Nell’aria aleggia ancora la dolce atmosfera del Natale, che liturgicamente non è finito, ma termina la domenica del battesimo del Signore (la prima dopo l’Epifania) e che, quest’anno, cade il 7 gennaio.
Ma cosa ci è rimasto del Natale? Abbiamo vissuto una festa basata sull’esterioritá, oppure abbiamo lasciato che quel bimbo di Betlemme, con i suoi occhi limpidi, penetrasse nel nostro cuore? A breve festeggeremo l’Epifania, termine che significa “manifestazione”. Il Signore si manifesta, ma come? E perché? Questa festa è antichissima: si perde negli albori del Cristianesimo e ne troviamo traccia già in Tito Flavio Clemente D’Alessandria, padre della Chiesa, alla fine del II secolo, quando nella Chiesa stessa era ancora recentissimo l’eco della predicazione degli Apostoli.
L’antico popolo eletto attendeva un messia guerriero: colui che avrebbe liberato Israele da ogni schiavitù e sottomissione; un Messia che “con mano potente e braccio teso”, (Salmo 136,12), avrebbe salvato il popolo eletto dai nuovi padroni: i romani. Ma Dio capovolse questa mentalità e l’Epifania divenne l’espressione più pura di questo capovolgimento: “Dio ha scelto ciò che nel Mondo è debole, per confondere i forti”. (1Cor 1,27). In che cosa consiste questa debolezza? C’è un bambino, avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia. Trema di freddo, un bue ed un asinello riscaldano il corpicino di quel Dio che, “pazzo d’amore”, come lo chiamava S. Caterina da Siena, dottore della Chiesa, è sceso dal Seno del Padre per nascere in una misera grotta, adibita al ricovero degli animali. D’altronde, che cos’è il Mondo se non una misera stalla? Con Gesù, persino questa stalla diventa una reggia. Dio Onnipotente è sceso fino a noi affinché noi potessimo ascendere fino al Padre: è quel bambino che porterà la Salvezza al Mondo Intero.
In quella notte stellata, chi furono i primi a ricevere questa “epifanèia”: questa manifestazione, questo annuncio? Non i farisei, non gli scribi, ma prima degli umili pastori, considerati dimenticati da Dio, quasi alla stregua di briganti ma ai quali Dio volge lo sguardo, e poi i magi: rappresentanti, in quel momento, dell’umanità intera. Quella gioia non era riservata al solo popolo eletto: tutto il Mondo doveva sapere! E così Dio li fece venire da terre lontane: astrologi intenti a scrutare le stelle. Ne apparve una più luminosa delle altre che li guidò fino al Bambino Gesù, ma quando essa scomparve per qualche tempo, furono confusi e cercarono il piccolo nella reggia di Erode. Quale posto migliore per il Re dei Giudei, pensarono? Ancora una volta, Dio capovolge le regole della Storia. L’Epifania ci insegna che anche nel nostro quotidiano troviamo Dio: non nelle cose grandi, nel potere, nella ricchezza e nello sfarzo dei vari Erode che costellano i nostri tempi, ma nel senzatetto con lo sguardo desolato, fisso a terra, mentre un’umanità senz’anima gli passa accanto; nel migrante che chiede l’elemosina fuori al supermercato; nell’anziano che ha bisogno di essere ascoltato.
Questa logica, paradossale agli occhi del Mondo, viene riscoperta dai Magi quando finalmente, uscendo dal palazzo di Erode, vedono di nuovo la stella e provano una gioia grandissima. Alcuni nella stella vogliono ravvisare la Vergine Maria, chiamata: “Stella del Mare” dalla tradizione, poiché per andare a Gesù non c’è migliore strada che lei; “ad Jesum per Mariam” fu, infatti, il motto episcopale di San Giovanni Paolo II. Quando infine trovarono Maria, Giuseppe e il bambino adagiato sulla mangiatoia, aprirono i loro scrigni e gli donarono l’oro, simbolo delle buone opere; l’incenso, simbolo della preghiera; e la mirra, simbolo di penitenza e mortificazione. Doni degni di un re ma che simboleggiano gesti semplici, quasi a svelarne la ricchezza. L’Epifania ci insegna che Dio non ci chiede di fare cose grandi, ma di compiere piccoli gesti quotidiani che, nella mano del Signore, diventano una ricchezza enorme. La “piccola via” di S. Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa, ci viene proposta in modo mirabile nella festa che ci apprestiamo a celebrare, ricordando il giorno in cui Dio si fece bambino per essere luce che illumina le Genti e gloria del popolo di Israele!
Insieme all’aspetto religioso, molto sentito è l’aspetto folkloristico della festa, amato particolarmente dai bambini, i quali aspettano la cara (e a volte bistrattata Befana che “vien di notte con le scarpe tutte rotte”) a riempire le calze di dolcetti. Mentre il ruolo di babbo natale è tradizionalmente impersonato dal papà, il ruolo di riempire le calze di dolcetti è spesso svolto dalle nonne che, tradizionalmente, le pongono poi sul camino o in un altro luogo bene in vista. Ma com’è nata questa tradizione? I primi accenni sicuri a una figura femminile legata alla solennità dell’Epifania risalgono al XIV secolo, localizzate specialmente nelle attuali terre della Toscana e del Lazio settentrionale, ma la figura stessa della befana sembra nascere da riti della fertilità molto più antichi, nei quali madre natura veniva umanizzata fino ad assumere sembianze femminili per essere poi identificata talvolta in Diana, la dea della caccia ma anche della vegetazione, o in divinità minori come Satía o Abundia (divinità “popolane” che, come nota S. Agostino nel suo De Civitate Dei, erano molto abbondanti nell’antica religiosità romana). Le successive condanne di tali tradizioni pagane da parte della Chiesa Cattolica costrinsero il popolo a “reinventare” la befana in chiave cristiana, tanto che esiste anche una sua versione “cattolica”: si narra che i Re magi si fermarono a chiedere informazioni sulla strada ad un’anziana signora, dicendole che cercavano un Bambino che sarebbe diventato il Re dei re. La donna si rifiutò di aiutarli ma poi, pentita, iniziò a bussare ad ogni porta per lasciare doni ai bambini, nella speranza di trovare, un giorno, anche Gesù Bambino.
Ad ogni modo, poco importa quale sia la sua origine, ormai persa nei meandri della Storia, l’importante è che la befana continui a portare gioia a piccoli e grandi (e magari, qualcuno dei più grandi si ritroverà con una bella scorta di carbone), vivendo pienamente ogni momento di questo bel periodo, sapendo che “Epifania, tutte le feste porta via”.