• 23 Febbraio 2025

Tra le vie e gli scorci di Siena, affissa sulla parete esterna della casa natale di Tozzi, vi è una lapide: “Federigo Tozzi, romanziere tra i maggiori d’Italia. Qui nacque il 1 Gennaio 1883, nel cuore della sua città”.

Federigo Tozzi, senese, è uno scrittore che, come Pirandello e Svevo, ha interpretato lo stato interiore dell’individuo agli  inizi del Novecento riuscendo ,così, a sviluppare  il problema esistenziale dell’uomo moderno con le sue inquietudini percettive, l’inconscio e le disgregazioni morali.

Egli, indissolubilmente legato alla sua città, nonostante i trasferimenti successivi a Firenze e Roma, attraverso le sue eccellenti opere, ha reso protagonista la città toscana nel contesto letterario del Novecento.

I suoi principali romanzi- Bestie (1917),Tre croci (1918) e Con gli occhi chiusi (1919)- presentano un fondo autobiografico ma, nel contempo, legano i personaggi e le loro sensazioni vissute in un paesaggio che li circonda, tra il panorama della Siena medievale e le storiche e inanellate vie che la caratterizzano.

Nelle sue opere, infatti, il paesaggio è metafora dell’ interiorità del soggetto, del suo “io” disgregato.

Tozzi stesso ha vissuto quel paesaggio senese, assorbendo tutte le suggestioni visive che vi percepiva.

Segnato da un passato traumatico, vive un difficile rapporto con il padre, in quanto ne subisce sovente i suoi modi di agire autoritari, bruschi, crudeli. Il padre, figura di uomo zotico e incolto, capace negli affari, ispirerà il personaggio di Domenico Rosi, il cinico padre di Pietro, protagonista del romanzo “Con gli occhi chiusi”; quest’ultimo scritto nel 1913, fu pubblicato postumo.

Tozzi viene espulso dal collegio arcivescovile di Provenzano, perde precocemente la figura materna e dopo aver tentato di studiare presso la scuola di Belle Arti e le scuole tecniche, abbandona definitivamente gli studi.

Attraversato da un carattere ribelle, si iscrive al Partito Socialista di Siena, vivendo un’esistenza piuttosto disordinata.

Dopo aver tentato inutilmente il percorso del giornalismo, vince un concorso per le Ferrovie dello Stato- esperienza da cui vengono alla luce “Ricordi di un impiegato”, pubblicati  nel 1920 sulla “Rivista letteraria”.

Lo spirito autoritario del padre ossessiona Tozzi, il quale cerca di liberarsi da questa figura; ma sarà proprio la morte di quest’ ultimo, che gli permetterà di liberarsi dal suo dominio.

La sua vocazione letteraria diventa sempre più ardente; in seguito, infatti, decide di sostenersi con il lavoro di intellettuale. A questa altezza cronologica, lo scrittore lascia, quindi , l’impiego nelle Ferrovie dello Stato e si ritira nella proprietà denominata “Castagneto”. Inizia il “sessennio di Castagneto”, una vera e propria avventura letteraria. Con Domenico Giuliotti fonda una rivista “La Torre” dal sottotitolo <<organo della reazione spirituale italiana>>. Questa esperienza-seppure breve-è importante per sviscerare la sua volontà di farsi conoscere e di riuscire a pubblicare le sue opere. In questo periodo, inoltre, stringe amicizie importanti con Borgese, Pirandello, il quale lo accoglie nella redazione del “Messaggero della Domenica” e lo introduce presso un importante editore milanese, ovvero Treves. Nelle opere di Federigo Tozzi, dunque, emerge una denuncia dell’arroganza di una borghesia terriera rozza, ignorante. Le sue tematiche sono in parte riconducibili a quelle del “verismo”, soprattutto ,riguardo la “roba” verghiana: il padrone che si è arricchito equivale, in Tozzi , alla figura paterna, ossessionato per “la roba”.

Nel romanzo “Tre croci” il contesto familiare è luogo di sgretolamento affettivo, causato dal disordine sociale e dalla disfatta economica.

Per quanto i suoi personaggi , in parte, possano apparire molto vicini allo scenario della narrativa verghiana ,in verità, essi non sono destinati alla sconfitta. In “Con gli occhi chiusi” il padre possiede “la roba”, ma non è sconfitto e usa la sua brutalità per infierire sul figlio debole , decretando il suo fallimento e la sua sconfitta.

Giacomo Debenedetti avvicina l’esperienza poetica di Tozzi con quelle di Svevo, Pirandello e Kafka, circa la figura del padre autoritario il quale sembra vedere tutto ma, in fondo, soffre di cecità morale. La narrativa di Tozzi fonde, dunque ,i moduli espressivi del romanzo naturalista e verista , da Zola a Verga, con i moduli del nuovo romanzo europeo, caratterizzato dal motivo per l’introspezione.

La narrazione tozziana si caratterizza di personaggi che sono simboli di una coscienza  tipica della letteratura primonovecentesca; essi sono smarriti nella solitudine e privi del vero senso della realtà.

Il romanzo “Con gli occhi chiusi” ricco di suggestioni e di affascinanti momenti introspettivi è ,sicuramente, luogo di riflessione interiore, attuale per comprendere gli stati d’animo che, da sempre, accomunano gli esseri umani.

Domenico Rosi è proprietario di un podere e di una trattoria a Siena; la moglie è Anna, donna mite, sottomessa e debole. Il figlio Pietro è un adolescente schivo e un po’ ribelle. Dopo la morte di Anna ,il conflitto con il padre sfocia in un contrasto acuto nel momento in cui Pietro vorrebbe sposare Ghisola, una contadina molto scaltra che cerca di ingannarlo. In seguito, Pietro la scopre in un bordello. Riguardo il finale del romanzo, Tozzi rimase incerto per tempo: in una stesura precedente, Pietro perdonava Ghisola, accettando di prenderla in moglie.

L’autore ,nel romanzo, ha bisogno di ritrovare una realtà interna-un po’ smarrita- per cercare di prendere familiarità con il mondo esterno che Tozzi vede come frutto dell’anima:”(….),l’anima è come se fosse attaccata a qualche cosa. Non fate che si rompa questo legame. Le ‘cose che son fuori di lei vere sono trasformate da noi in percezioni e ricordi. Onde l’anima è continuata nelle cose” (Barche capovolte, 1911-12).

Visione interiore, severità paterna, sgretolamento dell’ anima, solitudine esistenziale, materialismo umano, sono temi affrontati dalle pagine di “Con gli occhi chiusi”, da analizzare nel dettaglio.

È difficile osservare il legame che la nostra anima ha con le cose e i luoghi, tant’è vero che ci si sofferma spesso sulla pura esteriorità, senza provare a interpretare il mondo che ci circonda, senza cercare di ascoltare le nostre suggestioni e percezioni, rifugiando nella solitudine di un tempo che scorre velocemente.

In Tozzi c’è l’esperienza del solitario, quasi come di qualcuno che non cerca legami con la realtà, ma si affida alla visione interna del suo inconscio e trova uno spiraglio di luce nella scrittura. Il titolo si riferisce allo stato dell’ inetto a cui ci si abbandona, a una solitudine del corpo, dell’ anima, che non permette di vedere e percepire le sensazioni.

L’inerzia diventa qui compagna di viaggio, clausura totale di un soggetto.

Tozzi si rifugia nella solitudine, perché quell’ esteriorità non gli appartiene.

Cézanne si è posto, al riguardo, degli interrogativi ovvero: come posso cercare di sentire il mondo che mi circonda? Fuori dai meccanismi di visione esteriore cosa vedo , cosa sento, cosa mi circonda e come posso rendere concretamente quello che la percezione mi fa sentire?

Dice Tozzi: “Io ho provato quel che fa provare la realtà, se io sono in grado di percepirla”. Come per Cézanne, si tratta di travalicare la massa di coloro che non riescono più ad osservare i dettagli minuti di un paesaggio, che non riescono più ad emozionarsi, a rendere tangibili le percezioni, impregnati di una veduta meccanica, perché ormai vedono solo e, ovunque ,monocromi quadri appesi su di un muro.

In Tozzi , vi è la capacità di osservare ogni cosa, anche fatti e particolari irrilevanti, senza mai commentare ciò che vede: i paesaggi di Siena, gli incontri occasionali, descrive situazioni accadute per strada. Il particolare, il profondo, ciò che solo un occhio acuto, attento, e un animo incline al non meccanico, riescono a vedere.

Dal romanzo emerge la capacità di guardare internamente una inquietudine percettiva.

Pirandello sostenne che il particolare piu’ importante fosse “lo sguardo dal di dentro del mondo rappresentato”; una scrittura, dunque, non estranea alla vita quotidiana.

<<La foglia secca, le formiche, la mosca, il ramo caduto: lo sguardo si sofferma su ciò che è infimo, insignificante,brulicante>> (Luigi Pirandello).

Questo soffermarsi su elementi insignificanti è, tuttavia, un modo per dare importanza anche alle cose apparentemente irrilevanti: “Il sole tramontò tutto;/e un brivido passò sopra Pietro, che non pote’  più sopportare quel sorriso (di Ghisola) […]. Ghisola si ravviava i capelli, tenendo in mano le forcelle per fargli vedere che erano nuove […]. Si vedevano, fitti, piegarsi i fili d’erba in cima ai quali saltavano gli insetti”.

Il racconto, nella sua prima parte, passa dai protagonisti ai salariati di Poggio a’ Meli, agli alberi, bestie, insetti; sembra che il lettore si perda in particolari, come notava Pirandello. Dal punto di vista stilistico ,l’uso dell’ imperfetto dà l’impressione che le vicende abbiano una durata ininterrotta: è proprio quel senso di tempo illimitato , infinito che si percepisce da giovani.

A tracciare ogni evento è il turbamento di Pietro- vissuto durante l’infanzia e adolescenza-considerato come un processo importante per la formazione di una visione interiore.

Il nostro libro è un romanzo che ci permette di comprendere come emerge la malattia visionaria: la visione interna, la percezione di tutti gli aspetti infimi della vita terrestre, il problema di un mondo esterno complicato al quale è difficile adeguarsi.

Focalizzando l’attenzione sul personaggio Domenico Rosi, egli è un uomo protesto ad accumulare denaro ,che ha gli occhi aperti solo sui fatti economici, non attento agli stati d’ animo , alle debolezze intime del figlio.

Anna, la moglie, è soggetta a frequenti sintomi isterici: ciò faceva ridere Domenico. Allora, il nostro cerchio si chiude: la visione meccanica delle cose rende ciechi ai sussulti e moti dell’anima.

Domenico, infatti ,soffre cecità: seppure con gli occhi aperti sulla realtà, non vede nulla. Il figlio Pietro, vede bene, osserva l’anima e, allora, preferisce chiudere gli occhi. Pietro vuole stare sul letto a occhi chiusi, è affossato dall’incertezza e dai turbamenti; è incerto anche sul sentimento per Ghisola, la quale “non vuole essere vista, non vuole mangiare più, ma vuole morire senza accorgersene”. I due ragazzi hanno due malattie diverse, ma complementari: il turbamento del vedere e il turbamento di essere visti; l’essere soggetto e l’essere oggetto della visione, da cui scaturisce la differenza tra uomo e donna. Ghisola è sempre tenuta d’occhio da Giacco e Masa al podere, da tutta la popolazione maschile, da Domenico: incarna il destino femminile, quello di essere oggetto di osservazione e giudizio.

Nella prima parte del testo, emerge la figura di Domenico che frusta il cavallo per addomesticarlo: potrebbe far pensare-per molti critici – che stia dimostrando come il padre dovrebbe addomesticare il figlio.

E, poi, l’immagine del cavallo debole e indifeso, designa un limite oltre il quale la vita umana può essere schiacciata da un mondo che non tiene conto dei più fragili.

Ho sempre pensato che lo scrittore debba essere capace di cogliere il particolare guardando ciò che gli altri non vedono, rimanendo incantato dinanzi a ciò che potrebbe apparire inutile. Lo scrittore deve essere dotato di occhio acuto per guardare la velata esteriorità, ma anche la profonda l’interiorità delle cose. Questo romanzo insegna ciò: andare a fondo, fare in modo che i fiori nascano anche nel deserto dell’anima, a volte, non osservata a causa di una meccanizzazione della quotidianità.

Un libro attuale, vicino alle giovani generazioni che sovente sono affette da solitudine esistenziale, inettitudine, rifiuto della realtà esterna, incapacità di percepire le emozioni.

E, di seguito, ci fa comprendere che, la violenza, non è medicina atta ad educare; per educare bisogna ascoltare non solo il necessario, ma quello che potrebbe sembrare inutile.

Tozzi lancia un grido, un appello, affinché nessuno si senta mai solo, schiacciato dal peso di un mondo arrogante, egoista, che mette da parte i più deboli.

Agli adolescenti auspicio che questo libro permetta loro di non chiudere mai gli occhi sulla realtà, di non sentirsi smarriti, di leggere il proprio animo e quello altrui, e di non pensare che il tempo dell’esistenza sia infinito. Siamo esseri mortali e, come dicevo poc’anzi, fiori da scoprire nel profondo, i cui particolari l’occhio superficiale non nota.

Autore

Originaria di San Salvatore Telesino,laureanda in Lettere e Filosofia presso l'Università di Napoli, Federico II, sin dall'adolescenza si è dimostrata attenta alle tematiche sociali e di attualità. Ha collaborato , per alcuni anni, con il gruppo "Spazio Giovani". Inizia a suonare il pianoforte durante l'infanzia, in seguito, decide di interrompere questo percorso per cimentarsi in altre passioni, come la scrittura. Nel 2021 scrive il romanzo introspettivo intitolato "Scaffali di ricordi", pubblicato nel 2022 dalla casa editrice 2000diciassette. Ha partecipato a diverse presentazioni di libri-soprattutto romanzi- in qualità di relatrice. Si dimostra, inoltre, particolarmente interessata alla Letteratura Italiana novecentesca e ai fatti culturali della sua località d'origine: a ciò dedica alcuni articoli di stampo culturale. Collabora, infatti,con più testate giornalistiche. È impegnata, attualmente, nella stesura di articoli culturali e di cronaca per svariate e note testate giornalistiche.