Inutile fare un elogio alla politica monetaria europea, essa si disegna da sola, trascende da ogni possibile motivazione reale e realistica della partita antistorica che l’eurozona sta giocando verso il resto del mondo, impegnandosi a promuovere in termini di keynesiana memoria, una difficile possibilità economica ormai obsoleta in uno scenario globale di governance finanziaria. La politica monetaria a quanto pare non è incline a declinare l’inflazione, che solo per buona parte è in calo, le criticità evidenti, derivanti da un inflazione pur sempre amministrata, e da una politica energetica, lontana dalla possibilità di un equilibrio, e da un impennata del costo energetico, vista la crisi ucraina e la necessità di volgere lo sguardo altrove, per l’approvvigionamento su scala europea, si contraddistingue per nuovi effetti collaterali negativi e di carattere anche redistributivo in termini di reddito, infatti, bisognerà scendere in campo con altre futuribili politiche di bilancio. Strategicamente, la global politica, registra a monte la possibilità di coadiuvare la politica monetaria con un mix di altri interventi che non le appartengono, l’aumento dei tassi di interesse, non spuntano la soluzione non nel breve periodo, ponendo in sofferenza l’intero circuito economico, con baratri recessivi catastrofici, che si registrano, non solo in Europa. Perché i relativi tassi di interesse possano, influenzare l’economia , vi è bisogno di tempo, non sono sufficienti i circa diciotto mesi, standard e se percepiamo un relativo calo, certo è che non è dovuto agli effetti di una politica monetaria restrittiva, ma ad una naturale temporaneità insita nell’inflazione , come fenomeno dinamico economico monetario, e ad un altalenare di aggiustamento dei prezzi successivi alla pandemica crisi, una situazione che induce a riflettere e a razionalizzare che l’inflazione, resterà elevata ancora per molto, con un effetto di stagnazione che supponiamo si secolarizzi.
Le multi crisi, degli ultimi decenni, inducono a ragion veduta ad analizzare la possibilità di varare sia giuridicamente che politicamente dei mezzi strumentali , favorevoli a coadiuvare una ripresa economica reale, senza della quale il circuito economico, resta stagnante e imbrigliato nelle maglie di una politica monetaria e finanziaria fin troppo fluida e sistemica, incapace di un progressismo reale, infatti, necessità la fungibilità di una politica che sia scevra da manipolazioni di centri di potere o di lobby oligopolistiche che sovrastano l’interesse sociale di una ripresa nazionale e comunitaria. In altri termini una politica riformista di conservatrice memoria che riporti il valore morale e sociale di una destra mai sopita, semplicemente attenta a non naufragare in dispotiche decisioni, pertanto, libera di intervenire là dove la necessità fa virtù.
L’arbitraggio di una politica controrivoluzionaria che consente, con l’ausilio di pluralità di strumenti di risolvere la complessità degli obiettivi monetari da raggiungere, la macroeconomia non è più uni-sensoriale, necessita di una pluralità di interventi ben mixati che dominano la presunta superiorità dei mercati, vi è dunque bisogno, in primis di riforme strutturali, per imprimere una deriva finanziaria che non si riverberi sull’andamento economico reale nazionale e nei margini dell’eurozona, inoltre salvaguardare una tecnocratica politica monetaria di eccellenza, che riduca le incertezze dei mercati preventivamente, senza crollare in decisioni supponenti curative come l’alzamento dei tassi di interesse, che resta anti sistemico e altamente inflattivo. Infine, si deve ricorrere ad una politica di bilancio che ponga una reale crescita in una manovra di stabilità. Dicasi che il Patto di Stabilità in Europa, dovrà essere governato con disciplina, ma senza rigore e restrizione, o meglio senza probabili pressioni, generate da particolari gruppi di interesse, lobby energetiche, farmaceutiche, nonché finanziarie e bancarie che privatamente e a scopi speculativi destabilizzano volutamente, il sistema monetario globale, attraverso l’epicentro europeo, marcatamente progressista.
La politica monetaria, che ha generato una possibile integrazione europea, con misure di cessione di sovranità, è comunque stata incapace di tirare l’eurozona, fuori dalla trappola strangolante della liquidità, e l’espansività di una sovranazionale politica di bilancio di stampo Keynesiano, per fare da volano al rilancio della domanda, non ha esordito il suo reale effetto. Una sciagurata austerità, inoltre palliativo di ripresa, sebbene restrittiva, ha riportato l’economia in recessione, credere che una austerità espansiva funzioni in termini di crescita e stabilità di bilancio è a dir poco futuristico, ci siamo resi conto, che la sostenibilità ambientale, senza derive ecologiste, è stata fulcro di una eversiva politica che ha ribaltato i suoi contenuti, abbandonando, la tutela del territorio e la valorizzazione delle tradizioni ad esso appartenenti, che può essere solo di matrice conservatrice, e infatti non si può sviluppare e implementare il benessere sociale senza una crescita reale e un sostegno alle famiglie, che comunque deve godere di una sostenibilità contributiva perequativa, ottenuta in termini anche di imposte mirate, e al fine di ribilanciare l’economia.
Altresì, la governance nazionale e sovranazionale, dopo la crisi pandemica ha ben percepito, ad esempio che una politica sanitaria di qualità non è solo sovvenzionabile nel necessario, ma diviene di eccellenza se fortificata da un costante investimento pubblico che riesce ad attrarre quello privato in una fondazione di politiche di qualità, una rete di beni pubblici in Europa che dovrebbe essere da garante per un futuro di stabilità e di crescita del settore, coadiuvata da una ricerca sinergica sanitaria all’avanguardia, giova la necessità di un coordinamento e un vero ruolo della politica di bilancio in Europa, sia a livello nazionale che regionale. Sarà possibile ciò con una chiara tassazione sugli extraprofitti delle aziende farmaceutiche, generati a dismisura in area pandemica, che giustamente porterebbe una perequazione e disponibilità di investimento pubblico.
Ciò detto la tassazione degli extraprofitti bancari, non può definirsi volgarmente una decisione politica di stampo populista, poiché serve ad implementare quella perequazione di giustizia impositiva e al contempo a redimere forme di profitti superlativi che non hanno una ricaduta nel sistema reale del circuito economico , bensì solo ed esclusivamente finanziario ed azionario, volare così in alto rende l’economia reale invisibile e poco conservata nel suo valore portante del sistema economico, la massimizzazione dei profitti bancari senza una sperequazione impositiva, genera sempre più quel gap differenziale tra reale e sociale, ed economico e finanziario, inoltre l’aumento così eccessivo dei profitti o meglio degli extraprofitti, costituiscono un problema ancor più per l’inflazione e le impediscono di scendere velocemente. Il cappio, creditizio, non è un problema marginale ma reale nell’economia del mondo reale, non nella matrix extra finanziaria dei filantropi di turno, dove il marketing finanziario, spinge l’utente a decisioni insostenibili, ma fungibili agli extraprofitti.
Se la sostenibilità del sistema bancario, significa paradossalmente, uno svantaggio perenne per il consumatore monetario, che giammai vedrà i suoi risparmi remunerati vantaggiosamente, ma solo soggiogato ad un indebitamento rateizzato che mai lo rederà libero, solo se cederà il suo intero patrimonio, la crescita reale non avrà mai modo di decollare, e volare alto, il sistema agroalimentare, artigianale, tradizione di un economia fatta di piccole e medie imprese, resteranno ai margini di un sociale insostenibile. Quando una parte della società è insospettatamente in grado di avvantaggiarsi a discapito di un’altra, il motore morale, economico, politico ha il dovere, in qualunque periodo congiunturale, di sbloccare la contrazione del contratto sociale ed economico di un popolo. Le disuguaglianze, non hanno mai un ritorno e una possibilità di integrazione sociale per chi le subisce, strutturalmente e progressivamente un erosione della realtà sociale e del suo stato di benessere, ridotto ormai ai minimi storici, non può essere solo un problema di politica nazionale, la stabilità e la crescita fa parte di un coordinamento internazionale, pertanto, l’elusione continua e perpetrata solo a svantaggio dell’attore più indifeso del circuito economico, non genererà mai un sistema di benessere, ma lo farà solo in un economia di piena occupazione.
Il problema resta ed anche globale, dove si subisce un elusione perpetrata dalle multinazionali, che rastrellano risparmi reali in un economia finanziaria, fatta di un marketing ingannevole che manipola senza un ritorno reale, conservare un valore reale non è ingannevole, imporre un minimo di tassazione o imposizione per profitti ed extraprofitti non è ingannevole, è il primo obiettivo per una perequazione sociale, spesso dimenticata.
Le radici identitarie di una destra di governo , devono essere liberate in politiche di ragionevole soluzione, e la complessità delle soluzioni, ovviamente induce a decisioni di differente sostegno politico, la decisone di un conservatore non sarà mai uguale ad un a decisone politica progressista, che guarda non all’identità di un popolo, e alla sua conservazione in una interezza politica ed economica, ponendo il cittadino e sue difficoltà oggettive al centro della sua decisione, e d è proprio pensando alla nazione e alla sua comunità che una imposizione fiscale, perequativa può fare la differenza non solo come equilibrio di bilancio, ma come elemento socialmente utile. Anche l’OCSE, si sta avvantaggiando da tempo di possibilità, organizzative simili, per lo sviluppo e la cooperazione economica che deve avvenire tra nazioni comunitarie ma anche da parte di grandi meccanismi privati, come le banche mondiali e sovrannazionali e nazionali, la di cui sovranità monetaria nasce da un principio di servizio diretto non solo al profitto interno. Le critiche, molteplici, inusuali, verso una politica simile, definita impopolare, populista, per lo più sono deriva di una dilagante superficialità di visione politica che si ferma ai margini degli effetti immediati.
Tra gli effetti immediati, bisogna analizzare senza pregiudizi i numeri, essi non mentono mai, quale è il rapporto in Italia del debito /PIL, nel 2022 è andato al 144.4%, e l’idea che i maggiori deficit possano essere compensati da una maggiore crescita del PIL , ad oggi non trova riscontro nei fatti e nelle analisi economiche preventive più accreditate, e se con il semplice patto di stabilità, inteso in termini di applicazione restrittivo, la crescita prevede di superare un deficit /Pil del 3% e un debito/PIL del 60%. (dati statici della Banca d’Italia), siamo solo difronte all’ennesima, infrazione per deficit eccessivo che l’Europa pone non solo all’Italia, ma anche alla Francia, alla Spagna e alla Germania, per citare alcuni membri storici della UE. Vero è che abbiamo avuto rispetto al passato una diminuzione, di ben 5.5 punti percentuali, ma rimane ben poca cosa per puntare ad una crescita inflessibile. E senza irritare i banchieri e far piacere ai sindacati, il circuito economico deve essere suffragato da una tassazione minima degli extraprofitti, e senza riportare cifre noiose ma veritiere, che le aziende bancarie prevedono di fare che si aggirano i un gap tra un minimo di 4.4 miliardi (più 91,5 % Sanpaolo e Unicredit) e lo stesso BANCO BPM (più 80% semestrale)i 13, 5 miliardi di ricavi derivati dagli interessi netti (CA de SASS), BANCA MEDIOLANUM il miglior utile netto di sempre, tanto per citarne alcune o senza ricordare i decreti salva banche, forbice di un governo di renziana memoria, il semplice decreto Omnibus, ha un fondamento di coraggio, che certamente non ridurrà il deficit, ma contribuirà, a sostenere una stabilità che non si può solo auspicare, ma come la Costituzione recita, art.53 Titolo IV, “ Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.” .