• 23 Novembre 2024

La ripubblicazione qualche anno fa da parte dell’editore Castelvecchi del romanzo che lo rese celebre, ha tratto dall’oblio il grande scrittore rumeno  Vintila Horia (1915-1992). “Dio è nato in esilio”, capitato quasi per caso tra le mie mani mentre  tentavo di mettere a posto la mia biblioteca, mi ha fatto venire in mente i tanti esiliati di oggi. 

È uno dei più bei romanzi del Novecento, con rara sensibilità, ha tirato fuori dalla memoria letteraria del secolo scorso riproponendo  questo autentico gioiello che riporta all’attenzione uno scrittore la cui opera complessiva è improntata ad una spiritualità profondamente vissuta e rafforzatasi nel corso del tempo a fronte delle esperienze che lo hanno toccato, a cominciare da quella dell’esilio decretato ai suoi danni prima dalle autorità naziste e poi da quelle comuniste.

 Horia trovò in Italia, in Argentina, in Francia e in Spagna gli approdi che cercava, mentre la sua patria lontana moriva sotto il peso della tirannia. Quella stessa, affiliata alla centrale moscovita del terrore, che orchestrò contro di lui una campagna diffamatoria internazionale allorché l’Accademia di Francia gli conferì nel 1960 il prestigioso premio Goncourt proprio per “Dio è nato in esilio” che lo scrittore rifiutò in risposta agli attacchi ricevuti. 

L’ostracismo non bastava evidentemente. Ma il suo libro più famoso, che prende spunto da un altro celebre esilio, quello di Ovidio scontato nelle ingrate terre del Ponto Eusino per volere di Augusto, ritenendo il poeta capro espiatorio del degrado dei costumi sessuali dei romani, mentre la corruzione si annidava nella sua stessa famiglia, è la summa, in un certo senso, delle peregrinazioni di un viandante alla ricerca di se stesso. 

Tra i Geti il poeta di Sulmona, al quale Horia nella finzione letteraria attribuisce confessioni e descrizioni di usi, costumi e tradizioni di popoli lontani, trova ciò che a Roma non poteva trovare: l’affrancamento dalle convenzioni ipocrite e dall’ossequio al potere incarnato da un autocrate. Il suo cammino iniziatico lo porta a contatto con le peripezie di genti umili tra le quali si fa strada la convinzione dell’esistenza di un Dio unico “che ridarà al genere umano la freschezza del principio”. Ovidio avverte dentro di sé la spinta verso “un nuovo sole” dopo aver conversato con i saggi e qualche improbabile sacerdote sopravvissuto ad una religiosità arcaica. Fino a quando non incontra un medico greco che gli dischiude le porte alla rivelazione. Quel Zalmoxis di cui parlano i Geti è forse nato davvero in un remoto villaggio della Giudea per prendere su di sé tutte le angosce dell’umanità?

Ovidio, com’è noto, non farà mai più ritorno a Roma. Glielo negarono sia Augusto che Tiberio. Morì a Tomi, sul Mar Nero, nell’attuale Romania, nel 17 d.C. Horia, ne ha condiviso il destino concludendo come il poeta la sua esistenza lontano patria. Ovidio probabilmente trovò Dio nelle sue peregrinazioni impervie; Horia toccò con mano la crudeltà delle imposture ideologiche. L’uno e l’altro rinacquero nell’esilio.

Autore

Giornalista, saggista e poeta. Ha diretto i quotidiani “Secolo d’Italia” e “L’Indipendente”. Ha pubblicato circa trenta volumi e migliaia di articoli. Ha collaborato con oltre settanta testate giornalistiche. Ha fondato e diretto la rivista di cultura politica “Percorsi”. Ha ottenuto diversi premi per la sua attività culturale. Per tre legislature è stato deputato al Parlamento, presidente del Comitato per i diritti umani e per oltre dieci anni ha fatto parte di organizzazioni parlamentari internazionali, tra le quali il Consiglio d’Europa e l’Assemblea parlamentare per l’Unione del Mediterraneo della quale ha presieduto la Commissione cultura. È stato membro del Consiglio d’amministrazione della Rai. Attualmente scrive per giornali, riviste e siti on line.