di cappone.
Tanto per rendere omaggio a chi ha permesso di portare oltre oceano non solo la nostra cucina.