Ehi… uomo! Voglio dedicarti un momento di attenzione. Ho rispolverato nozioni di filosofia e psicanalisi, soltanto per farti sapere che il tuo comportamento, è vero, danneggia una donna, ma principalmente è un autogol che fai a te stesso. E se mi segui, provo a spiegartelo. La scrittrice Simone de Beauvoir scrive“… la donna è il primario altro dell’uomo, il suo opposto; nel teatro del mondo è natura quando lui è ragione, immanenza quando lui è trascendenza, unità primordiale quando lui è separatezza distinta, oggetto quando lui è soggetto…” e ci propone una visione della complementarietà tra soggetto e oggetto, ognuno immagine speculare dell’altro.
Ognuno esiste in presenza dell’altro. Fin qui ti è chiaro? L’uomo e la donna mantengono un’individualità identitaria definita e possono realizzarsi in un legame. Pensare ai legami è pensare alla vita. Tu uomo, come essere umano fin dalla nascita aspiri all’affermazione del tuo sé e al riconoscimento reciproco che permette al tuo sé e all’altro d’incontrarsi su un piano di parità. Possiamo intendere quindi la reciprocità come l’unico modo per coniugare eguaglianza e differenza tra uomo e donna, ma questo non basta: è necessario un reciproco riconoscimento, affinché la reciprocità si trasformi in una complementarietà reale. Ok.
Riassumendo: nel momento che lei riconosce te, tu devi riconoscere lei. Tu affermi te stesso e lei afferma se stessa. Affermazione e riconoscimento creano equilibrio, e quest’ultimo fa parte della differenziazione. L’individuo matura come sé consapevole del proprio essere, distinto dagli altri. Il riconoscimento è riconoscere, confermare, convalidare, rendersi conto, sapere, accettare, capire, essere e sentirsi empatici, registrare mentalmente, tollerare, apprezzare, vedere, identificarsi con, amare… Ciò è il presupposto che siamo esseri fondamentalmente sociali e che cresciamo nella e per mezzo della relazione. La completa realizzazione di se stessi, infatti, avviene attraverso la complementarietà con l’altro all’interno dei legami che vengono tessuti nel tempo. Il riconoscimento è riflessivo: implica non solo la risposta di conferma dell’altro, ma anche come noi ci ritroviamo in quella risposta. Riconosciamo noi stessi nell’altro; riconosciamo l’altro come persona separata, simile a noi e tuttavia distinta. Affermazione e riconoscimento si collegano alla polarizzazione dell’identità di genere.
Maschio e femmina adottano ciascuno uno dei lati interdipendenti di un tutto. La femmina si identifica con la madre, il maschio si differenzia. E viceversa rispetto al padre. Le relazioni di attaccamento infantile, influenzano il modo in cui tu uomo ti relazioni in età adulta con il partner. La madre è il primo oggetto d’amore del bambino, il padre per la bambina, poi oggetti di desiderio per entrambi. In questo caso dialogando con te uomo parlo della madre. E’ lei che provvede, dialoga, accudisce, sostiene, è l’altro significativo, è l’altro empatico, lo specchio. La madre è oggetto delle richieste del figlio, ma anche soggetto altro. La madre struttura il riconoscimento basato sulla reciprocità sull’influenza reciproca. La ricerca di riconoscimento può diventare lotta di potere, e l’affermazione si trasforma in aggressione. Hegel postula un sé che non ha bisogno dell’altro, ma usa l’altro come strumento di rassicurazione. Il sé prende le mosse dall’ onnipotenza che vuole affermarsi nell’incontro con l’altro, che vede essere simile a lui. Ma non può, perché per affermare se stesso deve riconoscere l’altro, e riconoscere l’altro significa negare la propria assolutezza. Nel momento in cui realizziamo la nostra indipendenza, dipendiamo da un altro perché lo riconosca. Sì uomo, nel momento in cui hai raggiunto l’indipendenza, dipendi da lei.
L’altro esiste per se stesso e non solo per te. Lei esiste per te e per se stessa. Winnicott distingue due dimensioni: relazionarsi a un oggetto e usare un oggetto, ossia trarre beneficio da un’altra persona in modo creativo. Quando il soggetto non riesce a passare da una relazione all’uso significa che non è stato capace di collocare l’oggetto fuori di sé, di distinguerlo dalla sua esperienza mentale di controllo onnipotente, e ciò comporta distruzione. L’oggetto deve essere distrutto dentro affinchè capiamo che è sopravvissuto fuori e non sottoposto al nostro controllo mentale. La distruzione è uno sforzo per differenziarsi. Il riconoscimento reciproco non può essere raggiunto attraverso l’obbedienza, l’identificazione con il potere dell’altro o la repressione. Richiede il contatto con l’altro. Complemento al rifiuto maschile di riconoscere l’altro, è il fatto che la donna stessa accetti la propria mancanza di soggettività e sia disposta a dare riconoscimento senza riceverlo a sua volta. Ma quando la donna sente il diritto di essere una persona a pieno titolo, pone limiti all’aggressione e all’ansia che accompagnano l’indipendenza del maschio, ha raggiunto la piena soggettività che le permette una differenziazione piena, e dovrebbe sopravvivere alla distruzione mentale da parte dell’altro, l’altro cosa fa? Attua una distruzione fisica. E tu uomo, che nel momento in cui ti stavi differenziando, in cui affermavi il tuo essere, in cui riconoscevi lei riconoscendo te, e stavi sulla strada dell’indipendenza, hai avuto paura, ti sei sentito vulnerabile, fragile, sottomesso, e angosciato, e hai preferito tornare nell’ombra, essere uno senza storia, senza nome, ricordato come l’omicida, l’assassino, il codardo che si è mostrato forte con una persona non di pari forza, colui che ha giocato facile. Hai perso il ruolo di figlio, di padre, di marito, di amico. Non hai voluto legami e quindi non hai voluto la vita. Hai rifiutato il riconoscimento. E dire… che lei ti ha concesso un ulteriore incontro chiarificatore, ti ha ancora una volta riconosciuto. Ti lascio, con le parole di V. Frankl: “essere uomo vuol dire essere sempre rivolto verso qualcosa o verso qualcuno, offrirsi e dedicarsi pienamente a un lavoro, a una persona amata, a un amico cui si vuol bene, A Dio che si vuol servire”.