• 2 Febbraio 2025
Cultura

Claudio Siniscalchi, storico del cinema e saggista da sempre attento alla cultura dei non-conformisti del Novecento, con la sua ultima fatica porta l’attenzione dei lettori sulla figura di Gabriele D’Annunzio, protagonista indiscusso della storia italiana ed europea nonché delle patrie lettere. Ci riferiamo al volume, DAnnunzio custode del disordine, nelle librerie per Oaks editrice (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 121, euro 15,00). Il libro è snello, ma come riconosce nella prefazione Marcello Veneziani, risulta “incisivo” rispetto al tema trattato. L’intento dichiarato di questo pagine va individuato nel rintracciare, non solo nel mondo valoriale del poeta-Vate, ma perfino nel suovissuto, l’humus esistenziale, intellettuale e politico proprio di quella congerie di autori che dettero vita all’ “ideologia italiana” (la definizione è di Bobbio), dai tratti “rivoluzionario-conservatori” . Al termine della lettura è possibile asserire che Siniscalchi ha realizzato, in modo compiuto, le esplicite intenzioni ermeneutiche.

Per comprendere senso e intenti della rivoluzione conservatrice italiana che, si badi, fu momento di quella europea, tale fenomeno va contestualizzato storicamente e teoricamente. Per farlo, l’autore richiama le posizioni di Ernst Nolte e, soprattutto, di Augusto Del Noce. Quest’ultimo comprese che la storia del secolo XX poteva essere interpretata esclusivamente in un approccio transpolitico, in quanto in essa, a farsi mondo, è la filosofia moderna, esito dell’immanentizzazione del fine della storia cristiano. I rivoluzionario-conservatori, stante la lezione di Armin Mohler e di Giorgio Locchi, diedero vita a un “contro-movimento” culturale e politico, anti egualitario, mirato a cogliere i limiti della democrazia parlamentare e a superarla, senza alcuna nostalgia passatista. Al contrario, il superamento del presente avrebbe dovuto prendere avvio dalla modernità stessa, addirittura dalla sua accelerazione. La vita e l’opera di D’Annunzio, la loro originalità e centralità,risultano comprensibili solo se inseriti nel panorama intellettuale di tale ossimorico e attualissimo tentativo. Il titolo del volume allude allo scritto di Malaparte, I custodi del disordine: «Definizione che ben si adatta al DAnnunzio politico”. Un custode”(conservatore”) del disordine” (rivoluzionario”)» (p. 25).

Siniscalchi ricostruisce con acribia metodologica, attraverso una messe documentale ampia esignificativa e in forza della conoscenza della più significativa bibliografia critica in tema (come dovrebbe fare ogni storico serio), le vicende biografiche nelle quali il Poeta-armato venne coinvolto. Dagli studi a Roma agli esordi nel mondo giornalistico della Capitale. Presenta e analizza le frequentazioni intellettuali, politiche, si intrattiene sulle numerose liaisons sentimentalidi D’Annunzio. Si badi, Siniscalchi non si occupa, sic et simpliciter, del momento politico dannunziano ma discute, nei capitoli in cui il libro è articolato, con pertinenza argomentativa e persuasività d’accenti, la produzione letteraria, la tensione all’azione dell’ “esteta decadente” e, successivamente, del “poeta-condottiero” durante l’avventura fiumana, per giungere al “Vate degli italiani”. Il D’Annunzio letterato, a muovere da Il piacere, risulta essere, con Giovanni Verga, l’iniziatore della letteratura italiana del Novecento: «Il contributo dannunziano si manifesta in varie direzioni: il simbolismo narrativo; linnovativo utilizzo dello spazio e del tempo; la rappresentazione dei personaggi» (p. 32). La fonte cui lo scrittore, in prevalenza, si ispirò, fu la cultura francese. Da essa trasse l’insegnamento, proprio di Drieu, che scrivere di sé e della propria epoca, malata e decadente, implica non solo l’uso dell’inchiostro, ma del “sangue”, vivo pathos esistenziale. In Le vergini delle rocce , il Nostro mise in scena: «tutto il disprezzo per la democrazia rappresentativa» (p. 37) che lo indusse, proprio come Wagner, alla ricerca di “un’opera d’arte totale”, finalizzata all’affermazione di un nuovo ceto dominante di “Eroi” dal profilo alla Carlyle.

Mosso da tale concezione, il confronto con la realtà socio-politica per D’Annunzio risultòsconfortante. Da qui la necessità dell’azione. Fu eletto in Parlamento nelle file della destra, ma ben presto passò a sinistra. Andò, sostenne: «verso la vita» (46), animato dalla ricerca della coincidentia oppositorum in politica. Fu protagonista di primo piano nelle “radiose giornate” di maggio dell’interventismo, che videro sulla stessa barricata nazionalisti, socialisti massimalisti e sindacalisti rivoluzionari e, alla fine del conflitto, dette vita, quale risposta alla “vittoria mutilata”,all’impresa fiumana. Era il 12 settembre 1919. Nella città istriana, D’Annunzio realizzò l’ “opera d’arte totale”. La fantasia, in quelle turbinose giornate, giunse davvero al potere. Tutte le restrizioni furono bandite: religiose, sessuali, politiche. Si celebrò la “festa” della Rivoluzione: Guido Keller e Giovanni Comisso animarono il gruppo fiumano-esoterico Yoga, mentre: «Harukichi Shimoi fu il Samurai di Fiume”». Con il “Natale di sangue” e la fine della Reggenza la parabola politica di D’Annunzio, di fatto, si concluse.

Fin dai mesi precedenti, Mussolini, stratega politico, realista scettico e non poietes puro come il pescarese, stava ponendosi quale nuovo punto di aggregazione per quanti erano intenzionati a costruire un’Italia nuova, rispetto all’Italietta giolittiana che, paradossalmente, sembrava poter risorgere dalle macerie del conflitto. A seguito della Marcia su Roma, Il Vate visse nella “prigione dorata” del Vittoriale, riverito dal nuovo regime. Mussolini, ricorda Siniscalchi, gli rese visita. L’ultima parte del saggio affronta i rapporti tra i due. A riguardo, Veneziani commenta: «non si tratta di stabilire se DAnnunzio sia stato o no fascista, ma di riconoscere che il fascismo è statodannunziano» (p. 9). Merito maggiore di, DAnnunzio custode del disordine, è da cogliersinell’esegesi delle gesta e delle opere di un grande italiano, in modalità altra dalla vulgatastoriografica diffusasi al termine del Secondo conflitto, che ha decretato per D’Annunzio la condanna ad escludendum riservata a tutte le “intelligenze scomode” del secolo XX.

La rivoluzione-conservatrice poietica del pescarese è lascito cui tornare a guardare in un momento storico nel quale, oltre la guerra guerreggiata, in Europa divampa, come colto dal filosofo Stiegler, la guerra estetica. L’ “opera totale” dannunziana può essere strumento atto a liberare l’immaginario contemporaneo dalla colonizzazione mercatista realizzata dalla Forma-Capitale, oggi dominante.

Autore

Giovanni Sessa (Milano, 1957) vive a Frascati (RM). Suoi scritti sono comparsi su riviste, quotidiani, in volumi collettanei e Atti di Convegni di studio. Ha curato e prefato decine di volumi. Tra le ultime pubblicazioni, La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo, Milano 2014; Julius Evola e l’utopia della Tradizione, Sesto S. Giovanni (Mi) 2019; L’eco della Germania segreta. “Si fa di nuovo primavera”, Sesto S. Giovanni (Mi) 2021; Azzurre lontananze. Tradizione on the road, Sesto S. Giovanni (Mi) 2022; Icone del possibile. Giardino, bosco, montagna (Mi) 2023. E’ Segretario della Fondazione Evola.