• 2 Luglio 2024

È nel tacito principio di delicatezza che si incorniciano le cose nel silenzio lasciando l’operato al presagio. Sul medesimo solco si racchiudono i gesti nell’aura della stasi. È un contegno di attesa nel fluire del tempo acché il momento si consegni allo sguardo interiore. L’intima bellezza viaggia su rotaie di cristallo, tutto nella cura dell’emozione di esistenze altre. La delicatezza di Pierre Drieu La Rochelle (Parigi, 3 gennaio 1893 – Parigi, 15 marzo 1945), non tocca solo un movimento estetico, ma un vero e proprio moto dell’anima. La sua scrittura è un afflato di garbo, patrimonio di un mondo perduto e custodia di un gentile palpebrare: movenza impercettibile di uno sguardo mediante il quale vedere la vita, introiettarla e stoicamente rifiutarla. Le opere di Drieu, dai romanzi sino ai diari, figurano una galleria di riflessioni sull’esistenza e sulla spiritualità. Ogni singola pagina accoglie la direzione per restituire, attraverso un aforisma, un pensiero o finanche un interrogativo, fogli pronti a trafiggere per smarrirsi nella memoria. L’opera diaristica di La Rochelle, distintamente in Journal d’un délicat e, in misura maggiore, in Journal 1939-1945, romanzo e diario postumi ambedue, si muovono sulla piega dell’attualità, custodiscono lo spirito del tempo che, per alcune trame, si espande sino al nostro. La sua Europa è forata dal refolo dell’aridità. Per quanto l’autore veda nella scrittura diaristica un modello succedaneo del lavoro più profondamente creativo, le parole sono grazia trainata dalla complessità di uno spirito sopraffatto e deluso.

Il diario è qualcosa cui dedicarsi nel tempo perso pur restando un importante forziere di quella nobiltà pessimista che si incolla su ogni singolo tendine della mano scrivente. Pulsazioni vigorose vanno incontro alla vita e dalla stessa vengono avvilite. Scoramento che non cede alla resa. Al contrario, seppur all’interno di un suolo disincantato, si edifica sopra una presa di coscienza.

Per un esteta della malia attrattiva, l’immagine della donna rappresenta la principale sorgente dalla quale gemica la creazione. Donna come natura selvaggia; impulso e creatura intellettuale in una sola eccezione: Victoria Ocampo. La passione tra Drieu e Victoria figura una straordinarietà: la Ocampo è donna di intelletto. È un coup de foudre a intiepidire una fredda giornata parigina di febbraio. Siamo nel 1929, lo scrittore è al termine del suo secondo matrimonio. L’incontro tra i due è profezia della nascita di una passione dirompente quanto dolorosa. Per quanto in conflitto su diversi argomenti, sono due creature discordanti che suonano all’unisono. Si sfidano su temi politici, religiosi, etici. Controversie sedate da una stima reciproca: due abissi che si scontrano con il solo fine di incontrarsi. Per Victoria Ocampo, primogenita di un’agiata famiglia argentina, sposata – come molte liaison di La Rochelle –  ma di fatto separata, la lettura sottolinea una condizione per giungere all’autore. Nell’opera del dandy parigino, impatta con la curiosità per l’uomo. Un viaggio inchiostrale con il fine di giungere alla meta: attraversare lo scrittore. Insieme si avvieranno a un percorso comune, quello amoroso. Nel bagaglio, la consapevolezza di non essere la sola, ma l’unica fra tante. Quello della Ocampo è un trasporto generoso da diversi punti di vista, non ultimo quello economico. Tema ricorrente nelle relazioni intrattenute dallo scrittore. Una sorta di riconosciuto mecenatismo femminile per il quale l’uomo sente la sua inadeguatezza nei confronti delle “donne da marito”. Non si sente a proprio agio con la donna casta. A tale figura preferisce la compagnia di donne ricche che possono provvedere alla propria vita e, per estensione, a quella del letterato. Drieu è pervaso da una “impotenza a tratti” che trattiene l’aria di trovare origine nello sfioramento di una vergine.

Bisogna essere molto forti per amarti senza esserne danneggiati, Drieu

Il trasporto di Drieu per Victoria appare conflittuale quanto indispensabile. La fiamma si alimenta nell’assenza. Spregiudicato e tenero, cinico e amorevole, non si risparmia per quella creatura con la quale può discorrere di Céline, Joyce, Valéry. È necessario parlare di lei e con lei. Nella privazione e nell’attesa cresce la sua fiamma. Nella volontà di negare il moto geloso, invero afferma una fermezza di possesso. Le confessa l’inconfessabile. Indugia nel gioco dell’attesa per sfuggirle e poi tornare con veemenza a cercarla. L’amore tra la Ocampo e La Rochelle, non si realizza nell’appartenenza ma nell’idea indispensabile di appartenersi.  Victoria sarà l’unica donna a custodire il privilegio e la condanna di ricevere lo scritto testamentario con i motivi del suicidio dello scrittore.

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In Journal d’un délicat Jeanne è il disegno dell’universo femminile. Il dialogo malconcio tra l’eroico e la vita trova in lei la prima manifestazione. Una figura che lentamente si incunea nel suo rifiuto di amare; giunta troppo tardi nella vita dell’autore poiché egli si è infine disposto nel verso del divino. Ma Jeanne non nasce nel troppo tardi: il diniego di un delicato la precede. Una ripudia autoinflitta alla sessa stregua della sua autodistruzione, pertanto non sulla donna ma su ciò che rappresenta. L’intima rinuncia alla creatura femminile rappresenta il rifiuto della fine di un seduttore: Jeanne è tutte le altre e dunque lo specchio di un arresto. Un finale sigillato nel ventre della solitudine.

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La solitudine di Drieu La Rochelle uomo e scrittore – nella caducità di un animo che svela la fragilità dell’esistenza – incede in paura e la paura in pena. Una doglianza domandata come unica sospensione da un’afflizione perenne. L’immagine femminile è il trait d’union tra Drieu e la vita.

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La sterilità di La Rochelle si contrappone alla fertilità del mondo femmina in un fermo declino alla vita e all’amore. La sua opera impianta una preziosa occasione per sollevarsi da un caos effettivo, ubriacarsi di delicatezza e compiere una sorta di ascesi dentro la penna di uno scrittore elegante, scisso tra il grido eroico e l’autodistruzione.

Autore

Autrice, critica e saggista. Si è laureata in Lettere moderne presso l’Università La Sapienza di Roma. Si è specializzata con una triennale in Pedagogia Clinica presso ANPEC (Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici) di Firenze. Nel 2017, insieme a Luigi Iannone, ha pubblicato il saggio Il cinema delle stanze vuote per La scuola di Pitagora editrice. Nel 2018 ha pubblicato il libro ANIME INQUIETE – 23 storie per mancare la vittoria per Auditorium edizioni. Nel 2019 ha pubblicato il libro EDIFICIO FELLINI – Anime e corpi di Federico per Les Flâneurs Edizioni. Nel 2021 ha pubblicato il libro CON LA PAROLA VENGO AL MONDO – Bellezza e scrittura di Clarice Lispector per Tuga Edizioni. Ha scritto per le pagine culturali de Il Giornale/IlGiornaleOFF e l’Intellettuale Dissidente occupandosi di critica letteraria e cinematografica.