A volte ritornano: non solo i politici, categoria verso la quale tale espressione risulta persino abusata, ma anche pratiche, abitudini e metodologie che credevamo sepolte dal tempo e dalla polvere. E, invece, rieccole. A plastica conferma della loro natura di fiume carsico, di alleanza di lunga durata, di prassi di sistema. Parliamo del rapporto tra Nord e Sud, dove alla lungimiranza del primo è corrisposta spesso la miopia del secondo. È scritto nel nostro certificato di nascita come nazione, stando almeno a talune interpretazioni storiografiche del processo unitario risorgimentale, la cui struttura – marxianamente intesa – andrebbe ricercata nel soddisfacimento delle reciproche convenienze tra l’industria protetta del Nord e il latifondo del Sud che esso avrebbe assecondato. Reciproche, ma non simmetriche. La convenienza che si intestava il Nord era infatti di sistema, generava cioè vantaggi territorialmente mirati e socialmente diffusi. Quella invece in capo al Sud si limitava a cristallizzare le posizioni dominanti degli antichi feudatari meridionali, così come magistralmente descritto da Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.
Il romanzo ci è prepotentemente tornato in mente, si parva licet…, leggendo nei giorni scorsi del voltafaccia di Vincenzo De Luca in tema di autonomia differenziata. L’ennesimo del governatore campano: se, infatti, nel maggio del 2022, in occasione delle celebrazioni per i 130 anni del Mattino, egli lanciava il cuore (e la faccia) oltre il ridicolo fino a farsi più leghista di Matteo Salvini prima spronandolo a «rilanciare questa battaglia» e poi rinfacciandogli «qualche timidezza da parte di miei colleghi di Regione del Nord», due anni dopo – luglio 2024 – cambiava completamente registro arrivando a bollare come «distruttivo per il Paese» quello stesso obiettivo in nome del quale aveva gareggiato in autonomismo con il capo degli ex-secessionisti. E giù anatemi, appelli alla mobilitazione e proclami roboanti. Tutti andati a segno, per altro, come efficacemente testimonia il primato della “sua” Campania nella raccolta di firme in calce alla richiesta di referendum abrogativo della legge Calderoli. «Solo i paracarri non cambiano», diceva qualcuno. Ed è vero. In politica la fissità è un vizio e non una virtù.
Ma è altrettanto vero che sull’autonomia differenziata De Luca si è rivelato più «mobile» della donna del Rigoletto: «muta d’accento e di pensier» a ritmo impressionante. Già, perché ora da incendiario si è fatto pompiere mentre la campale battaglia da lui annunciata contro il «governo del Nord» (quello Meloni, ovviamente) si è diluita nelle forme di un emendamento alla legge Calderoli predisposto dalla sua giunta regionale con il dichiarato obiettivo di vanificare il referendum. Una mucca pazza non avrebbe fatto di meglio. Leggere per credere: De Luca è il governatore della Regione capofila nelle sottoscrizioni referendarie; come se non bastasse, la sua giunta ha depositato un ricorso alla Consulta contro la legge Calderoli e, proprio sul più bello, lui che fa? Partorisce il topolino dell’emendamento quasi a farsi beffa dei tanti corregionali accorsi a firmare contro l’autonomia differenziata anche sulla base dei suoi vibranti appelli. Colpo di sole fuori stagione? Non esattamente. A ispirare i movimenti di De Luca, solo apparentemente da mucca pazza, è l’obiettivo del terzo mandato a Palazzo Santa Lucia. Lo stesso del suo gemello diverso Michele Emiliano, il governatore della Puglia. Entrambi bravissimi a fare le barricate con i mobili degli altri entrambi lestissimi a smontarle una volta centrato l’obiettivo. Il solito sindacalismo istituzionale che ha purtroppo contagiato, chi più chi meno, tutti i sedicenti governatori.
Nel caso dell’autonomia differenziata, tuttavia, l’altezza e la rilevanza della posta in gioco dovrebbero scoraggiare giochi al rialzo, azzardi e tatticismi degni di minor causa. È in gioco il futuro dell’Italia come nazione e dello Stato stesso come entità unitaria. Davvero non è più tempo di giocare ai cacicchi, termine riesumato da Massimo D’Alema in segno di sprezzo verso l’allora nascente partito dei sindaci. Nei Caraibi (il lemma è di origine cubana) i cacique erano gli accaparratori del potere locale. Caricatura moderna e incafonita degli antichi Gattopardi, gli odierni cacicchi nostrani sono come i loro aristocratici ispiratori disposti a barattare gli interessi vitali del loro territorio con il soddisfacimento di obiettivi personali o di gruppo. Nel caso di specie il terzo mandato elettorale in cambio della sterilizzazione del referendum sulla base dell’emendamento made in Campania, la più importante Regione meridionale. Luca, inteso come Zaia, anch’egli interessato ad autoperpetuarsi come governatore del Veneto, e De Luca, suo omologo campano, rinsaldano così l’antico paradigma dell’alleanza di sistema tra gli interessi dei territori del Nord e le convenienze personali dei cacicchi del Sud. Lungimiranza da una parte, miopia dall’altra. Fantapolitica? Può darsi. È però una certezza che l’emendamento De Luca potrebbe davvero togliere le castagne dal fuoco alla maggioranza di governo. Sì, perché Giorgia Meloni ha tutto l’interesse ad evitare una consultazione referendaria che al Sud si annuncia tutt’altro che incoraggiante per la coalizione che ha le chiavi di Palazzo Chigi. Non lo sostiene solo chi scrive ma anche un politico in quota al centrodestra come Roberto Occhiuto, presidente della regione Calabria. E anche la Lega potrebbe essere tentata dal “lodo De Luca”: meglio incassare un’autonomia differenziata bardata coi caveat contenuti nell’emendamento campano piuttosto che metterla a rischio referendum. È questione di sostanza politica. Il partito di Salvini, infatti, non solo potrebbe sventolare il vessillo di quella “Padania” a lungo accarezzata da Umberto Bossi e Gianfranco Miglio, ma potrebbe anche realizzarla concretamente. Del resto, è dal 2001 che se ne percepisce il vagito all’art. 117 della Costituzione sfregiata dalla sinistra: «La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni». Piemonte, Lombardia, Veneto attendono solo il via libera per dare vita alla macro-regione settentrionale. Il tempo di approvare l’emendamento De Luca e il gioco è fatto: terzo mandato in cambio della secessione mascherata. Ieri il Nord con i Gattopardi per «fare l’Italia», oggi il Nord con i cacicchi per disfarla. Come aveva ragione il vecchio Marx a dire che «la storia la prima volta è tragedia, la seconda è farsa». Anche se in questo caso non fa per nulla ridere.