• 4 Dicembre 2024
Editoriale

Ormai è noto agli addetti ai lavori che i cicli economici dei vari Stati europei sono assolutamente asincroni, infatti dopo un repentino scivolone da una governance intergovernativa che ha visto la Germania, con la supremazia del Marco e la Francia battitori liberi di un economia europea ordoliberale, in discesa libera e senza freni, siamo giunti ad un capolinea incontrovertibile, ma solo in apparenza, dove si conferma l’economia greca, quella tedesca , quella francese e finalmente quella italiana, grazie ad un processo di integrazione in corso, in termini anche digitali, tutto ancora da processare, che se pur altalenante non si conforma ad una formale ed integrata economia unica europea.

Gli indicatori processati esplicitano un sistema monetario figlio unico della BCE, nonostante la cooperazione dell’UE, e nonostante Atene cerca di abbandonarsi alle spalle un’austerità imposta dalla stessa Germania che ora vive momenti di recessione in assenza degli stessi aiuti ellenici, subordinati con ferocia al Mes e alle sue sovranità restrittive, che hanno rasentato un’ipotesi di usura del tutto europea.

La Grecia, è in ripresa, dopo la totale svendita dei gioelli di famiglia, e l’accesso ad un debito sovrano, la sua economia benché piccola sembra risalire la china, grazie ad un turismo rivalutato con capitali esteri e conseguenziale ad una produzione industriale che ha rinvigorito il Pil durante la crisi, con uno sprint notevole ma non sistema di volano economico europeo, infatti sebbene la crescita è evidente soggiace comunque alla Francia e all’Italia, non meta di un paradiso fiscale e tantomeno generatrice di credibilità politica. 

L’Europa intera fatica a ricreare un’economia unica e valoriale, le diversità esistenti  riproducono posizionamenti differenti dove alcuni Stati, dominano lo scenario economico, sebbene sono in lieve calo rispetto al resto d’Europa e promuovono una politica economica progressista.

Lo scenario dell’economia europea, dunque impone una sorta di differenziazione tra il nord e il sud, che suole originarsi in più step dal 2008 /2022 ad oggi, causa di riforme strutturali mai poste in campo, ma principalmente causa di un sistema di integrazione mai democraticamente risolto in termini economici. Infatti è evidente la necessità di concentrare l’attuazione dei piani di sviluppo presentati dai vari Stati, senza più rimandare investimenti significativi, nell’ultima fase dei Recovery.

L’estensione del debito comune, e la sua sovranità secondo la visione draghiana dell’economia europea anche dopo lo sviluppo del PNRR, troverà comunque difficoltà ad assorbire un volume enorme di investimenti e a tentare un’economia in crescita unica di stampo riformista conservatrice.

La cooperazione e gli investimenti, incentivati sono una problematicità non solo economica ma anche sociale, ed ideologica. Vi è la necessità, di una visione programmatica economica politica, che porta l’UE ad un livello paritetico, dove non vi sia più differenza tra il Nord e il Sud Europa, tra progressismo e riformismo.

Infatti se ripercorriamo lo sviluppo e i tratti comuni del conservatorismo ideologico ci accorgiamo dei disappunti e degli eufemismi disfunzionali cognitivi dei progressisti europei senza enunciarli, presenti nell’attuale politica europea e quanto essi siano superati per perseguire le istanze politiche degli europei.

Ovvero nel relativo “Conservatorismo Fiscale”, prima ancora di quello Thatcheriano, il primo che teorizzò alcuni temi fondamentali fu il saggista britannico Edmund Burke nel 1790, uomo politico e fautore dei diritti civili dei cittadini al di sopra dei temi istituzionali e dei debiti pubblici nell’ambito privato, ispiratore e difensore dei principi e dei metodi costituzionali inglesi. Questi è ancora oggi ispiratore o comunque il predecessore di un conservatorismo fiscale, non più opponente al New Deal, come negli anni trenta ma concorrente al supporto dell’idea del pareggio di bilancio attuato con investimenti esteri e con privatizzazioni e deregolazioni, forse non elementi inutili per ridurre il debito pubblico, ma comunque utili per una detassazione sociale a vantaggio delle classi medie, tale da consentire uno sviluppo economico unico e perequativo in tutta Europa.

La “Dottrina sociale”, oggi, della Destra e del “Conservatorismo Sociale”, inoltre opponendosi massicciamente ai diritti civili, e alla loro fluida affermazione, tende all’inasprimento delle pene rivolte alla criminalità in generale con un abbassamento della soglia di tolleranza, certamente non scadendo in un “proselitismo razzista” ma sfociando in un conservatorismo maggiormente di affermazione della certezza della pena, legandosi ai temi della sicurezza tanto cari ai cittadini. Ciò è tipico anche di un conservatorismo moderno americano, auspicato e perseguito da Robert Ward, politico statunitense repubblicano nelle sue attività amministrative.

In quest’ambito sulla scia di Burke e forse anche di Tocqueville, che in qualità di grande e forse più lucido pensatore e rappresentante del pensiero liberale, diceva nella sua idea che bisogna fare politica ”Con gli uomini quali sono realmente e non quali dovrebbero essere”; sulla stessa convinzione è Kant, filosofo, “Si può maturare alla libertà solo nella libertà”.

Segue Robert A. Nisbet, americano, sociologo, storico della cultura, che si può ritenere uno dei più accreditati ed influenti del Novecento, ha sostenuto infatti, in polemica con l’individualismo e il liberismo, astenendosi dal nostalgismo storico, quale sia la reale importanza dell’autorità politica, nell’affermazione sociale, in relazione alla protezione della comunità, e alla rivalutazione delle tradizioni valoriali sociali, per un mondo libero e senza vincoli, ma sottoposti non subordinati ad una sicurezza garantita dalle autorità.

Infatti se l’Europa, recuperasse una coscienza politica e civile di Nazione, dove la sovranità diverrebbe sovranazionalità potrebbe trasformare e tradurre i suoi valori in un ‘economia reale unica, in ogni ambito e comparto economico. Dove la libertà delle nazioni potrebbe divenire la libertà dello Stato sovranazionale.

Infine, con i temi classici del conservatorismo inerente alla giustizia sociale, si riconferma la “Dottrina tradizionalista”, e sottolinea il rispetto della tradizione, in un vortice, oggi, di riformismo di avanguardia sollecitato non da fenomeni reazionari, o da dinamiche rivoluzionarie, bensì rivisitati da un punto di vista economico illuminato e illuminante per una un’integrazione politica avanzata sia nel sistema sociale sia dal punto di vista delle tradizioni implementate con strumenti finanziari e digitali per una economia riqualificata.

Ovvero senza dare un taglio al liberismo in maniera netta il conservatorismo classico si delinea in America quanto in Europa, sulla scia di una sostenibilità di integrazione politica, rinvigorita e alla ricerca di esempi da seguire e da emulare democraticamente, certamente senza definirlo un neoconservatorismo siamo in presenza di una riaffermazione del sistema tradizionale classico per implementare una nuova politica riformista volta a creare un nuovo sistema economico, innovato e garantista.

L’innovazione, consentirà maggiore competitività e maggiore settorialità, in ogni nazione europea, quanto in Grecia ed in Germania, quanto in Italia. In Italia, in particolare bisogna concertare piani programmatici regionali differenti di sviluppo economico, pregni di una chiara visione politica, con una precipua strategia di marketing del territorio, e delle sue risorse.

Il “Laissez faire”, propugna il “Laisser passer”, e tutto nell’insieme conduce a un libero mercato anche monetario confuso e poco regolamentato, dove il successo si conforma ai pochi, all’élite e ad una governance esclusiva, e ciò non è economico, ma antieconomico e antigarantista.    

Infatti possiamo cogliere che il sistema ordoliberale sta sottoponendosi ad una metamorfosi di Kafkiana memoria, dove sebbene l’immaginario popolare non riesce a coglierne lo sviluppo collettivo e sociale, questi si integra anche ideologicamente in una presa di coscienza di “Conservatorismo liberale, libertario e nazionale”, sottogruppi di un medesimo sistema complesso parisiano, dove l’insieme di base ovvero le posizioni liberali in campo economico, si integrano con quelle libertarie, e divengono infine motivo economico di interesse nazionale, per esempio l’approvazione di alcune legalizzazioni che rasentano il paradosso, come la pratica e le colture di droghe per uso sanitario, oppure il controllo regolamentato dell’immigrazione clandestina ( o modello albanese), e l’economia sociale di mercato, si integrano in una globalizzazione dell’offerta, purtroppo talvolta anche per divenire un sotto insieme della domanda recessiva che imperversa attualmente in Europa.

Cogliamo altresì, l’affermarsi di un’integrazione del “Neoconservatorismo di massa”, tipico degli anni ottanta, con la fine dell’isolazionismo nazionale italiano nell’ambito europeo, volto oggi ad esportare la democrazia e suoi benefici con partenariati oltre frontiera, come il Piano Mattei e suoi sviluppi verso una nuova economia europea non più coloniale, ma cooperativista, riusciremo a fronteggiare un approvvigionamento in scala attraverso uno scambio di risorse, predisponendo un hub energetico di frontiera.

Inoltre non siamo più dal punto di vista della difesa e delle crisi belliche degli interventisti, thatcheriani, di prima maniera ma sovvertitori di un “Conservatorismo uni-nazionale”, infatti la cooperazione in difesa della democrazia sta dominando sull’attacco interventista. Ma la cosa che maggiormente domina la scena e lo scenario “Rifomista Conservatore europeo”, verso un’economia di sistema unico è il “Conservatorismo Verde” o dicasi ambientale, con sottolineature di principi filosofici, etici, di attuazione economica di una legge naturale, per un ripristino ambientale dei territori, che si applichi oltre il trascendente e l’immanente di un narcisismo capitalistico colonialista green, esclusivamente finanziario, in altre parole vi è bisogno di conformità alle tradizioni, ad un sistema fiscale classico, per affermare una riforma dominante classica e sostenuta dall’innovazione digitale.

La moderazione di una nuova economia volta a ripristinare l’ambiente o altrimenti indicato come “Conservatorismo moderato” con un linguaggio e una narrazione morale e pragmatica di un conservatorismo rispettoso del sociale e dell’economia reale, mai surrogata ma paradossalmente divenuta progressista nel suo genere, diviene rispettosa e regolatrice di un mercato disciplinato e non allo sbando.

Infatti la variante più ascendente in Europa, è stata o si è profilata ad un incremento del “Conservatorismo progressista”, con caratteristiche più eminenti dal punto di vista ideologico, infatti esso riesce ad unire un marcato progressismo sui temi sociali, con una teoria economica sociale di mercato, con una visione prettamente trasversale dal punto di vista politico ideologico, affine al conservatorismo liberale.

Ma ora al di là dell’ aspetto ideologico che il conservatorismo afferma nella sua visione ascendente e nel corso dei tempi europei, l’affermazione che possiamo cogliere è che comunque l’economia Europea trasversalmente lambisce una coscienza economica conservatrice, che non tradisce di base i valori profusi dal popolo europeo, anzi ne conserva l’identità sviluppandoli e affermandoli da un punto di vista non solo ideologico ma eminentemente economico, conferendo all’economia un senso di unicità di applicazione che sia perequativa tanto al Nord Europa quanto al Sud Europa, riconquistando l’UE una centralità nello scacchiere internazionale.

Infatti la spinta modernizzatrice generazionale dei conservatori, partendo da David Cameron, massimo esponente del conservatorismo progressista, inglese, passa però attraverso la Brexit che comunque ne attenua la sostanza, e diviene incontrovertibile nel momento in cui tale conservatorismo rimane una linea guida tanto insopprimibile quanto ascendente attraverso anche Angela Merkel. Il Conservatorismo in ogni ambito economico sviluppa oggi la sua identità e la sua coscienza europeista, confrontandosi con una attualizzazione “riformista”, centralizzando unicità economica Europea, per promuovere la giustizia sociale, la sovranità nazionale, in parallelo con quella sovranazionale, esportare nel mondo la democrazia parlamentare ei suoi benefici sociali ed economici, diffondendo i valori della tradizione nazionale, liberale e popolare del Continente, promuovendo un atteggiamento innovatore, e riformista, sia dal punto di vista ideologico quanto pragmatico ed economico.

Autore

Economista, Bio-economista, web master di eu-bioeconomia, ricercatrice Unicas, autrice e ideatrice di numerosi lavori scientifici in ambito internazionale. Esperta di marketing. Saggista, studiosa di geopolitica e di sociopolitica. È autrice dei saggi “Il paradosso della Monarchia” e di “Europa Nazione”. Ha in preparazione altri due saggi sull’identità e sulla politica europee.