• 18 Ottobre 2024
Di Sconosciuto - [1] Dutch National Archives, The Hague, Fotocollectie Algemeen Nederlands Persbureau (ANEFO), 1945-1989, CC BY-SA 3.0 nl, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20442497
Lo scrittore del mese

Elias Canetti è uno dei maggiori pensatori dell’era moderna, scomparso ottantanovenne nel 1994 dopo un’esistenza a dir poco originale. Ha sei anni quando dall’odierna Ruse (Bulgaria) la sua famiglia, ebrea sefardita, si trasferisce a Manchester. L’inaspettata perdita della figura paterna rafforzerà il legame con la madre Mathilde Arditti. Originaria di una ricca famiglia sefardita livornese, è una donna straordinariamente colta. Affinità e interessi culturali creano tra i due un’intensa complicità, ma anche un rapporto assai complesso, che Freud avrebbe definito “dipendenza reciproca”. La morte del padre determinerà una serie di spostamenti lungo l’Europa: Austria, Svizzera, Francia, Italia, Germania. A Zurigo il Canetti racconta di aver trascorso anni entusiasmanti. Parla il bulgaro e l’inglese, ma la lingua dell’infanzia è il ladino, alternata con la giudeo-spagnola e con quella tedesca, usata diffusamente dai genitori, appresa durante gli studi e grazie alla frequentazione dei teatri viennesi. Proprio il tedesco sarà la lingua in cui comporrà tutte le sue opere, quelle letterarie e quelle scientifiche e filosofiche. Sì, perché Elias Canetti è il tipico esempio di intellettuale “umanistico”. Laureatosi in chimica a Francoforte, autore di romanzi e di opere teatrali, di saggi e raccolte aforistiche, ha scritto anche un’ampia autobiografia, divisa in più testi, e un’opera, “Auto da fé” in cui dimostra la possibile integrazione dello studio letterario e scientifico della natura umana. L’ enorme quantità di scritti e la vastità di studi condotti, segnati da perenne inquietudine, impediscono di collocare l’autore in una specifica posizione culturale del Novecento europeo, che comunque ne riconosce il talento. Abilità tutta canettiana è quella di esplorare con la lente dello scienziato l’animo umano, territorio quanto mai franabile, arrivando sempre a esatte conclusioni. L’ affannoso bisogno di confrontarsi con ogni aspetto della vita umana gli valse il premio Nobel per la letteratura nel 1981. In questa occasione, dopo aver citato Vienna, Londra, Zurigo, “divinità cittadine speciali […] che si distinguono per minaccia, incommensurabilità, trasfigurazione”, riferendosi all’Europa affermò: “Mi auguro […] un tempo così benedetto che al mondo nessuno più maledica il nome dell’Europa”. Ricordò anche “quattro uomini appartenenti all’autentica Europa, e da cui non voglio separarmi”. Karl Kraus: “il più grande satirico in lingua tedesca”. Franz Kafka, destinatario della dedica di un testo a cui Canetti teneva molto: “L’altro processo. Le lettere di Kafka a Milena”. Robert Musil: “mi ha sempre affascinato, forse soltanto ora sono in grado di afferrare completamente il suo lavoro”. Infine Hermann Broch. Poi concluse: “Per me, è impossibile, oggi, non pensare a questi quattro uomini. Se fossero ancora vivi, è chiaro, uno di loro dovrebbe essere al mio posto, qui”.

Se la gratitudine è il paradigma dei veri geni, l’epoca moderna non ne ha molti.

Come l’attento lettore ha sicuramente inteso, anche solo proporre una panoramica generale dell’esorbitante opera e pensiero di Elias Canetti porterebbe via troppo spazio alle pagine di questo magazine. Tuttavia non si può prescindere da alcune, imprescindibili, problematiche. Sono così uniche da essere state accostate a quelle dei letterati e filosofi più disparati. Con gran divertimento e benevolenza dell’interessato che continua a intrecciare nelle sue opere letteratura e scienza, antropologia ed esperienze vissute, con risultati fuori dalla norma, come nessuno prima. Così il suo metodo “filosofico” si concentra su un cardine di pochi ma essenziali motivi. Ad esempio l’isolamento dell’individuo e la memoria: “Si può essere soli soltanto in un modo: quando si hanno a qualche distanza delle persone che ci aspettano. La solitudine assoluta non esiste. Esiste soltanto la solitudine crudele verso chi aspetta”;” Tutto quello che si è dimenticato grida aiuto nel sogno” (“La provincia dell’uomo”).

I due capolavori di Canetti, Die Blendung (Auto da fé)1935 e Masse und Macht

(Massa e potere) 1960, costituiscono l’emblema della sua scrittura e della sua riflessione.

“Testa senza mondo” Mondo senza testa” “Il mondo nella testa “sono le tre parti che costituiscono “Auto da fe”, un’analisi spietata dei baratri sui quali cammina l’esistenza umana. Nessuna vicinanza, nessuna pietà per l’uomo che vive in bilico, costantemente nel pericolo di cadere nel dirupo. È l’apoteosi della ragione che giunta al suo punto più alto, è costretta ad ammettere la sua sconfitta. Ma la perdita momentanea della vista, come richiama il titolo tedesco, può permettere all’individuo di guardare più chiaramente dentro di sé. Forse anche per questo a taluni è parsa un’analisi addirittura sgradevole e fa dichiarare a Claudio Magris: «Auto da fé è un libro che non ammette giudizi intermedi: ci sono lettori che vi si riconoscono a fondo, come in un baraccone di specchi deformanti al Luna Park, e che lo sentono come una Bibbia quotidiana, e ci sono lettori che se ne ritraggono sconcertati e respinti. È un’opera eccentrica e bizzarra, che non si lascia inquadrare in uno schema letterario o ideologico preciso, e che perciò si è sottratta a lungo alla comprensione». Questo, a nostro avviso, non giustifica il silenzio calato su di lui.

“Massa e potere” impegnò Canetti per trent’otto anni. I prodromi in due specifici episodi. La presenza del diciassettenne studente Canetti, nel 1922, a Francoforte, a una manifestazione contro l’assassinio di Rathenau. E la partecipazione a Vienna nel 1927 a un corteo con molti morti, culminato nell’incendio del palazzo di giustizia.

L’opera, malgrado il titolo, non ha un taglio sociologico e non può essere ascritto ad alcun genere letterario. Il rigore scientifico, di cui appare permeata, in realtà si smarrisce in un labirinto di metafore e simboli che conquistano il lettore perché: “Nulla l’uomo teme di più che essere toccato dall’ignoto.” Tuttavia, “solo nella massa l’uomo può essere liberato dal timore d’essere toccato. Essa è l’unica situazione in cui tale timore si capovolge nel suo opposto”. Ma che cos’è la massa?

Per lui “massa” è un insieme formato da tante cose differenti. La massa è della natura, appartiene a svariate forme della società. Ogni massa presenta una specifica fisionomia, anche quella umana. Intorno al nucleo centrale, Canetti raccoglie le diverse tipologie di massa: quelle in fuga, aizzate; festive; masse del divieto e quelle del rovesciamento. E nel concetto moderno di massa si intrecciano simboli e miti millenari, riconducibili al tempo in cui l’uomo era simile all’animale. Quanto al concetto di potere, al filosofo non interessa riflettere su quello politico, quanto sulle radici di atti di sopraffazione, indipendentemente dal periodo storico. Al centro del discorso il rapporto tra potere e sopravvivenza: la morte del sopraffatto equivale al privilegio di vivere del sopraffattore. Il potere è di chi vuole e riesce a sopravvivere ai suoi simili.  Se volessimo semplificare, diremmo che la morte dell’uno equivale alla vita dell’altro. Ma è molto altro, come testimonia l’attenzione sul tema della morte.

La figlia Johanna ha pubblicato postumo “Das Buch gegen den Tod” (“Il libro contro la morte”) raccogliendo aforismi, riflessioni, appunti, pensieri e argomentazioni che avrebbero dovuto costituire, nelle dichiarate intenzioni del padre, l’opera sua più significativa. Operazione del tutto superflua ingessare il libro in un genere: è molte cose. Un unicum senza pietre di paragone. Quello che più colpisce è senza dubbio l’incapacità di accettare la morte come inevitabile conclusione della vita. Non si vuole chiamare in causa alcuna questione teologica, semmai anti-teologica. «Tutte le morti che finora sono avvenute altro non sono che migliaia e migliaia di omicidi legali che io non posso autorizzare […]. Io non ammetto la morte. Il fatto che muoiano anche le pulci e le zanzare non fa sì che la morte mi appaia più concepibile dell’atroce storia del peccato originale. […] Non morire. Primo comandamento. Io non accetto la morte, e questo è tutto». Rigetta la morte e arriva a considerare quella del compagno/a di vita assai più grave di un tradimento. Rifiuta dunque “ogni compromesso e accomodamento con essa che è uno dei temi di Canetti e fa di lui un grande, anomalo scrittore.» (Magris).

Ci piace pensare che il momento della dipartita sia stato come l’aveva immaginata: “La morte la voglio seria, la morte la voglio terribile, e che il punto più terribile sia quando non c’è più da temere se non il nulla”.

Non sappiamo com’è andata, ma se ancora parliamo, seppure indegnamente, del Suo pensiero, vuol dire che aveva ragione Orazio: Non omnis moriar”.

No, Elias Canetti non è morto e non morirà del tutto.

Autore

Originaria di Benevento, dopo il conseguimento della laurea in Lettere Classiche all’Università degli Studi di Pisa, si è dedicata alla docenza presso il liceo classico di Saronno (VA). Animata da vivo interesse per la Letteratura, l’Arte e la Musica, si è occupata di Teatro, allestendo numerosi spettacoli che hanno ricevuto riconoscimenti sia dalla Presidenza della Repubblica, sia da attori di fama mondiale, come Dario Fo. Attualmente sta realizzando un interesse coltivato nel tempo: scrivere. Autrice di numerosi testi